19 giugno 2019
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Biografia di Nicole Kidman
Nicole Kidman (Nicole Mary K.), nata a Honolulu (Hawaii) il 20 giugno 1967 (52 anni); doppia cittadinanza australiana e statunitense. Attrice. Un premio Oscar alla miglior attrice e un Orso d’argento al Festival di Berlino per The Hours (2003). «Per me l’unico criterio di scelta è cercare di non ripetermi, non fare mai la stessa cosa. Variare il più possibile e scegliere il regista giusto. […] Mi rigenero in continuazione, ed è questo che amo della recitazione. In fin dei conti, se non avessi sempre un ruolo sulle spalle non saprei di che pelle sono fatta» • Ascendenze irlandesi per parte paterna, anglo-scozzesi per parte materna • Famiglia australiana borghese: il padre psicologo e biochimico, alle Hawaii per ragioni di studio al tempo della sua nascita, la madre formatrice di infermieri. «Non ho idea di come mi sia venuto in mente di fare questo mestiere. […] Certo è che a 3 anni morivo dalla voglia di andare a scuola di danza e appena ho potuto ho cominciato a recitare, prima nei teatri di strada, poi al cinema e in televisione. Però mi sarebbe piaciuto anche fare il chirurgo: il sangue non mi fa alcuna impressione» (a Fulvia Caprara). «Provengo da una famiglia intellettuale. Mentre i miei amici andavano in spiaggia e si divertivano, io rimanevo in casa a leggere Dostoevski. In effetti mia madre mi spronava ad uscire, ma senza quelle letture non sarei mai diventata un’attrice»» (a Michaela K. Bellisario). «Da ragazzina divoravo romanzi. Personaggi come la Dorothea di Middlemarch o la Natasha di Guerra e pace, libri come Jane Eyre e Cime tempestose mi hanno fatto diventare attrice, perché volevo essere quelle donne, perdermi in loro. Il libro per me è sempre stato l’inizio della vita» (a Silvia Bizio). «Si dà da fare dall’età di tre anni. Quando, in Australia, cominciò a studiare danza; seguita a otto anni dal mimo e a dieci dalla scuola di teatro» (Maria Laura Rodotà). «Studentessa modello di recitazione, esordisce in teatro a 14 anni nel ruolo di una donna di mezza età, ed ha subito ottime critiche» (Simonetta Robiony). «A quattordici girò il suo primo film tv; a diciassette vinse un premio come migliore attrice australiana; a venti, e può capitare, girò Un’australiana a Roma di Sergio Martino, accanto a Massimo Ciavarro. Nel ’90 però era a Hollywood» (Rodotà). Qui fu «subito protagonista in Ore 10: calma piatta di Phillip Noyce, thriller marino in cui fronteggiava da sola su una barca un bell’assassino psicopatico. Sopraffatta dalla crudeltà altrui e vendicatrice spietata in Dogville di Lars von Trier, in Moulin Rouge è stata una seduttrice spettacolare, in The Others una occulta infanticida, in Eyes Wide Shut di Kubrick una moglie misteriosa. È stata persino una stupida accecata dall’ambizione dì diventare una diva del giornalismo tv, una borghesuccia vanesia e amorale in Da morire di Gus Van Sant; è stata magnifica a trent’anni in Ritratto di signora di Jane Campion dal romanzo di Henry James, un memorabile quadro d’infelicità femminile; è stata brava nei film accanto all’ex marito Tom Cruise (Cuori ribelli, Giorni di tuono)» (Lietta Tornabuoni). Dopo aver dato buona prova di interprete drammatica in numerose pellicole – da The Hours, che le valse il suo unico premio Oscar, a La macchia umana, da Ritorno a Cold Mountain al controverso Birth. Io sono Sean –, verso la metà degli anni Duemila l’attrice «cambia genere e passa alla commedia con La donna perfetta di Frank Oz e Vita da strega di Nora Ephron, in cui riprende il personaggio della strega casalinga Samantha, celebre negli anni ’60 e ’70. Certo non interpretazioni memorabili, ma che le consentono di allontanarsi per un po’ dai ruoli drammatici di cui non vuole restare prigioniera. Nel 2005 è invece sotto la direzione di Sidney Pollack, che su di lei incentra il thriller The Interpreter. […] Nicole veste poi i panni della fotografa americana Diane Arbus nel film Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus di Steven Shainberg. Non paga del suo saltare da un genere all’altro, si dà anche al fantasy, con La bussola d’oro di Chris Weitz (2007), poi ritrova Baz Luhrmann nell’epico Australia (2008). Nel 2011 arriva invece nelle sale italiane Rabbit Hole, di John Cameron Mitchell, in cui la Kidman veste i panni di Becca Corbett, impegnata assieme al marito Howie/Aaron Eckhart nell’affrontare la perdita del figlio, morto in un incidente. La pellicola vede l’attrice anche nella veste di produttrice. Già dal 2004, infatti, è attiva anche nel campo della produzione cinematografica» (Scilla Santoro). Non mancarono, tuttavia, alcuni momenti di stallo: «un thriller con Nicolas Cage (Trespass) uscito direttamente in home video in Italia, la commedia con Adam Sandler (Mia moglie per finta) e le accuse di Alberto II di Monaco e le sue sorelle, che hanno definito "inutilmente glamour" la sua Grace Kelly, obbligando Harvey Weinstein, distributore americano, a minacciare il ritiro della versione europea di Grace of Monaco. Poi, il riscatto: altra nomination all’Oscar (Lion), i film diretti da Yorgos Lanthimos e Sofia Coppola [rispettivamente Il sacrificio del cervo sacro e L’inganno – ndr], un blockbuster Dc Comics (Aquaman)» (Filippo Brunamonti). Grande affermazione personale, nel 2017, al Festival di Cannes. «È stata la regina della 70a edizione: era lì con tre film, L’inganno, The Killing of a Sacred Deer e How to Talk to Girls at Parties, ha presentato la seconda stagione di Top of The Lake e ha ricevuto un Premio speciale della giuria» (Lorenzo Soria). Dal 2017 la Kidman recita anche nella serie televisiva Big Little Lies (Hbo), «nella parte di una donna vittima di abusi sposata con un dirigente di successo. Kidman – che ha coprodotto la serie insieme a Witherspoon – si è fatta notare per la sua interpretazione di una donna che combatte per la sua sopravvivenza fisica e psichica, trasmettendo un senso di vergogna, ambiguità, fredda confusione, determinazione e segni appena percepibili di forza latente. Quella di Kidman, mai appariscente o gratuita, è un’interpretazione delicata e studiata nei minimi dettagli, come la porcellana di cui sembra fatto il suo personaggio, Celeste, che ricorda una bambola. Subito dopo la grande prova in Big Little Lies Kidman ha condotto il suo pubblico in tutt’altra direzione: in Queen of the Desert […] interpreta la celebre esploratrice, scrittrice e fotografa Gertrude Bell, una contemporanea di T.E. Lawrence che viaggiò nella penisola araba all’inizio del Novecento contribuendo a ridisegnare i confini nazionali della regione dopo la Prima guerra mondiale. Queen of the Desert, scritto e diretto da Werner Herzog con un insolito tocco poco incisivo e a tratti banalmente sentimentale, non è un gran film. Spesso, anzi, risulta essere un film brutto, nonostante gli sforzi accaniti di realizzare la versione al femminile di Lawrence d’Arabia. Nessuno dei difetti del film, però, è imputabile a Kidman, che domina lo schermo in quasi ogni scena con compostezza regale e moderazione. […] Nella filmografia di Kidman questa è una dinamica frequente: l’attrice ha qualche celebre fallimento alle spalle, come il film storico eccessivo e pseudo-epico Australia, o The Paperboy, deliziosamente sopra le righe, o l’avventato film sulla vita di Grace Kelly, Grace di Monaco, per citare i più recenti. Anche nei suoi film peggiori, tuttavia, il problema non è mai Kidman. Le sue interpretazioni si elevano rispetto a qualsiasi porcheria in cui reciti» (Ann Hornaday). Da ultimo, «dopo decenni di ruoli glamour in cui metteva in mostra la sua bellezza e naturale eleganza, […] interpreta […] una madre nel film Boy Erased, in cui recita accanto a Russell Crowe. Scritto e diretto da Joel Edgerton, è la storia di un ragazzo, interpretato da Lucas Hedges, figlio di un predicatore battista (Crowe), che è costretto a partecipare a un programma di conversione per gay istituito dalla Chiesa, dopo essere stato obbligato dai genitori (Kidman è la madre) a fare outing. È la prima collaborazione tra Kidman e Crowe nonostante siano amici da sempre, da quando – da giovani – studiavano arte drammatica al conservatorio Nida di Sydney. […] Ma è anche un’altra mamma, completamente opposta a quella di Boy Erased, in Destroyer, un thriller diretto da Karyn Kusama (Girlfight) in cui è una poliziotta alcolizzata e tossicodipendente che deve redimersi agli occhi della figlia. […] Un ruolo che le è valso una candidatura ai Golden Globe (ma è stata battuta da Glenn Close). Bellissima, in perfetta forma fisica e mentale, Kidman si sta davvero godendo una piena maturità artistica, non solo professionale ma anche personale. […] Ha da poco finito di girare il dramma The Goldfinch (dal romanzo di Donna Tartt Il cardellino) e sta ora lavorando a un lungometraggio, ancora senza titolo, sul moghul della Cbs Roger Ailes, morto dopo essere stato travolto da uno scandalo sessuale» (Bizio). «Sono contenta di recitare parti di madri. Mi arrivano tante offerte, e ciò mi rende felice: la mamma è il ruolo più bello» • «Ha nel cassetto una decina di progetti nella produzione. È il suo futuro? “È bello permettersi di chiamare di persona Laura Dern per dirle che c’è un ruolo perfetto per lei o parlare con l’autore di un romanzo e convincerlo che può diventare un film. Insomma, offrire opportunità a registi, colleghi e tecnici che ami. Ma, allo stesso tempo, sono un’attrice, e continuerò a esserlo. Per non parlare del mio ruolo più importante: quello di moglie e di madre”» (Alessandra Venezia) • Due figli, Isabella Jane (1992) e Connor Anthony (1995), adottati insieme al primo marito, l’attore Tom Cruise, e in seguito al divorzio affidati al padre, che li ha cresciuti secondo i precetti di Scientology, limitando al minimo i contatti con la Kidman, il cui allontanamento dalla setta fu con ogni probabilità tra le principali cause del divorzio; due figlie, Sunday Rose (2008) e Faith Margaret (2010) – quest’ultima nata da madre surrogata –, dal secondo e attuale consorte, il cantante country Keith Urban. «Lo dico da sempre e non mi stanco di ripeterlo: senza di lui non sarei in grado di fare niente. La nostra unione è così forte, è terapeutica: insieme funzioniamo all’unisono. Quando mi capita qualcosa di positivo, ne gioiamo tutti e due, ed è reciproco. Ancora non mi capacito del fatto che ci siamo trovati, in un mondo come il nostro. Il mio Keith è una roccia solidissima». «Sono diventata madre naturale in età avanzata, dopo i 40 anni, e forse sono ipersensibile circa il tempo che passa e nel valutare quanto il tempo sia prezioso: penso ai miei figli, ancora così giovani, gli ultimi due, e non vorrei perdermi nulla della loro crescita. […] E questo forse genera in me molta ansia, perché ci sono tante cose di cui sono incredibilmente fiera, ma la cosa più grande è avere due bambine piccole per le quali devo essere sana e forte e protettiva. Non c’è giorno che non trasalisca dicendo: “Grazie a Dio per la mia salute!”. Non tanto per me stessa, quanto per potermi prendere cura di loro» • «Io tendo a conservare le cose e mi piacciono i giocattoli di pezza, tutto ciò che è di peluche. Ridicolo, lo so, ma i miei figli me li comprano ancora, e ho un’intera collezione di orsacchiotti!» • «Sono fortunata, la mia è una famiglia di donne: ho una sorella, zie, una madre con idee forti e precise e tre figlie: vivo come avvolta da una forte energia femminile. Le mie amiche del cuore sono ancora quelle dell’infanzia: la mia vicina di casa, Annette, la conosco da quando avevo tre anni» • «È anche social? “Lo sono nella misura in cui mi informano. Ho delle regole precise. Non navigo mai, ad esempio, prima di dormire. Trovo i social network utili per comunicare con i miei figli più grandi. Non con mio marito, però. Con lui non ci mandiamo messaggi su Whatsapp. Ci sentiamo solo al telefono. Non ci siamo neppure mai spediti una mail: è una regola del nostro amore. Da sempre”» (Bellisario) • «Ci metterei la firma, a essere dieci centimetri più bassa. Sono stufa di guardare dall’alto i miei uomini» • «L’abuso di botulino che negli anni scorsi aveva creato polemiche sui media e perseguitato ogni sua nuova apparizione cinematografica è stato dimenticato dopo il pentimento pubblico di Nicole, e il suo viso sembra ora avere ripreso vita, riacquistando di nuovo quella mobilità espressiva indispensabile per un’attrice» (Maria Luisa Agnese) • «Un giglio bianco, una candela accesa, un dipinto di Friedrich. Una di quelle giovani signore, mamme borghesi degli anni 1945-55, composte come Grace Kelly o Deborah Kerr, vestite di seta, ben pettinate, con le perle: belle e fredde, distanti eppure materne e capaci di occultare ardori carnali. […] Nicole Kidman […] è bellissima, elegantissima, brava, d’una versatilità non comune. […] Ma non è perché sia brava, perfezionista e di ambizioni bene organizzate che Nicole Kidman piace. Piace perché è bella, naturalmente. Perché non è una bellezza contemporanea: la sua grazia, i lineamenti delicati, gli occhi chiari sono senza tempo e senza luogo, possono assorbire tutti gli ideali e i modelli possibili (aristocratica settecentesca, romantica ottocentesca, clone, cyborg). Piace perché le spettatrici sono convinte, spiandola sullo schermo, di poter cogliere i segreti di uno chic sublime; e perché gli spettatori possono immaginare d’essere capaci di infrangere quella corazza dì remota freddezza» (Tornabuoni). «Il ventaglio dei suoi talenti è aperto come la ruota di un pavone, le sue scelte sono tutte ispirate. Qualsiasi cosa faccia lascia un segno, e di cose ne fa tante: non c’è stagione senza un suo nuovo film» (Bizio). «Bellissima e bravissima, […] Nicole Kidman. In più colta, intelligente, sensibile» (Robiony). «Dovremmo apprezzare un’attrice che è riuscita ad avere una delle carriere più affascinanti in assoluto in un settore famoso per etichettare le star all’inizio della loro carriera, tenerle chiuse in una scatola e poi scartarle quando le loro caratteristiche fisiche iniziano a mostrare segni di decadimento o di naturale evoluzione. […] Basterebbe solo considerare il ruolo privo di vanità di Kidman come attrice non protagonista in Lion, […] soffermarsi velocemente su Moulin Rouge! e The Others e tornare ai ruoli che l’hanno portata al successo in Ore 10: Calma piatta e Giorni di tuono per apprezzare il rigore e la varietà espressiva di un’attrice che può reggere con facilità il confronto con interpreti del calibro di Meryl Streep, Viola Davis e Cate Blanchett, ma che raramente viene accostata a loro. Rigore, varietà e, soprattutto, curiosità: le scelte di Kidman riguardo ai soggetti e ai registi con i quali decide di lavorare sono ammirevoli quanto le sue prove da attrice. Da quando è diventata un’attrice di successo, Kidman ha realizzato piccoli film artisticamente rischiosi, che avrebbero potuto non essere vantaggiosi dal punto di vista finanziario, della fama o del pubblico, ma che hanno promosso il cinema. […] In pochi hanno visto l’ipnotica interpretazione di Kidman della fotografa Diane Arbus nell’innovativo Fur: un ritratto immaginario, quella di una madre in lutto in Rabbit Hole, o ancora quella della figlia adulta traumatizzata dai genitori, artisti egocentrici, in The Family Gang. Kidman è diventata una delle interpreti più preziose e avventurose del settore, un’attrice di prima grandezza che – fregandosene delle classifiche di riconoscibilità e di gradimento – sfrutta le suo doti e la sua capacità di generare alti incassi al botteghino per far progredire l’arte cinematografica» (Hornaday) • «Mi piace lavorare con le donne, ma prima di tutto mi piace trovare le storie giuste. Da anni m’impegno con l’Un Women per il sostegno delle donne nella cultura e nell’industria. E credo nella sorellanza. L’ho imparato avendo una madre femminista, che negli anni Sessanta ha lottato per i nostri diritti e si è sempre impegnata nel sociale. Ora che invecchiano, lei e le sue amiche sono diventate una comunità di aiuto reciproco. Siamo sorelle nel mondo, dobbiamo sostenerci e non distruggerci o sabotarci le une con le altre». «Come giudica la situazione delle donne nel cinema? “I nomi delle donne sono ancora troppo pochi: la mia amica Jane Campion, una pioniera come Kathryn Bigelow o Sofia Coppola hanno cambiato la storia, ma ne servono di più. Dipende anche da noi attrici trovare modo di lavorare con registe, serve più impegno a cercare personaggi fuori dagli schemi. Come la scienziata Rosalind Franklin, che ho interpretato in teatro. Dicevano che era rischioso, la vita di una scienziata è noiosa. Io invece ero sicura che il pubblico si sarebbe appassionato proprio come me, e avevo ragione: è stato un successo. Un grande rischio che valeva la pena di correre”» (Stefania Ulivi) • «Sono una attrice “bizzarra”. Ho bisogno di sorprese e di registi attenti al mio carattere». «Ho bisogno di interpretare donne complicate e determinate, che alla fine, forse, mi assomigliano». «Mi piace il cinema che racconta le vite sbagliate, cerco storie sgradevoli». «Isabelle Huppert si definisce un’attrice con le unghie e coi denti, e anche per me è così: mi pare di avere la recitazione nel sangue. Posso trasformarmi in altre persone, provare le loro emozioni, diventare loro, poi uscirne. È il mio modo di esprimermi, di comunicare col mondo, di analizzare e comprendere l’umanità. Poi, però, tengo cara la mia vita familiare: non voglio avere il vuoto intorno quando torno a casa». «Sul fronte artistico lei si descrive come una "wild card", un jolly. "Assolutamente. Sono imprevedibile. Al confine tra audacia e incoscienza. Non ragiono, non l’ho mai fatto, in termini di traiettoria di carriera. Mi faccio guidare solo dall’istinto e pago volentieri il prezzo dei miei errori. […] Ormai mi interessano registi con una forte visione personale, storie diverse dagli stereotipi del cinema commerciale. Disordinate come la vita, come quelle che racconta la vostra Elena Ferrante". Ha letto L’amica geniale? "Tutti e quattro i libri. Elena Ferrante è straordinaria, chiunque lei, o lui, sia. Mi sembra abbia un punto di vista molto femminile, sincero e audace. Mi piace anche che abbia voluto proteggere la propria identità, scelta che le consente un racconto più onesto e profondo". […] Lei ha mai pensato di scrivere? "Scrivo fin da ragazzina. Dai quattordici ai ventiquattro anni ho riempito diari che poi ho distrutto: ero così brutalmente onesta, in quei pensieri, che se qualcuno li avesse letti pensavo sarei morta. Rimpiango di averli bruciati. Vorrei poterli rileggere: a quest’età potrei capire quella ragazzina e i suoi sconvolgimenti. Sensazioni normali, ma che allora mi sembravano insostenibilmente intense e vergognose. Oggi scrivo storie, butto giù idee, contribuisco ai miei dialoghi. Vorrei il tempo di sviluppare una sceneggiatura mia, magari per trasformarla in un corto"» (Arianna Finos) • «“Non tornerei nemmeno per sogno ai miei 20 anni, e nemmeno ai 30. Quando avevo 20 anni ero ambiziosa, appassionata, ma confusa; i 30 sono stati anni di dolore e aggiustamento, salvati dal lavoro e dall’amore per i figli; solo coi 40 ho iniziato a sentirmi davvero stabile e a mio agio con me stessa e chi sono per il mondo”. […] Anche sul lavoro i 50 anni non sono necessariamente un ostacolo: "Se una donna sa come rimanere in forma, ed è una brava attrice, le offerte dal cinema continuano ad arrivare. Meryl Streep ha più anni di me e non smette di lavorare"» (Bizio). «Regista io? Mi è stata offerto di farlo e non lo escludo in futuro, ora di certo no: ho figli piccoli, non me la sento di stare troppo tempo lontana da loro. Dirigere è impegnativo. Lo so: ho lavorato con i più grandi registi del mondo». «Che cos’è il successo? Da ragazzina per me era l’America, era recitare a Broadway. Poi, col passare degli anni, successo è diventato sinonimo di amore, perché quello materiale prima o poi finisce. Keith e io ce lo ripetiamo sempre: siamo così fortunati ad avere l’altro, a provare lo stesso desiderio di proteggerci e sostenerci a vicenda. Quando con gli anni ti succedono tante cose e i tuoi genitori invecchiano, la forza del tuo rapporto, la tua famiglia rappresentano il tuo successo».