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 2019  giugno 18 Martedì calendario

Franco Zeffirelli concesse quattro anni fa a ItaliaOggi questa sua ultima grande intervista

Franco Zeffirelli appare all’improvviso, su una sedie a rotelle elettrica, che manovra con maestria fra i vasi, le statue, gli arredi, i tappeti della sua villa romana, immersa nel verde del quartiere Appio. Alle pareti tantissime foto di quando era giovane e bello, coi grandi della Terra, presidenti americani, regine inglesi, artisti di tutto il mondo e almeno cinque con Silvio Berlusconi, immagini in altrettanti punti dei vari salotti: «Gli sono molto attaccato», spiega. Ma il ricordo che tiene a mostrarmi è la lettera scritta di pugno da Madre Teresa di Calcutta. «Caro Signor Zeffirelli», gli si rivolgeva la suora albanese divenuta santa nella lontana India, «non siamo chiamati a fare delle cose straordinarie, ma fare le piccole cose di ogni giorno con grande amore».Zeffirelli, fiorentino, classe 1923, ha fatto le une e le altre, a cominciare dalle grandi regie operistiche, dagli allestimenti mitici, dai bei film. Fu persino regista delle riprese dell’Anno santo del 2000, con la straordinaria immagine di Giovanni Paolo II stagliata a lungo contro la Porta Santa aperta, col vecchio pontefice piegato dalla malattia da reggersi in piedi a malapena, abbarbicato al pastorale.
Oggi gli anni e la vita che avanza attaccano lui, Zeffirelli: gli rendono difficile camminare e ne affaticano la parola, ma l’azzurro dei suoi occhi è quello di sempre e la vis polemica ridà tono alla voce, specialmente se si parla della sua Firenze, per la quale lavora alacremente. E queste sono le piccole cose di ogni giorno, fatte indubbiamente con amore.
Domanda. Maestro, dunque è fatta: la sua fondazione ha trovato casa nella sua città.
Risposta. È sarà in un luogo bellissimo, nell’ombelico di Firenze, alle spalle di Palazzo Vecchio, dove sorgeva un convento gestito dai padri gesuiti. Era un centro culturale e religioso al tempo dei granduchi: un convento importante, da una parte, con la chiesa, e dall’altra un’aula aperta che divenne sala del Tribunale. Ci portavano gli arrestati, li benedicevano e poi li mandavano a morte. Ci passavo da ragazzino.
D. E che cosa pensava?
R. Sognavo. E nel tempo ho capito tesoro fosse, l’ho tenuto d’occhio negli anni. Quando ho visto che il Tribunale si spostava a Novoli, nella zona Nord-Ovest della città, in quell’orribile palazzo di giustizia...
D. Progettato da Leonardo Ricci...
R. Non me ne parli è un’opera tremenda, ma torniamo a noi.
D. Prego.
R. Quando vidi che si spostava tutto là pensai che potesse essere il luogo giusto per la mia fondazione.
D. In realtà, prima, il Comune le aveva proposto un’altra soluzione: la palazzina liberty che fu lo studio dello scultore ottocentesco Rinaldo Carnielo.
R. Sì ma che era troppo piccola, non c’era lo spazio per tutte le cose che ho raccolto in questi anni.
D. Ricordiamole.
R. Ho lavorato per 70 anni nei teatri da tutto il mondo: da Verona a Parigi, dal Giappone al Metropolitan di New York e sorvolo sui tanti festival. Ho raccolto tutta la storia creativa, artistica di quel lavoro, fatto di bozzetti, appunti, costumi, scenografie, libri, quadri.
D. Cos’altro ci sarà?
R. Sarà una casa d’arte fiorentina, con teatro e scuola di musica. D’altra parte io, da anni, sono ossessionato dal recupero di questa città che stava cedendo all’abbandono culturale. Hanno spostato il Maggio musicale laggiù, al Parco delle Cascine, costruendo un teatro (il nuovo Teatro dell’opera, ndr) che è una bestemmia, tanto è inservibile. Un merdaio, mentre la musica è un’arte finissima, rappresenta a Firenze da ben due scuole, il Conservatorio e la Scuola di Fiesole
D. Fu un progetto della giunta del diessino Leonardo Domenici. Lei da tempo si scagliava contro la città governata dai comunisti.
R. Perché era una città devastata dall’ignoranza materialistica, dalla vergognosa mancanza cultura. La sinistra aveva ridotto questa città a nulla: si pisciava su Donatello e si pensava solo al calcio. Entrai in politica per questo, feci il senatore con Forza Italia.
D. Quella sinistra non c’è più. Eppure col sindaco attuale, Dario Nardella, un ex diessino, lei va d’accordo.
R. È un giovane, di quei giovani aperti al mondo. È bravo, fa quello che può anche se i vecchi comunisti cercano di mettergli i bastoni fra le ruote.
D. Che cosa immagina per la sua Firenze? Come la vorrebbe?
R. Che abbia un’immagine all’altezza della sua storia! Dopo il Partenone c’è la Cupola di Filippo Brunelleschi: supera qualsiasi altro monumento. Da bambino, abitando in Via dell’Oriolo, per andare a scuola dovevo passarci accanto e la osservavo: mi pareva un miracolo e dicevo una preghiera. Chi l’ha fatta? Mi chiedevo. Un prete mi disse che l’aveva fatta Dio, e per un po’ c’ho creduto, tanto era bella.
D. Sa che un po’ di giorni fa il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, s’è arrabbiato pubblicamente perché nel logo toscano per Expo, commissionato dalla Regione, c’era la Cupola e non la Torre pendente?
R. Ma come si fa? La Cupola è un miracolo vero, io ci feci la tesi di architettura. Brunelleschi ha fatto vivere una volta di cinque metri, mattone dopo mattone. Non ci sono eguali nel mondo, è la forza della statica. San Pietro, in confronto, è una cosa becera mentre lì c’è l’armonia, l’aristocrazia della forme. E ci vollero 40 anni, s’immagina cosa voglia dire essere fedeli al progetto per quattro decenni?
D. Lei, per tornare a noi, è fedele a Silvio Berlusconi da tanti anni, a differenza di altri.
R. È una persona a cui sono molto legato, un lombardo in gamba che ha approfittato dell’economia statica della Lombardia per costruire un immenso patrimonio. Anche se poi non lo ha potuto amministrare degnamente.
D. Per la politica?
R. Per le cose orrende che gli hanno fatto: di tutto, una persecuzione giudiziaria. E poi, le donne, si sa, l’hanno rovinato, hanno approfittato di lui.
D. C’è chi dice che dovrebbe cedere il passo, favorire la successione in politica...
R. Ma non c’è nessuno! Chi potrebbe farlo? E guardi è una crisi europea non solo italiana, quella della politica. Prenda i Francesi, che pure hanno avuto una rivoluzione vera e che, in tempi più recenti, hanno avuto personaggi come Charles De Gaulle. Oggi brancolano nel buio anche loro.
D. Qualcuno dice che l’unico erede del Cavaliere sia Matteo Renzi. E lo dicono spesso per non fare un complimento al presidente del consiglio. Lei che ne pensa?
R. Il più vicino ai sogni di Berlusconi è effettivamente Renzi e non capisco le vecchie leve di Forza Italia, raggrinzite come lucertole, che cosa abbiano da eccepire.
D. Che idea s’è fatta del suo ex sindaco?
R. Che farà una vita difficile. Mi piace molto ma lo compatisco perché sarà costretto a fare i salti mortali, a fare cose anche un po’ populiste per resistere, avendo tutti contro, a sinistra ma anche fra i conservatori.
D. La sinistra non è più comunista grazie a lui, in un certo senso.
R. Lui è un ragazzo della banda democristiana. C’erano dei cattolici anche prima a sinistra, intendiamoci, ma sempre proni al partito, riverenti a Marx, buoni cervelli ma non erano tenuti affatto a briglia sciolta. Lui è diverso.
D. Quando era sindaco s’era messo in testa di rifare la facciata dell’antica basilica della basilica San Lorenzo, rimasta incompiuta, utilizzando i progetti originali di Michelangelo. I puristi inorridirono.
R. Chapeau, invece, perché era un’idea magnifica. Coi documenti che ha lasciato Michelangelo lo si potrebbe fare davvero. L’importante è la fedeltà al progetto. Michelangelo operava con grande dettaglio e sceglieva con cura le maestranze, che dovevano essere forti e adatte all’opera che andava realizzando.
D. Una cosa che Renzi ha fortemente voluto, come sindaco, è stato l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola che fra un po’ sarà realtà con la nuova pista che porterà con più facilità a Firenze, i tanti che desiderano visitarla. Forse sarebbe il caso di adeguare anche la struttura aeroportuale, oggi ai minimi termini.
R. Per l’Amerigo Vespucci, ora che diventerà uno scalo all’altezza di una città come Firenze, ci vorrebbe una soluzione architettonica adeguata. Avrebbe bisogno di un progetto al livello della Stazione di S. Maria Novella, capolavoro firmato da Giovanni Michelucci o anche delle soluzioni ardite che Pier Luigi Nervi scelse per lo stadio.
D. Chi potrebbe firmare un progetto del genere?
R. Il grande boom degli architetti è forse finito 50 anni fa, anche se a Londra e a Parigi, si fanno ancora grandi progetti. E anche in Arabia Saudita ci sarebbero gli studi all’altezza. Ci vorrebbe un concorso internazionale, d’altra parte le barriere linguistiche e culturali sono in architettura un retaggio del passato. Purché, ripeto, sia qualcosa all’altezza.
D. Poc’anzi ricordava la stazione di Michelucci.
R. Un luogo di cui andare orgogliosi. Non era facile realizzarla lì, col fosso, il Mugnone e la Fortezza da Basso, a ridosso, e la basilica di S. Maria Novella molto vicina. Invece Michelucci, con gli architetti del cosiddetto Gruppo Toscano, fece un capolavoro, chiamando Ottone Rosai a impreziosirne il ristorante, con due lavori a tempera.
D. Lei che ha passato la vita girando il mondo, da un teatro all’altro, a quale aeroporto che ha frequentato vorrebbe che assomigliasse? Ce n’era uno che le piaceva di più?
R. Tutti e nessuno. Alcuni, come Orly a Parigi o l’Edward Lawrence Logan di Boston, li trovo bellissimi. Ma richiamarsi a Santa Maria Novella sarebbe una sfida e ricordiamoci che Michelucci fece una rivoluzione in architettura, tanto da suscitare l’ostilità di molti a quell’epoca.
D. In passato anche una stazione ferroviaria poteva essere una grande occasione culturale. E lei, alla cultura, ha dedicato la vita. Come vede l’Italia da questo punto di vista?
R. Male. La massa è corrotta nel gusto. Il vero guaio è stata la televisione.
D. Dalla quale Pier Paolo Pasolini, quasi 50 anni fa, vedeva discendere il rischio dell’omologazione.
R. E Pasolini aveva ragione.