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 2019  giugno 18 Martedì calendario

Periscopio

Gli spauracchi impauriscono? Sono soltanto racchi. Dino Basili. Uffa news.Il premier Conte non riesco a capirlo. Parla benissimo e non dice nulla. Come Forlani. Per questo sta bene a tutti. Pippo Baudo (Goffredo De Marchis). la Repubblica.
L’errore più grave è stato di non essermi dimesso definitivamente dopo la sconfitta, non solo da premier (nonostante avessi ancora 174 voti per la fiducia), ma anche da segretario. Mi dicevano: ma no, resta, noi siamo con te… Dovevo mollare tutto. Andare a fare conferenze in giro per il mondo. Stare fuori dieci anni. Matteo Renzi, ex premier (Gian Antonio Stella). 7.
Di Totò Di Pietro, Davigo fu il migliore amico all’epoca del pool, stimando che dalla sua energia primordiale le inchieste potessero trarre linfa. Nacque un’alleanza tra opposti: Di Pietro fu soprannominato il «troglodita», Davigo il «dottor sottile». Fecero squadra, cooptando il pm Gherardo Colombo. Il trio si divise i compiti: Di Pietro interrogava impaurendo gli imputati con urlacci, l’occhialuto Colombo compulsava le scartoffie, il più tecnico Davigo vergava richieste di carcerazione, rifiuti di scarcerazione, prolungamenti di carcerazione. Talvolta si scambiavano i ruoli. Quando interrogarono il dc Enzo Carra, Di Pietro si tenne in ombra e Davigo recitò la parte del troglodita, roteando gli occhi e sbattendo a terra un codice, prima di ammanettarlo. Giancarlo Perna, saggista politico. LaVerità.
È morto a 91 anni a Milano Gigi De Fabiani, a lungo vice direttore del quotidiano Avvenire e direttore del settimanale il Sabato. Cattolico di stampo ambrosiano, era poco incline alle frequentazioni romane o vaticane: e questo gli dava quell’anima popolare, che lo contraddistingueva sin nella parlata. Giuseppe Frangi. Il Sussidiario.
Leonardo Luccone è un dottore delle virgole, un meccanico del punto esclamativo, uno che va di scuola in scuola a raccontare ai ragazzi che quei segni che separano le parole non sono semplicemente gli antenati delle «faccine», non sono emozioni per colorare il testo e non vanno sparsi come facevano Totò e Peppino, con geniale comicità, nella lettera sulla moria delle vacche. «Punto! Due punti!! Ma sì, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum». Vittorio Macioce. Il Giornale.
Ha soggiornato nel campo di sterminio di Auschwitz più di 250 volte, spesso per mesi, e ci torna di continuo. Ha recuperato la prima camera a gas di Birkenau: sopra ci viveva una famiglia di contadini polacchi che ignorava di coltivare il giardino sulle fosse comuni. «In passato dormivo nella Kommandantur di Rudolf Höss, l’artefice delle “docce” e dei forni, impiccato nel 1947 accanto al crematorio». E non aveva gli incubi? «No, solo un senso di rivincita». Marcello Pezzetti, direttore del nascente Museo della Shoah di Roma (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Sono stato scoperto a dire balle e, lo confesso, la cosa mi ha umiliato. Un episodio spiacevole avvenne con il mio amico Giovanni Urbani, ci si vedeva quasi tutte le sere. Uomo straordinario, colto, raffinato. Un vero signore. A lui raccontai episodi della mia vita che non erano mai accaduti. E quando per caso lo scoprì avvertii come un senso di disprezzo che decretò la fine della nostra amicizia. Ne hai sofferto? «Al punto da sentirmi sopraffatto dalla vergogna». Angelo Guglielmi, critico letterario (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Io e mamma giravamo con il naso in su mangiando spesso per strada. Morì l’impresario di papà e il suo contratto passò al proprietario del ristorante Zi Teresa. Gente simpatica, italiani, gentilissimi. Poi capimmo che non erano proprio dei bonaccioni. Degli ingaggi si occupava don Paolino Palmieri e ogni tanto apparivano altri «don»: Joe Barbara, Vito Genovese... Non bastasse, allo scadere dei cinque anni in America ci obbligarono a uscire dal Paese per non darci la residenza. Johnny Dorelli, cantante (Pierluigi Vercesi). Corsera.
Nell’autobiografia Sold out Umberto Orsini, a 85 anni, fa un bilancio della carriera alla vigilia del debutto teatrale con Il costruttore Solness di Ibsen. La sola apparente stonatura è l’età. Come si fa ad avere 85 anni quando si è un attore elegante, levigato, allegro e di dotti pensieri? Anna Bandettini. la Repubblica.
Giurai a me stesso se mai fossi riuscito a tirarmi fuori dal mio impero, l’Urss, avrei affittato una camera al pianterreno di un palazzo di Venezia, in modo che le onde sollevate dagli scafi di passaggio venissero a sbattere contro la mia finestra, avrei scritto un paio di elegie spegnendo le sigarette. Sui mattoni umidi del pavimento, avrei tossito e bevuto; e quando mi fossi trovato a corto di soldi invece di prendere un treno mi sarei comprato una piccola Browning di seconda mano e, non potendo morire a Venezia di cause naturali, mi sarei fatto saltare le cervella. Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili. Adelphi, 1991.
Passava qualche automobile e tanti tram: finiva l’estate quella sera che per la prima volta entrai nell’osteria dei fratelli Menghi in via Flaminia, a Roma, di fronte al mercatino e alla fabbrica di ghiaccio; poco distanti, dietro il muro che le nascondeva, sorgevano alcune baracche occupate da artisti sfortunati e affamati. A condurmi dai Menghi fu Marco Cesarini Sforza. Ugo Pirro, Osteria dei pittori. Sellerio, 1994.
La Mercedes risaliva la grande arcata del ponte, e sulla sinistra si vedeva l’isola di Manhattan. I grattacieli erano raggruppati cosi strettamente che se ne poteva percepire la massa compatta e il peso stupendo. Pensate soltanto ai milioni sparsi in tutto il globo che aspirano a stare su quest’isola, in questi grattacieli, in queste strade strette! Tom Wolfe, Il falò delle vanità. Mondadori, 1988.
Per Caviglia, l’azione di D’Annunzio a fiume è «un’enorme fesseria»; indebolisce la posizione del governo di fronte agli alleati nelle ore delle trattative; scuote le fondamenta dell’esercito e il suo prestigio agli occhi del mondo; mina l’autorità dello Stato, è un bubbone da incidere. Badoglio, che ha tollerato l’indisciplina per inseguire il successo politico e il sogno dell’ingresso trionfale a Fiume a fianco di D’Annunzio, se ne va, come sempre, quando le cose si complicano. Se ne lava le mani e passa a Caviglia la patata che scotta. Italo Pietra, I Grandi e i Grossi. Mondadori, 1973.
A Lella piacevano le carte da gioco in modo morboso e aveva un mazzo sempre pronto nella tasca della vestaglia. Pupi Avati, Il papà di Giovanna. Mondadori, 2008.
Checché se ne dica, una donna è bella quando è bella. Roberto Gervaso. Il Messaggero.