Corriere della Sera, 19 giugno 2019
Big Little Lies visto da Aldo Grasso
Tutta la grande letteratura ci ha insegnato che la bugia è lo strumento di conservazione più necessario e più usato: maschera debolezze, dissimula vizi e, spesso, ci aiuta a conquistare preziosi tesori senza urtare la sensibilità altrui.
Su Sky Atlantic sono tornate le Monterey Five, le cinque protagoniste di «Big Little Lies», la miniserie creata da David E. Kelley per Hbo (la scrittrice Liane Moriarty, autrice del best-seller da cui è nata la prima stagione, ha scritto anche il soggetto della seconda). Le avevamo lasciate custodi di un segreto terribile (un assassinio), e vestali della normalità e della rispettabilità sociale, negli assolati paesaggi californiani, nelle belle case dell’upper-middle-class. Sembrava che essersi liberati della violenza, della mascolinità tossica di Perry Wright fosse il solo modo per suturare una ferita collettiva, per colmare le distanze di classe, per trovare una forte solidarietà femminile, persino per celare la grande ipocrisia che abita a Monterey. E invece…
I guai non sono finiti per Celeste (Nicole Kidman), Madeline (Reese Witherspoon), Renata (Laura Dern), Jane (Shailene Woodley) e Bonnie (Zoë Kravitz): dopo la morte di Perry si ritrovano in commissariato a dover rispondere alle domande della polizia, ma soprattutto a dover rispondere alla coscienza delle più fragili fra di loro. E poi c’è l’arrivo dell’inesorabile Mary Louise (una grandiosa Meryl Streep), la madre di Perry, alla ricerca di risposte dopo la morte del figlio. La seconda stagione ha un lato notturno fatto non solo di feste o di ricevimenti ma di incubi, malcelati sensi di colpa, fantasmi che ritornano. Nonostante una ricorrente inquadratura ci mostri il mare che cancella le orme sulla battigia, il passato ritorna prepotente a impedire che le Monterey Five riprendano in mano le loro esistenze: mentono ma il personaggio che rappresentano è sincero e s’invera nella grande piccola bugia.