Corriere della Sera, 18 giugno 2019
Sul pamphlet di Di Battista
Un de profundis del governo, in 126 paginette di agile «pamphlet», come lo definisce il suo autore Alessandro Di Battista. Una piccola bomba a mano tirata sul governo, su Matteo Salvini e su Luigi Di Maio. I parlamentari non hanno ancora letto il testo, uscito ieri, ma sono bastate le prime anticipazioni per scatenare una rivolta contro l’ex Subcomandante che, indeciso se andare al fronte o restare nelle retrovie, ha pensato bene di minare dalle fondamenta l’esecutivo. Perché, scrive nelle ultime righe, se continuano «gli squallidi giochi di potere», il Movimento deve fare il Movimento: «Un conto è fare un patto di governo, un altro è essere complici».
L’esternazione di Di Battista viene contestata nelle molte chat che viaggiano tra i parlamentari. Si racconta che l’ex deputato avesse un accordo con Loft, la piattaforma tv del Fatto, per scrivere reportage dall’India. Ma il viaggio, pluriannunciato, è saltato. «L’accordo, ci aveva detto lui stesso – racconta un deputato —, doveva portargli un compenso di 20-25 mila euro al mese. E invece è saltato. Per questo se n’è uscito con questo libro. Per sfruttare l’immagine del Movimento e fare soldi». Quella del denaro è una voce ricorrente tra i parlamentari, infuriati. Si racconta nelle chat che abbia partecipato più volte alle «war room», i gabinetti di guerra di Di Maio, e in un’occasione abbia spiegato di aver bisogno di soldi e di sperare in un ruolo retribuito nel Movimento. Menzogne contro una voce scomoda? Possibile, ma in molti fanno notare che Di Battista sia sempre stato a favore di un governo con Salvini e che ora il dietrofront sia motivato da altro. Con l’aggravante di parlare da quasi esterno. «Ogni volta che c’è una responsabilità – scrive un parlamentare – si tira indietro. Gianroberto gli aveva offerto di fare il sindaco di Roma e ha detto no. Luigi di fare il candidato alle Europee e ha detto no. Vuole fare la rivoluzione, ma non si fa da casa, scrivendo libri. Si fa scendendo in piazza».
Un clima pessimo. Veleni e coltelli. «Pugnalate», per dirla con l’autore. Con Di Maio arroccato a Palazzo Chigi, che fa sapere di non aver letto il libro e di avere altro da fare. Il pamphlet è «Politicamente scorretto», come da titolo. Accuse, talvolta insulti. Di Battista rivela di aver cambiato idea su Salvini: «Mi fidavo di lui». Ora non più: «Sta giocando sporco. Fa strategia, provoca, cerca pretesti per attribuire al Movimento la rottura, perché la sola cosa che gli interessa è fare il premier». Salvini per Di Battista è «inaffidabile», «schiavo del potere», «un politico vecchio», «uno del sistema», «un garantista solo con gli amici». Via sms gli contestò, dice, «l’ignobile show alla Buster Keaton di Berlusconi» al Quirinale. Sms, butta lì, «forse mai arrivato». Arrivano via carta, invece, accuse e insulti. A Giovanni Malagò, «una piattola», «un coatto». Lui e Luca Cordero di Montezemolo, dice, «sono due bimbetti senza arte né parte». Fabio Fazio «uno che pensa soprattutto alla carriera», Sergio Chiamparino uno «incartapecorito». Il Pd «è iperliberista e profondamente di Destra» (nel libro si abusa di maiuscole e la parola più ricorrente è «ignobile»), mentre Salvini, prima di cambiare idea, «era molto più di sinistra del Pd».
Poi c’è Di Maio: «Ho il dovere di pungolarlo, di spronarlo, di criticarlo ove necessario». Mai pensato di sostituirlo, dice. Ma ha fatto «un grande errore»: stare zitto sui 49 milioni della Lega. E il Movimento è fiacco, non ha più «un sogno». C’è n’è anche per il governo Conte: «Gli riconosco molti successi, ma il cambiamento vero si ottiene con il coraggio». Di Battista, a San Francisco, parlava così al figlio: «Andrea, sii affettuoso con papà che rosica per non aver partecipato al Consiglio dei ministri». A leggere le reazioni furiose degli altri, forse ripenserà a quel che gli disse papà Vittorio, già Msi, il giorno che entrava per la prima volta a Montecitorio: «La politica è tremenda».