Corriere della Sera, 19 giugno 2019
Com’è facile rubare macchinari da un ospedale
Li hanno ritrovati in America Latina, negli Stati Uniti e perfino in Africa. Li usano medici senza scrupoli che li comprano a prezzi stracciati, ma c’è anche il sospetto che i trafficanti della droga li impieghino per individuare se ci sono ovuli di cocaina nelle viscere dei “muli”. Sono gastroscopi, colonscopi e broncoscopi che arrivano dagli ospedali europei nei quali ogni anno vengono rubati a centinaia con una facilità disarmante ed un danno enorme per la sanità.
«In ospedale mi hanno fatto sedere su uno sgabello, mentre Patricia si era messa un camice e perlustrava il corridoio, Casas è entrato in una stanza. Poi è uscito e mi ha dato da tenere uno zaino, mentre lui teneva una valigia. Usciti dall’ospedale siamo tornati a Milano». È la confessione fatta un anno fa da Luis Alejandro Sanchez Nieto al sostituto procuratore triestino Chiara De Grassi dopo che era stato arrestato per i furti di apparecchiature diagnostiche negli ospedali di Trieste, Palmanova e Pola (Croazia). Il colombiano, 56 anni, assistito dall’avvocato Alberto Tedeschi, faceva il palo in una banda in cui c’erano un altro uomo e due donne, tutti suoi connazionali. Si erano organizzati a Pioltello (Milano), hinterland milanese, dove gravita una folta comunità colombiana, specializzandosi nelle razzie negli ospedali, in particolare quelli pubblici.
La tecnica
Furti facili, almeno a leggere il verbale di Sanchez Nieto. Colpi a ripetizione, con il medesimo modus operandi e un’altissima resa economica. Tanto è vero che il giorno dopo il primo furto ne hanno fatto subito un altro: «Siamo ripartiti e siamo andati in Croazia direttamente». Solo negli ultimi colpi le attrezzature rubate valevano un milione e mezzo di euro, ma i quattro sono stati accusati anche di un altro furto in Piemonte, all’ospedale di Pinerolo (Torino). Un’attività dai bassi rischi operativi (nel caso dei quattro, pagata con 2 anni e 8 mesi di carcere patteggiati) e realizzata soprattutto da bande ridotte per numero, “inviate” in Europa per un breve lasso di tempo, poi richiamate in Colombia e sostituite da altre batterie. A conferma, come sospettano gli inquirenti, di un sistema criminale internazionale, solido e articolato, che fa forza anche su falsari di documenti, nascondigli, ricettatori, insospettabili complici anche nel mondo della sanità. Rubare questi apparecchi sembra essere un gioco da ragazzi: basta fingere di essere ricoverati in ospedale, di essere parenti di un malato oppure, come visto nel caso della banda di Pioltello, travestirsi da medico per sgattaiolare indisturbati nei reparti di gastroenterologia. Sono quasi esclusivamente sonde ottiche molto sofisticate prodotte dalla multinazionale giapponese Olympus, leader mondiale nel settore, le cui dimensioni sono abbastanza ridotte al punto che una decina possono essere nascoste con i loro contenitori in un borsone o in un trolley, come quelli con i quali i pazienti escono dopo una degenza. Costano decina di migliaia di euro ciascuna. Da un elenco messo online da Olympus, dal 2014 ne sono stati rubati 752 in tutta Italia. Come detto, non è un fenomeno unicamente italiano. A maggio 2018 Vega Arevalo, Hugo Fernei, Canon Serrano e Gabriel Yame sono stati arrestati nell’indagine del pm milanese Maria Cristina Ria, del dipartimento guidato dall’aggiunto Laura Pedio, per furti negli ospedali di Manerbio (15 endoscopi per 150 mila euro), Sassuolo, Legnano e Brescia commessi nel weekend di Pasqua dell’anno scorso. Erano ricercati con insistenza dai finanzieri del Gico di Milano, i primi a credere nella necessità di approfondire il fenomeno. Durante la caccia, emerse che sulle loro tracce c’era da molto tempo anche la magistratura greca che aveva emesso un mandato di arresto europeo. I quattro, infatti, facevano parte di un’organizzazione con base in Colombia responsabile di furti in Spagna, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Francia e, ovviamente, Italia e Grecia. «Un’associazione a delinquere – scrivevano i magistrati greci – che si avvaleva di strutture d’affari e commerciali». I sospettati, entrati in Europa usando documenti falsi, erano freneticamente a caccia di ospedali da depredare. Dopo i colpi, gli strumenti venivano spediti con normali pacchi postali in America Latina. I quattro sono stati consegnati alla Grecia dalla quinta Corte d’appello penale presieduta da Giovanna Ichino.
Gli ovuli
Il gigantesco traffico ha attirato l’attenzione anche della Cia. L’agenzia lavora su una centrale di raccolta con base a Miami (Florida) da dove gli apparecchi “importati” dall’Europa partirebbero per finire illegalmente sia nelle mani di medici americani, sia dei narcos i quali, è il sospetto, li userebbero per «esplorare» le viscere dei “muli” che dal Sudamerica trasportano la droga negli ovuli ingoiati prima di salire sull’aereo. Due diverse fonti interrogate dal Corriere della Sera accennano anche a un sospetto uso nei trapianti clandestini di organi umani, ma si stratta solo di una ipotesi. Il danno per la sanità pubblica è enorme, una decina di milioni di euro negli ultimi 5 anni. Sia per gli ospedali pubblici (pochi i furti nelle strutture private), sia per la Olympus che concede molti strumenti in comodato d’uso gratuito. Il fatto è che la maggior parte degli ospedali deve fare i conti con le ristrettezze di bilancio e non ha fondi per i sistemi di allarme contro i furti di queste apparecchiature, che spesso sono custodite in reparti in cui è troppo facile entrare indisturbati.