il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2019
Valentina Pitzalis, la vittima di un tentato femminicidio accusata di omicidio
La giustizia mi sta facendo più male di quanto me ne abbia fatto il mio ex quando mi ha dato fuoco”. Le parole di Valentina Pitzalis sono asciutte e spaventose. E chi conosce la vicenda, non fatica a crederle. Valentina Pitzalis è l’unica vittima di tentato femminicidio in Italia, e forse del mondo, a cui non è permesso di essere una vittima.
Tutto inizia il 4 marzo 2006 in Sardegna, a Carbonia, città operaia dal glorioso passato minerario, quando Valentina, 22 anni, sposa il suo coetaneo Manuel Piredda, dal passato turbolento. Ha 18 anni quando Eleonora, la sua fidanzatina minorenne, lo lascia. Manuel la perseguita, stampando volantini in cui la ragazza era seminuda e diffondendoli in giro per Iglesias. Revenge porn artigianale. Insieme a un complice la tormenta con telefonate anonime e sms quali: “Ciao troia sono M31, ti distruggerò sia fisicamente che psicologicamente”. Viene condannato a un anno di reclusione. Dopo il matrimonio con Valentina, Manuel è geloso in maniera ossessiva, ricopre di buste il pavimento della loro camera da letto per sentire se Valentina si alza mentre lui dorme. I due fanno brevi esperienze lavorative in Germania. Il proprietario della gelateria tedesca che li prese a lavorare, dopo più di dieci anni, dice: “Me li ricordo bene quei due, povera ragazza. Lui un tipaccio, lei fine e gentile ma soggiogata, piangeva per le scenate di gelosia. Li mandai via dopo tre giorni”.
Nel 2009 Manuel viene arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, va ai domiciliari. La perizia psichiatrica accerta una dipendenza da benzodiazepina che incide sui tratti aggressivi della sua personalità. Nel 2010 Valentina lo lascia, lui confessa di essere andato con una prostituta. Manuel è dipendente da xanax, beve, fuma hashish. Viene denunciato per furto, chiede il rito abbreviato con a fine aprile 2011. È in attesa dei domiciliari. Valentina, dopo la rottura, trova un lavoro come barista, si diploma, esce con un ragazzo. Lui le scrive che gli manca, ma lei è irremovibile: il matrimonio è finito.
IL TENTATO OMICIDIO. La sera del 17 aprile 2011 Manuel chiede a Valentina di passare a casa sua dopo il lavoro. Lui ha occupato abusivamente un appartamento dove conta di scontare i domiciliari. Le chiede di portargli un documento perché il giorno dopo ha appuntamento col suo avvocato (l’avvocato smentirà). È una trappola. Lei gli scrive via sms: “Io penso ke se avevi tutta questa urgenza venivi a prendertelo. Se ti va bene te lo porto domani mattina”. Ma lui la convince. Quando Valentina entra in casa, Manuel le butta addosso della benzina e le dà fuoco. Prende fuoco anche lui, probabilmente senza volerlo. Manuel muore, Valentina brucia per 20 minuti, rimane mesi in ospedale, ma si salva. Ha perso la mano destra, le orecchie, il naso. Subirà un numero infinito di operazioni.
LA PERSECUZIONE. Quando Valentina è tra la vita e la morte, inizia la campagna d’odio nei suoi confronti. Utenti con profili fake, mentre è in coma, scrivono su Facebook cose come “Bugiarda parassita ha appiccato lei il fuoco sennò col cazzo che si era salvata, ha scritto in faccia che è carogna di merda”, “Manuel era un ragazzo d’oro”. La sorella di Valentina, Francesca, racconta: “Mi presentavo tutti i giorni con questi messaggi dai carabinieri, in lacrime”. Valentina esce dall’ospedale. Non ha mai una parola d’odio per Manuel, ripete: “Non era un mostro, ha fatto una cosa mostruosa”. La signora Roberta Mamusa, madre di Manuel, apre una serie di pagine Facebook tra cui una (attiva) con 30.000 adepti. Tutti i giorni, da otto anni, su quelle bacheche scrive su Valentina cose come “Piccolo condor che si intende di dimensioni varie”, “Strega maledetta”, “Hai la faccia che ti meriti”. I suoi seguaci commentano: “Doveva finire di bruciare”, “Psicopatica”. Vicini di casa di Valentina la minacciano di morte, altri guardano cosa fa dalla finestre di fronte e lo riferiscono nel gruppo, la Mamusa invita i 30.000 follower a tempestare di mail chiunque la inviti in tv e realizza video in cui urla: “Non ho niente da perdere, non mi fermerò mai!”. Insulta i giornalisti che difendono da sempre Valentina, tra cui Fabio Lombardi di Quarto Grado. Arriva a pubblicare un vecchio diario di Valentina spacciando testi di canzoni in cui si parla di morte per propositi omicidiari della ex nuora. La vita di Valentina è questo inferno dal 2011. La Pitzalis sporge denuncia più volte. Roberta Mamusa viene condannata in sede civile, ma si dichiara nullatenente. Oggi è a processo per diffamazione aggravata e continuata, ma continua a scrivere: “A me delle denunce e delle condanne non importa niente, vado avanti!”. Valentina non può più collaborare con la onlus FareXBene andando per scuole e convegni: ha paura ed esce di casa solo accompagnata. Vive dei suoi con una pensione minima, con cui non riesce più a pagare operazioni e spese legali. Si avvia verso la morte sociale.
La riapertura delle indagini. Dopo ben due archiviazioni per morte del reo, Valentina Pitzalis, dal 5 luglio 2017, è indagata per omicidio e incendio doloso. Quali sono le novità che determinano l’apertura di nuove indagini? Una consulenza sulle ustioni della Pitzalis accompagnata alla denuncia di Roberta Mamusa contenente indizi schiaccianti quali “Valentina amava i teschi”, “Valentina si è sposata con un abito nero”. O anche passaggi su una signora che ha saputo da uno dei dipendenti delle pompe funebri, amico del suo ex marito, che “Manuel potrebbe non aver sofferto mentre bruciava poiché era morto prima a causa di un colpo alla testa che gli aveva perforato il cranio”. A supportare questa tesi arriva poi la consulenza della criminologa Elisabetta Sionis. Colei che si definisce “d.ssa criminologo clinico esperto in psicologia giuridica” ma che non risulta iscritta ad alcun albo professionale. Ha analizzato le foto della scena del crimine e avrebbe notato un foro da proiettile sulla porta, proiettili per terra, uno nel cranio di Manuel, tagli vari.
Il corpo di Manuel semi-carbonizzato e putrefatto viene riesumato, a sei anni dalla morte. Niente proiettili e colpi in testa, la criminologa s’è sbagliata. Alla prima udienza dell’incidente probatorio, il colpo di scena: secondo la professoressa Elena Mazzeo, perito del Gip, dagli esami sulla salma di Manuel risulta sì che il ragazzo è morto per asfissia, ma non ha respirato fumo prima di morire perché la quantità di monossido di carbonio nel suo corpo è esigua. Dunque era già morto prima di prendere fuoco. Solo che non ha segni di strangolamento, come sia soffocato non si sa. La novità è accolta con fuochi pirotecnici dalla Mamusa, dai suoi legali, dalla criminologa Sionis. La stessa Sionis a cui, nell’ultima udienza del 10 giugno, il giudice ha estromesso una consulenza difensiva di centinaia di pagine con considerazioni sulla personalità di Valentina oltre l’immaginabile. Basti pensare che in un passaggio la criminologa azzarda un’analogia tra la Pitzalis e Freddy Kruger, ustionato anche lui e anche lui capace di uccidere una ragazza dandole fuoco. Allega anche una foto di Valentina con un maglione e un cappello simili a quello del protagonista del film Nightmare. Attenzione però. Il team difensivo della Mamusa non è solo questo, tra i consulenti spicca il professor Vittorio Fineschi, ex consulente della famiglia Cucchi. Il luminare, che riferisce di essere ritenuto un “influencer”, ritiene che Manuel sia verosimilmente morto per asfissia meccanica indotta con mezzi morbidi: una calza di seta da donna, per esempio, potrebbe determinare un’asfissia senza lasciare solchi profondi sul collo. Difficile però immaginare che Valentina Pitzalis, 1,57 di altezza per 50 chili, abbia potuto soffocare in due, tre minuti al massimo Manuel Piredda. Il tutto bussando alla sua porta con in mano cellulare, calza o busta per soffocarlo e una tanica di benzina.
LA DIFESA. L’avvocato Cataldo Intrieri che insieme alla collega Adriana Onorato difende Valentina Pitzalis considera questo caso unico nel suo genere. “È un meccanismo di fake news applicato alla giustizia: un tentato femminicidio archiviato viene riaperto cinque anni dopo in base ad una denuncia della famiglia Piredda basata su illazioni e su un falso. Il Gip di Cagliari dispone un’autopsia sulla salma che esclude ferite da arma da fuoco. Già basterebbe questo a chiudere la pratica in quanto la notizia di reato denunciata dai Piredda è falsa, invece si procede”.
Cosa dice questa perizia che fa cantare vittoria alla Mamusa?
Niente, che Piredda è morto di asfissia in un ambiente pieno di fumo. Secondo la scienza si muore asfissiati perché si sono respirati gas tossici o perché non si respira più ossigeno a causa dell’anidride carbonica che invade un locale angusto. Quella notte i vigili entrarono con l’autorespiratore perché la stanza dove giaceva Manuel era invasa dal fumo mentre Valentina era a terra, in un’altra stanza, vicino a una finestra rotta, il che l’ha salvata. Eppure i periti avanzano un’ipotesi in parte simile a quella dei Piredda, che Manuel fosse già morto prima di essere attinto dal fuoco. Come, non ce lo dicono, ma basta il dubbio per parlarne.
Nella perizia della Mazzeo si afferma che Valentina sia stata investita da un ritorno di fiamma mentre il corpo di Manuel bruciava.
I vestiti di Valentina erano impregnati di benzina, lo dice il verbale dei Carabinieri, su quelli di Manuel non sono state trovate tracce di idrocarburi, lo rilevano le analisi dei periti. Quindi è senz’altro Manuel ad aver dato fuoco a lei.
La tesi del perito del giudice Mazzeo e quella del consulente della famiglia Piredda, il professor Fineschi, però coincidono.
La professoressa Mazzeo dopo l’autopsia decide che ha bisogno di un aiuto di altri colleghi. Nel frattempo la famiglia Piredda, dopo un valzer di consulenti, li revoca tutti e nomina un luminare, il prof. Vittorio Fineschi. Questi periti hanno una caratteristica comune, oltre l’autorevolezza: sono tutti professionalmente e accademicamente vicini a Fineschi. Risulta che Fineschi abbia numerose pubblicazioni con la dottoressa Mazzeo, con la Bertol e con la Neri (gli ausiliari). Risulta che la Neri sia stata allieva e sia cresciuta professionalmente col professor Fineschi e, insieme alla professoressa Bertol, sono stati membri della medesima commissione di esami per l’assegnazione di ambite cattedre universitarie.
Perché la questione è importante?
Numerose sentenze della Cassazione ribadiscono la necessità dell’indipendenza dei periti e dei consulenti. Infatti il professor Fineschi, nella vicenda Cucchi in cui era consulente delle parti offese, ha contestato un perito ritenendo che fosse professionalmente vicino a un altro.
Come si può essere certi dell’indipendenza di un consulente?
Se la sera prima dell’udienza di un caso delicato in cui lei fosse indagata vedesse a cena insieme il perito del giudice con i consulenti della controparte avrebbe ragione ad allarmarsi. L’indipendenza è garantita dal fatto che non ci sia vicinanza e familiarità tra periti del giudice e consulenti di parte, allo stesso modo che tra avvocati e giudici. Io non so come siano i rapporti con l’autorevole consulente del Pm, una parte pubblica dunque, professor Tagliaro. Ma lui boccia il lavoro della professoressa Mazzeo.
Che ne sarà di Valentina Pitzalis?
Ho fiducia nella giustizia. La controparte si dichiara sicura della richiesta di rinvio a giudizio, non mi spiego il perché. C’è un danno da processo che ogni vittima subisce per il solo fatto di entrare in un’aula a rivivere l’orrore. Ma qui è molto peggio, il ruolo di Valentina è stato capovolto, è diventata un’indagata. Le leggi e le direttive europee impongono la tutela della vittima. Non ho rinvenuto in questa vicenda una tale sensibilità da parte dello Stato e per me è questo il rammarico professionale più grande.