la Repubblica, 18 giugno 2019
Il papiro non è di Artedimoro
C’è chi, in anni e anni di dibattito sul cosiddetto “Papiro di Artemidoro”, ha ricantato troppe volte un facile ritornello: di fronte a un presunto falso, se la scienza parla, la filologia deve mettersi a tacere. Dunque, se la chimica o la fisica sentenziano che il papiro è autentico, non c’è argomento filologico che tenga. Il radiocarbonio ci dice che il supporto è antico? La spettroscopia Raman ci dice che gli inchiostri potrebbero esserlo altrettanto? Bene: mettetevi l’anima in pace. Il papiro è buono. Ce lo assicura la scienza.«Scienza è una parola magica», ha scritto un grande papirologo, Girolamo Vitelli. E così, magicamente, l’appello alla scienza aveva convinto molti. Ma ora arrivano brutte notizie per chi aveva sposato questa linea difensiva, e arrivano dall’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario.È lì, e in particolare all’Istituto di Patologia del Libro, che avevamo lasciato mesi fa il controverso papiro, acquistato nel 2004, per la bellezza di 2 milioni 750 mila euro dalla Compagnia di San Paolo, dietro caloroso interessamento dell’allora ministro Giuliano Urbani, di Salvatore Settis e del papirologo Claudio Gallazzi. Strabiliante per i suoi contenuti (il testo del geografo Artemidoro vissuto tra il II e il I secolo a.C. ma anche «la più antica mappa geografica fin qui nota», con disegni a soggetto umano e animale), il papiro, nel 2006, è stato denunciato come falso da Luciano Canfora. Ne sono seguiti quasi tre lustri di infervorata discussione, che da un lato ha moltiplicato i capi d’accusa contro il papiro, dall’altro ha indotto i suoi apologeti a trincerarsi dietro un silenzio superbo, o a invocare criteri dubbi come quello della maggioranza («abbiamo più sostenitori noi»: non era vero, né sarebbe stato probante se fosse stato vero) o, appunto, quello della scienza, con la sua forza intimidatoria.Finché, lo scorso novembre, la Procura di Torino non ha riaperto – anzi, chiuso, sotto il profilo giudiziario – l’annoso caso: il procuratore Armando Spataro ha riconosciuto il reato di truffa compiuto, ai danni della Compagnia di San Paolo, dal precedente proprietario e venditore del papiro, il mercante d’arte Serop Simonian, ben noto ai musei di mezzo Occidente per le sue sontuose – e non sempre immacolate – partite di merci antiche. Truffa ci fu, dunque, anche se il reato è prescritto; e il dossier di Spataro non mancava di gettare una luce sinistra sul ruolo ricoperto da chi consigliò, favorì e mediò quell’incauto acquisto, tramite perizie che giudicare disinvolte è poco. Proprio dagli atti della Procura trapelavano notizie assai promettenti su nuove analisi chimiche in corso: analisi del supporto e degli inchiostri, commissionate dalla stessa Compagnia di San Paolo, decisa a vedere finalmente chiaro nella scabrosa vicenda. Ora di quelle analisi sappiamo molto di più, grazie a un informatissimo servizio di Giulia Presutti per l’ultima puntata di Report.Ed ecco che cosa ha anticipato a Report Cecilia Hausmann, ricercatrice dell’Istituto: l’analisi spettroscopica degli inchiostri – addirittura sette, circostanza già di per sé strana in un campione così ristretto di scrittura – evidenzia una sorprendente assenza di impurezze, e ciò rende «improbabile una manifattura antica». Non solo: negli inchiostri è presente un allotropo del carbonio noto come «diamante esagonale», un «elemento che in natura si trova solo nelle rocce meteoriche, in Sri Lanka o in Canada». Non nell’Egitto del I secolo a.C., dunque. «Questa determinata struttura del carbonio», ha proseguito la ricercatrice, è anche un diffuso «prodotto industriale che nasce nell’Ottocento». Nel secolo, cioè, in cui tutto induce a collocare la stesura del papiro, da tempo attribuito da Canfora a uno fra i più temibili falsari del periodo, Costantino Simonidis.Queste le novità, dunque, affidate alle parole tanto caute quanto micidiali di chi in questi mesi ha esaminato il papiro senza tesi preconcette o conflitti d’interesse. Altro ancora sapremo a breve, quando saranno pubbliche le analisi complete.Ma fin da ora si impongono un commento e una previsione.Il commento: chi in questi anni ha invocato, con accenti stregoneschi, l’autorità chimico-fisica, forse non si è accorto di suggerire un’idea irresponsabile, e cioè che le discipline storico-filologiche procedano per azzardi e per opinioni, non per solidi e razionali argomenti corroborati dall’esperienza. Proprio ora che la chimica dà ragione alla filologia, è il caso di ricordare, con Guido Calogero, che non è mai segno di raziocinio «evocare la scienza come rivelazione di arcane verità». La verità, manifesta e non arcana era già stata dimostrata e sotto gli occhi di tutti. La previsione: chi difende il papiro con il conforto e il dogma della fede non cederà di un passo, e continuerà a sostenere che il reperto è autentico, filologia o non filologia, chimica o non chimica. Alla peggio, evocherà meteoriti piovute sul cranio del copista. Per costoro, il papiro è come il Dio di Anselmo: troppo perfetto per non essere anche vero. Pazienza: con la fede (o la malafede) c’è poco da fare. Tuttavia, i tanti studiosi che in questi anni hanno aderito al partito degli agnostici – questo sì un partito di maggioranza – e hanno evitato di pronunciarsi, forse trarranno coraggio dalla chimica, e ammetteranno finalmente che qualcosa non va: lo si sapeva da tempo, ma non è mai tardi per riconoscerlo. Non vogliono dire che è un falso? Accontentiamoci, allora, di un’ammissione minimale: nessuno, se intellettualmente onesto, può dichiarare questo papiro autentico.