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 2019  giugno 18 Martedì calendario

Sull’addio di Totti

 Mario Sconcerti sul Corriere
Tra le tante cose dette da Totti ne ho trovate molte giuste, alcune corrette, altre meno, ma nessuna capace di spezzare un rapporto come il suo con la Roma. Conosco Baldini, non è un uomo nero. Non può essere lui il nemico, fra l’altro troppa la differenza di peso. Totti si dovrebbe chiedere semmai perché Pallotta preferisca i consigli di Baldini ai suoi. L’impressione è che Totti continui a vedere la vita da un campo di calcio, dove tutti gli passavano la palla e lui era il migliore, il più ascoltato. Da giovane dirigente devi ricominciare, non c’è un continuum, è un altro mestiere. Non sei il Capitano, sei un dirigente fra altri che hanno perfino il diritto di esserti rivali. Funziona così in qualunque posto di lavoro. E questo ho sentito da Totti, un elenco di disagi comuni esasperati dal suo essere stato. Una cosa è assolutamente giusta, quando dice che un presidente deve essere presente. Ma la sua giovinezza di dirigente non gli permette di chiudere il concetto: non esistono più imprenditori italiani che possano prendere una grande società. Costa troppo. Il caso Totti non è il primo. I giocatori hanno una vita rovesciata, si è vecchi a 35 anni e giovani a 50. Questo li porta a una sindrome, la paura di non farcela, di perdere soldi e privilegi. Hanno fretta di essere produttivi ma non sono abituati. Così si rifugiano nel mestiere del mestiere, fare gli ex della grande squadra. Usano i resti della vecchia gloria. Pubblicità, televisione, opinionismo, qualcosa che sia sempre un po’ di parte. Difficile trovarli dentro una responsabilità. Del Piero, Baggio, Totti, De Rossi, decine di altri, sarebbero tutti ottimi candidati alla presidenza federale o a un’altissima manovalanza nel calcio, per esempio cercare giovani, guardare avversari, usare l’esperienza per migliorare il mestiere. Ma dovrebbero esporsi, uscire dal loro essere una bandiera per professione. E questo letteralmente li spaventa. Vogliono correre paralleli alla vita o guardarla sdegnati dalla nuova solitudine. Anche in Totti avverto questo spavento. Troppe parole per esprimere un disincanto naturale, troppe accuse gridate, nessuna autocritica. Tutti sintomi della paura di vivere.

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Luca Valdiserri Sul Corriere
ome si dice a Roma, ma anche a Boston, volano gli stracci. L’addio di Francesco Totti è uno tsunami che investe Trigoria e lascia intatto quasi nulla: Guido Fienga, il nuovo Ceo che con lui è stato «leale», e Lorenzo Pellegrini eletto unico erede della «romanità» sua e di Daniele De Rossi. Il resto è pianto e stridore di denti: dirigenti che godono per le sconfitte giallorosse, accoltellatori di professione, nemici giurati di tutto quello che è romano e romanista, promesse vane di vittoria e cessioni dei calciatori migliori per mettere a posto i bilanci. Uno sfacelo. «Un ritorno, in futuro? Sicuramente serve un’altra proprietà che crede in me. Non ho mai fatto e mai farò del male alla Roma, perché per me la Roma viene prima di tutto. È un momento peggiore rispetto a quando ho smesso di giocare. Oggi sarei potuto anche morire. Sarebbe stato meglio che staccarmi dalla mamma. Ma per il bene della Roma è meglio che lo faccia».
La risposta del club non si fa attendere, dopo che James Pallotta si è fatto tradurre tutto. La Roma è quotata in Borsa e le dichiarazioni sono sensibili: «Comprendiamo quanto sia stato difficile per Totti lasciare l’AS Roma dopo trent’anni, ma non possiamo che rilevare come la sua percezione dei fatti sia fantasiosa e lontana dalla realtà. Riguardo ai ripetuti riferimenti al suo possibile ritorno con l’insediamento di una nuova proprietà, in aggiunta alle informazioni raccolte da lui stesso in tutto il mondo circa soggetti interessati al Club, ci auguriamo che questa non sia un’anticipazione inopportuna di un tentativo di acquisizione: scenario che potrebbe essere molto delicato in considerazione del fatto che l’AS Roma è una società quotata in Borsa. La proprietà non ha alcuna intenzione di mettere la Roma in vendita ora o in futuro». Avvertimento chiaro, ai confini dell’azione legale.
Il ritorno con altri
Ci sono persone che non vogliono che io stia lì. A Trigoria c’è gente che fa il male della Roma, non il bene, ma Pallotta non lo sa e lui si fida di queste persone. Un mio ritorno in futuro? Sicuramente con un’altra proprietà
In società hanno fatto un salto sulla sedia nel sapere che i bookmaker hanno iniziato a quotare una vendita entro i prossimi dodici mesi. Un altro carico da undici lo ha messo la sindaca Virginia Raggi, su Twitter: «Le bandiere restano sempre. I tifosi sanno riconoscere le persone vere. Tu lo sei. Daje Francè». Se Totti è vero, chi è falso?
Il financial fair play
«Ai tifosi va sempre detta la verità, anche
se è brutta. Se cedi
i migliori, ti indebolisci»
Oggi in Campidoglio è previsto un altro incontro sullo stadio di Tor di Valle, sempre più lontano. L’aria è cambiata. Molti tifosi della Roma, che prima insultavano la Raggi per la lentezza del processo, ora tifano contro lo stadio sperando che un «no» costringa Pallotta ad andarsene. Ma non succederà, Jim non ha intenzione di mollare. Il passaggio a cui fa riferimento il club riguarda la risposta di Totti a una domanda sulla possibilità dell’arrivo di uno sceicco dal Qatar: «Ci sono tante persone che vorrebbero fare investimenti, ma finché non vedo nero su bianco non ci credo. Però posso dire che la Roma è amata e stimata anche in altre parti del mondo, tutti la vorrebbero prendere».
Montella
Sei e resterai per sempre Francesco Totti, VIII Re di Roma
Più che gli emiri, alla Roma temono una cordata locale, appoggiata dalla «romanità», con un nuovo presidente che diventerebbe subito eroe per il solo fatto di riportare a casa Totti e De Rossi. Perché quello di Francesco «è un arrivederci, non è un addio. In questo momento prenderò altre strade ma nel momento in cui un’altra proprietà punterà forte su di me, io sarò sempre pronto a ritornare».
Raggi
I tifosi sanno riconoscere le persone vere. Tu lo sei. Daje France’
Non è solo questo il passaggio controverso. C’è quello delle promesse di vittoria mai mantenute e della cessione periodica dei calciatori migliori: «Conosciamo tutti i problemi che la società ha, soprattutto per il financial fair play... Se si deve vendere perché quest’anno stai a meno 50/6o milioni, la squadra si indebolisce. Bisogna essere trasparenti con i tifosi, alla gente bisogna dire la verità anche se è brutta. E siccome io sono sempre stato trasparente, non posso stare qua dentro. Mi chiamavano solo quando erano in difficoltà. In due anni avrò fatto dieci riunioni. Ma se poi fanno l’allenatore, fanno il d.s. e non ti chiamano mai?».
Zeman
Dovevano
lasciarlo lavorare. Magari è bravo e non lo sanno...
Poi un’altra bomba: «I tifosi alcune cose non le sanno. Qualche dirigente è contento delle sconfitte. È la realtà. Non farò mai i nomi, neanche sotto tortura, ma è la realtà. Se hai queste persone dentro Trigoria, non vai da nessuna parte». Lui, per portare la Roma in alto, aveva cercato di convincere Antonio Conte: «È l’unico allenatore che ho chiamato. Se fosse venuto, sarei rimasto. Io e Fienga, prima che Pallotta sapesse di questa cosa, abbiamo alzato il telefono e lo abbiamo chiamato. Era il solo che avrebbe potuto cambiare la Roma. Ci aveva dato l’ok, perché lo abbiamo sentito e visto parecchie volte. Poi ci sono stati problemi e Conte ha cambiato idea. Non sto qui a specificarli, perché ormai è l’allenatore dell’Inter. Questa era un’iniziativa mia e di Fienga, quando Pallotta l’ha saputo era contento che si potesse fare questa cosa... Purtroppo, però, ci sono delle persone dentro Trigoria che fanno il male della Roma, non il bene. E il problema è che Pallotta tante cose non le sa, ma si fida di queste persone. Questo è il suo errore principale. Di tutte le cose che riportano a Boston, penso che arriverà un decimo della verità».
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Matteo Pinci su la Repubblica
Matteo Pinci
ROMA – Un testamento di 90 minuti, anche per durata la sua ultima partita: non con la Roma ma contro. Il divorzio di Francesco Totti dalla società giallorossa è già una lotta per chi vivrà nella casa che condividevano. «Meglio morire che dare questo annuncio, ma non lascio per colpa mia, mi mettevano i bastoni tra le ruote sempre». In 8 anni gli americani gli hanno sottoposto due rinnovi da giocatore, un contratto da dirigente, il ruolo da direttore tecnico che aveva chiesto. Nel suo saluto armato però c’è spazio solo per ciò che ha ingoiato nei due anni da dirigente: calciatori che aveva bocciato (Pastore) e ha visto acquistati, il sostegno a Di Francesco che avrebbe voluto 5 giocatori (Ziyech, Berardi, Consigli, fra questi) «ma non gliene hanno preso uno», i ringraziamenti al Ceo Fienga e a Ranieri, le parole a De Rossi «a lui ho detto da amico che era il suo ultimo anno» e il tentativo di portare Conte alla Roma, salvo essere ignorato nelle decisioni che hanno portato all’arrivo di Fonseca in panchina e di Petrachi ds. Lì s’è arreso, sentendosi «un peso», per il presidente Pallotta e il grande nemico, Franco Baldini: «Uno di noi due doveva andarsene. Erano 8 anni che volevano noi romani fuori dalla Roma, vediamo se vinceranno ora». “Tornerò con nuova proprietà"
L’arrivederci nasconde un desiderio, più forte della volontà di ricollocarsi altrove («Qualche altra società in Italia mi ha già chiamato, valuterò», dice pensando alla Samp) o di accettare il ruolo da supervisore delle Academy azzurre che ha in mente per lui la Federcalcio. «Tornerò con una nuova proprietà». L’avvocato Taormina in prima fila gli chiedeva se sapesse qualcosa di una cordata romana interessata a prendere la società, strappandogli un sorriso complice. Totti evocava invece i petrodollari arabi su cui da mesi si specula in città, con voci di imminenti offerte qatariote mai arrivate a Pallotta. «Ho girato spesso per Emirati, Kuwait, Dubai, lì tanti vorrebbero fare investimenti, tutti vorrebbero prendere la Roma». E la suggestione di immaginarlo frontman di un nuovo proprietario ricchissimo è dilagata in fretta, nella città in ebollizione.
La denuncia alla Consob
Di fronte allo scenario però Pallotta non poteva restare a guardare: ha voluto prima farsi tradurre ogni parola, filtrandola. Poi con i vertici della società ha disposto una replica gelida: «Ci auguriamo che questa non sia un’anticipazione inopportuna di un tentativo di acquisizione: scenario molto delicato in considerazione del fatto che l’As Roma è una società quotata in Borsa. La proprietà non ha alcuna intenzione di mettere la Roma in vendita adesso o in futuro». Tra le righe, un monito che nasconde un pensiero: il club da ieri valuta seriamente la possibilità di una segnalazione alla Consob delle parole del suo ex capitano, anche per le oscillazioni significative del titolo in Borsa, che dopo una flessione significativa ha chiuso in rialzo.
Il ruolo da dt
Ma è l’orizzonte da cui guardano la stessa storia Totti e la Roma, che è ormai distorto. Pure quel ruolo di direttore tecnico: per Totti, «ciò che voglio fare, perché so che posso incidere», ma a cui ha rinunciato. Sorprendendo la Roma: «Glielo avevamo proposto dopo l’addio di Monchi, aspettavamo una risposta». Il club nella verità di Totti non si riconosce. Convinto di averlo coinvolto non solo nei colloqui con Conte (con cui Totti ha parlato, ma al contrario di quanto dice l’unico ad incontrarlo è stato Fienga, a Siena, l’8 aprile in una sede di Mps). Ma pure nella bocciatura di Mihajlovic, in quella di De Zerbi, nel viaggio per conoscere Fonseca, a cui Totti non ha voluto partecipare. In fondo, dice la Roma, il ruolo da dt «richiede dedizione e impegno totali». Un’altra lettura, forse, dei motivi del divorzio.
Al Salone d’onore Coni Francesco Totti al termine della conferenza nel Salone d’onore del Coni concesso dall’amico Malagò: presenti 350 tra giornalisti, operatori tv, fotografi e invitati, compresi gli amici Aquilani, Candela, Nela, ex giocatori della Roma. Moderatore il suo biografo Paolo Condò
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Romolo Buffoni su Il Messaggero
Salone d’onore del Coni, alle 14 Totti dà l’annuncio: «Alle 12.41 ho mandato una mail alla Roma con le mie dimissioni. La data è casuale, non ho mai pensato che ci fosse un altro 17 giugno importante nella mia vita. Era meglio morire che staccarmi dalla Roma, ma il mio è un arrivederci. Ai tifosi dico che presidenti, allenatori, giocatori passano, ma le bandiere no». Nei suoi ultimi 90’ con la Roma, Francesco dice tutto.
GIOCHI DI RUOLO
«Non è stata colpa mia. Non ho avuto mai la possibilità di esprimermi. Loro mi tenevano fuori da tutto. In due anni avrò partecipato a 10 riunioni». Totti racconta la sua verità, il suo sentirsi chiuso all’angolo: «Avevo un contratto di sei anni firmato con Rosella Sensi col ruolo di direttore tecnico, sono entrato in punta di piedi perché era un altro ruolo, una novità». Perciò, racconta l’ex capitano, dopo un primo anno di apprendistato, era arrivato il momento di fare sul serio: «Non sono andato a Londra perché mi hanno avvisato due giorni prima e avevano già preso l’allenatore. È bravissimo e molto preparato, ma se non avessi voluto Fonseca?».
L’ALLENATORE
Il nuovo tecnico, tasto dolente: «L’unico che ho chiamato è stato Conte. A Mihajlovic, De Zerbi, Gattuso e Gasperini non ho mai scritto né telefonato». Eppure Pallotta, nella lettera ai tifosi, ha garantito che l’ex numero 10 aveva pesato nelle scelte. «L’unico allenatore che ho preso con Fienga – che voglio ringraziare perché l’unico a dirmi che avrei lavorato con lui se fosse salito al comando – è Ranieri». È Conte l’ultimo rimpianto: «Antonio aveva dato l’ok. Cambiò idea perché non avrebbe voluto fare una rivoluzione». Sarri? Non era farina del suo sacco: «So che era un pallino di Baldini».
BENVENUTI A TRIGORIA
Eccolo Franco Baldini, il Grande Rivale. Totti non tira indietro la gamba: «Da quando sono entrati gli americani hanno cercato in tutti i modi di mettere da parte i romani e alla fine ci sono riusciti. Il mio rapporto con Baldini è inesistente. Uno dei due doveva uscire. Troppi galli a cantare, ma quando canti da Trigoria non lo senti mai. L’ultima parola doveva arrivare sempre da Londra. Se ora andasse via non tornerei. Il vaso ormai è rotto». Baldini, consulente personale del mai presente Pallotta. «L’assenza del presidente pesa tantissimo. Il giocatore trova sempre alibi ma se c’è il capo si sta sull’attenti. Quando non c’è, fanno tutti come gli pare». Al Fulvio Bernardini tira una brutta aria: «Io accoltellato dentro Trigoria? Sì. Ci sono persone che non mi volevano e che fanno il male della Roma. Pallotta queste cose non le sa. Si fida di loro». E Baldissoni? «Ha cercato di direzionarmi, non so dove ma mi ha direzionato (ride, ndr). Sotto alcuni punti di vista mi ha aiutato. Non ce l’ho con lui». La Roma è sprofondata a un anno dalla semifinale di Champions. «Sappiamo i problemi del fair play finanziario. Ma bisogna dire la verità ai tifosi. Dissi che saremmo arrivati quarti o quinti e che la Juve avrebbe vinto a febbraio lo scudetto: mi è stato detto che sono un incompetente, che toglievo i sogni ai giocatori...». «Dopo le cessioni – svela Totti -, Di Francesco aveva indicato 4-5 rinforzi. Sapete quanti gliene hanno presi? Zero».
Gelo su Monchi: «Non l’ho più sentito». Lo facesse gli rinfaccerebbe soprattutto Pastore, che non nomina ma l’identikit è preciso: «Mi chiesero un parere su un giocatore, dissi che non era il caso di prenderlo perché aveva avuto tremila infortuni e non si adattava nemmeno dal punto di vista tattico». Parole di platino per Pellegrini. Gelo su Florenzi. «Se li ho sentiti? Florenzi no. A Lorenzo invece ho fatto pure i complimenti per ieri (il gol su rigore alla Spagna, ndr). È un ragazzo forte e speciale, una persona pulita che può far bene alla Roma. È tifoso e qualche romano nella Roma serve sempre, fidatevi. Perché quando si perdono delle partite e magari qualcuno ride, sono cose che fanno girare le palle. La Roma deve stare al primo posto e se hai persone così in campo e dentro Trigoria non si va da nessuna parte».
LUI E DE ROSSI IN CURVA
«A settembre avevo detto ad alcuni dirigenti che avrebbero dovuto dire a De Rossi se sarebbe stata o no la sua ultima stagione. Era il capitano e andava rispettato. Ma si è voluto creare lo stesso problema che successe con me». E la famigerata e-mail di Ed Lippie? «Io mi fido al 100% di De Rossi, metto la mano sul fuoco che lui non ha detto e pensato quelle cose». Tanto da prenotare due posti in Curva: «Sono tifoso e andrò ancora allo stadio, magari in Curva Sud. E se non andrà a giocare altrove porterò Daniele con me».
Il futuro è ancora un’ipotesi. «Tornerò alla Roma, sicuramente con un’altra proprietà. L’interesse degli emiri? Tutti vorrebbero entrare nella Roma ma io finché non vedo nero su bianco non mi fido». Spunta il nome del presidente del Coni Malagò, tifoso giallorosso candidato presidente: «Lui mi chiamerebbe certamente».
Il domani, invece, è da d.t. ma dove? «Valuterò le offerte, ne ho ricevute da squadre italiane di cui una stamattina. Prendo tutto in considerazione. Juve o Napoli? Non esageriamo...». La Nazionale? «Spero Mancini possa portarla sul tetto d’Europa e io che farò l’ambasciatore (di Euro2020, ndr) spero di portargli fortuna». È il momento dei saluti: «Se domani un calciatore mi chiedesse se è il caso di andare alla Roma gli direi che le cose belle sono la città, il mare, la montagna. E i tifosi. Che sono i più belli di tutti».