18 giugno 2019
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Biografia di Boris Johnson
Boris Johnson (Alexander Boris de Pfeffel Johnson), nato a New York il 19 giugno 1964 (55 anni); cittadino britannico (già detentore di doppia cittadinanza britannica e statunitense, cui ha rinunciato nel 2016 per ragioni fiscali). Politico (Partito conservatore). Parlamentare del Regno Unito (dal 7 maggio 2015; già dal 2001 al 2008). Già segretario di Stato per gli Affari esteri e del Commonwealth (2016-2018). Già sindaco di Londra (2008-2016). Giornalista. Già direttore del settimanale The Spectator (2008-2015). «Le mie possibilità di diventare primo ministro sono all’incirca pari a quelle di trovare Elvis su Marte o che io mi reincarni in un’oliva» (Boris Johnson nel 2004) • «Il suo bisnonno era il turco Ali Kemal, poeta e politico liberale filo-occidentale assassinato quando era ministro degli Interni. Sposò Winifred, mezza svizzera e mezza inglese, che diede il suo cognome ai figli. Uno era Stanley, padre di Boris, ricercatore universitario, giornalista, intellettuale, politico diventato eurodeputato nel 1979. La mamma, Charlotte, era figlia del Lord liberale Fawcett, una famiglia con antenati ebrei lituani e nobili francesi. Oggi i Johnson contano 17 nazionalità diverse» (Giuseppe De Bellis). «Sua nonna discendeva per via illegittima da re Giorgio II, per cui il nostro Boris è imparentato con buona parte delle famiglie reali d’Europa (oltre che essere lontano cugino di David Cameron). […] Lui stesso si è definito “un melting pot umano”, con bisnonni cristiani, ebrei e musulmani. Il risultato finale: un mix tutto britannico di cosmopolitismo ed elitismo» (Luigi Ippolito). «Nasce a New York il 19 giugno del 1964 da genitori inglesi, Stanley Johnson e Charlotte Fawcett, allora rispettivamente ventitré e ventidue anni di età, oltreoceano per una borsa di studio vinta da Stanley, poeta e scrittore in erba e all’epoca fresco di laurea ad Oxford. Quel “Boris”, secondo nome con cui poi è diventato celebre (non in famiglia, dove per genitori e fratelli è sempre stato ed è tutt’ora semplicemente “Al”), è un omaggio di mamma e papà a Boris Litwin, un facoltoso russo di stanza in Messico, padre di una compagna di scuola di Stanley, il quale regalò a lui e alla giovane moglie un biglietto aereo di prima classe per tornare a New York, avendo i due deciso di avventurarsi in un viaggio a Città del Messico in autobus mentre Charlotte era all’ottavo mese inoltrato di gravidanza. “Non puoi tornare in autobus nelle tue condizioni”, disse Litwin. “Grazie – rispose Charlotte –. Qualsiasi cosa succederà, il mio bambino lo chiamerò Boris”. […] Pochi giorni dopo, Boris fu. Segue un’infanzia in Inghilterra, vissuta fra Oxford – dove i suoi tornano prima che Boris compia un anno per permettere a Charlotte di laurearsi – e Londra, presso la casa dei nonni materni, ramo della famiglia noto per le spiccate doti d’intelletto e l’impegno politico marcatamente liberal. Il nonno materno, l’avvocato di fama internazionale e membro della Commissione Europea per i diritti umani Sir James Fawcett, verrà ricordato in un obituary sul Times di Londra come “an intellectual colossus”» (Federico Sarica). «Fino agli otto anni era praticamente sordo, […] e ha dovuto subire otto interventi» (Nicholas Farrell). «Studioso e persino ordinato, soltanto negli anni di Eton e Oxford Alex diventa Boris, inizia a giocare a rugby, ad appassionarsi al latino e alla storia, a trasformarsi in un seduttore, di donne e di amici e poi di elettori, costruendo la sua fama di monello che dice sempre quel che pensa» (Paola Peduzzi). «È proprio a Eton, […] il prestigioso e austero collegio maschile […] dove da sempre […] si forma in età adolescenziale buona parte della classe dirigente inglese, […] che Johnson e Cameron incrociano per la prima volta i loro destini: David, di due anni più giovane, studente modello; […] Boris dapprima defilato (e ricordato dai vecchi colleghi più per la chioma che per la carriera scolastica e le medaglie al merito) poi sempre più in vista, a causa della sua poliedricità e delle sue doti performative – adorava recitare i classici, di cui si innamorò proprio a Eton, grazie al suo mentore di allora, il professor Hammond. È sullo storico giornale studentesco di Eton, The Chronicle, che sia Cameron che Johnson firmano i loro primi articoli. […] Dicevamo degli anni di Eton, cui seguono quelli al Balliol College, […] e da lì l’ingresso nelle redazioni: il Times, il Daily Telegraph e poi il settimanale The Spectator, di cui diventa direttore nel ’99» (Sarica). «Licenziato dal Times per essersi inventato una citazione, Johnson era passato al Telegraph e si era conquistato una reputazione di euroscettico come corrispondente da Bruxelles, criticando incessantemente la Ue» (Nicol Degli Innocenti). «Johnson letteralmente inventò un genere: la messa in ridicolo, tramite resoconti sarcastici, esagerati, spesso non accurati o addirittura falsi, delle istituzioni europee» (Sabrina Provenzani). «Rischiò l’espulsione dal Belgio quando maltrattò un poliziotto che gli fece un verbale e gli intimò: “La Loi c’est moi”. Lui rispose con un pezzo intitolato: “È vero ciò che dicono dei belgi”. L’incidente diplomatico che seguì fu il primo di una lunga serie. Il giovane Johnson dimostrò rapidamente un’immensa capacità di scrittura, frutto di un talento naturale consolidato con gli studi a Eton. Colpiva per il fervore thatcheriano e la conoscenza dei classici. Nelle pause del lavoro ingaggiava insoliti duelli letterari con l’allora corrispondente del Times, Michael Binyon. Il gioco consisteva nel recitare il primo verso d’una poesia pescata in secoli di repertorio britannico e vedere se l’altro sapeva andare avanti. Boris la prendeva seriamente. Aveva spesso con sé una raccolta dei poeti suoi connazionali con cui esercitava la portentosa memoria. Ostentava dimestichezza col latino e passione per l’Antica Roma oltre che per l’Italia. […] Vestiva abiti di marca perlomeno scuciti. Camminava a testa bassa. Era celebre per il senso dell’umorismo tagliente. […] In sala stampa era temuto e ammirato. Poneva lunghe domande, taglienti e salaci. Dimostrò di avere un’anima quando, durante un servizio nel quartiere a luci rosse di Anversa, esitò a lungo prima di entrare a intervistare una giovane prostituta dell’Est europeo. Irritò tutti, ma non litigò con nessuno. Era un europeo antieuropeo» (Marco Zatterin). «Margaret Thatcher lo elegge a suo giornalista preferito. Ma i suoi articoli al vetriolo contro la Commissione Delors contribuiscono a esacerbare quella spaccatura fra i conservatori britannici che dura ancora oggi. […] È tutto il suo modo di stare al mondo che è quanto meno disinvolto: celebre il ritardo con cui mandava i pezzi ai giornali, costringendo le redazioni a lunghe serate per metterli in pagina. Per non parlare delle multe accumulate quando provava automobili per conto della rivista Gq. E le cose non migliorano quando diventa direttore dello Spectator, dove lo ricordano per le assenze, le riunioni mancate e il lavoro lasciato fino all’ultimo momento» (Ippolito). Eletto nel 2001 alla Camera dei Comuni tra le file dei conservatori, Johnson fece ben presto parlare di sé per alcune sue controverse prese di posizione. «L’onorevole Johnson è riuscito a insultare intere cittadinanze e Stati, dall’Inghilterra all’Oceania. Cominciò con Liverpool, sostenendo, mentre la gente nel 2004 era in lutto per l’assassinio del concittadino Ken Bigley ostaggio in Iraq, che i suoi abitanti “sguazzano nel vittimismo”; poi passò a Portsmouth, glorioso porto nel Sud, definendola “culla di drogati, obesi, falliti e deputati laburisti”. Non ha trascurato escursioni internazionali, definendo cannibali gli abitanti di Papua Nuova Guinea. Ha trovato modo di mettersi nei panni di un parlamentare della città santa iraniana di Qom, suggerendo che avrebbe “senz’altro ritenuto suo dovere patriottico dotare la nazione di armi nucleari”. Quella volta non fu il regime di Teheran a protestare chiedendo le sue dimissioni, ma i suoi colleghi di Westminster. Boris ha resistito, chiedendo scusa quando era proprio necessario ma mantenendo il punto: al governo di Papua ha ricordato che storicamente il fenomeno dell’antropofagismo era tutt’altro che estraneo al Paese. Ma, oltre alla lingua, ci sono i fatti. Di lui si ricorda lo scoop dell’intervista a Silvio Berlusconi. Con la complicità di qualche bottiglia di vino fresco, un’estate si fece confidare dal Cavaliere che tutto sommato Mussolini non aveva ammazzato nessuno e i magistrati sono squilibrati mentali. […] Si è imbarcato in diverse storie extraconiugali. Un paio di volte è stato scoperto. Prima, quando era direttore della rispettata rivista The Spectator, si lasciò conquistare da una sua nobile redattrice, Petronella, figlia di Lord Wyatt. Cercò di negare tutto, anche l’evidenza. Ma fu costretto a dimettersi dalla carica di ministro ombra per i Beni culturali e ad abbandonare le ambizioni di diventare leader del partito. Recuperato da David Cameron, che lo ha nominato portavoce per l’istruzione universitaria, Boris non ha resistito alle tentazioni. […] È stato fotografato con una specie di cappuccio in testa, per nascondere goffamente l’inconfondibile capigliatura color paglia, mentre entrava e usciva dall’appartamento di una giovane cronista. Questa volta Cameron lo ha graziato; ma il deputato ha dovuto più o meno inginocchiarsi di fronte alla moglie Marina» (Guido Santevecchi). Poi, la grande occasione: in vista delle elezioni londinesi del 2008, Johnson fu candidato dai conservatori quale successore del sindaco uscente, il laburista Ken Livingstone. «Nessuno aveva accettato di sfidare “Ken il rosso”, […] sorta di imperatore della City, elogiato per aver ridotto il traffico e l’inquinamento e per aver conquistato le Olimpiadi del 2012. Anche Sir John Major, ex primo ministro, ha rifiutato, preferendo continuare a dedicarsi ai suoi studi storici sul cricket. Così Cameron ha pensato di rivolgersi a Boris, il vecchio compagno di studi a Eton e Oxford» (Santevecchi). «Durante la prima campagna elettorale, nel 2008, c’era una storiella che circolava e spiegava al millimetro Johnson: “Boris è una persona intelligente che si finge buffone, mentre Ken Livingstone è un buffone che si finge intelligente”» (De Bellis). «Johnson viene eletto primo cittadino con oltre un milione e centomila voti; un trionfo, se si pensa a cosa rappresentava all’epoca uno come Livingstone per la città. Del Johnson sindaco […] – rieletto per un secondo mandato – si è detto tutto e pure di più: le sue battaglie per modernizzare autobus e metropolitane, un’iconografia fatta di pedalate, post-ecologismo, editoriali sul Telegraph a getto continuo (non c’è stato verso di fargli abbandonare la penna – scrive libri regolarmente –, e men che meno la professione giornalistica; unico risultato ottenuto da chi nel suo entourage glielo consigliava è stato quello di fargli devolvere parte dello stipendio di columnist alle scuole di giornalismo e all’insegnamento del latino, altro pallino di una vita), accuse di inconsistenza politica, l’ossessione per le troppe tasse e la troppa criminalità, le gaffe, le Olimpiadi, e ovviamente le sue proverbiali polemiche con la sinistra, i colleghi giornalisti, i sindacati, il moderatismo di alcuni amici conservatori» (Sarica). «Anche in questo ruolo si fa subito riconoscere: quando va a Pechino a raccogliere la bandiera olimpica, fa infuriare i cinesi perché si presenta con la giacca sbottonata. Eppure i londinesi lo apprezzano, anche perché da sindaco della capitale si sposta su posizioni più liberali, in sintonia con lo spirito della metropoli» (Ippolito). Grazie al successo delle Olimpiadi londinesi del 2012, l’astro politico di Johnson riprese con nuovo slancio la propria ascesa, mentre quello di Cameron, dal 2010 primo ministro britannico, sembrava iniziare ad appannarsi. «Più popolare, più divertente, più buffone, più geniale del premier: un’ovazione ogni volta che il suo volto veniva mandato in onda sugli schermi dello stadio olimpico. Boris qui, Boris lì. Ovunque. Il capello arruffato, la giacca sgualcita, la camicia sempre fuori posto. Uno sbagliato che diventa giusto. Piace, Johnson. L’hanno spesso dipinto come un clown, un mezzo matto capace di far divertire più che di governare. Sarà vero, eppure […] l’Inghilterra s’è chiesta se non sia davvero l’uomo di domani. Rimbalza sui media e finisce in America, poi ovunque. Time […] lo raccontava così: “Il sindaco di Londra è il più grande vincitore delle Olimpiadi”. Un simbolo locale diventato globale. Ha sfruttato l’occasione: il governo era in difficoltà, Cameron in ribasso attaccato dai giornali che gli hanno chiesto di raccontare come riuscirà a recuperare i soldi che il Regno Unito ha speso per le Olimpiadi. Johnson s’è l’è cavata con l’ironia sulla sua goffaggine, sulle presunte gaffe, sulle altrettanto presunte cadute di stile. Poi ha rilanciato: eccomi, sono il sindaco di una città che ha fatto una cosa incredibile. È un po’ la storia della sua strana amicizia con Cameron: l’altro preciso, bravo, puntuale e però sempre un po’ in difficoltà; lui scombinato, arruffone, ritardatario e però sempre in grado di ribaltare il tavolo. […] Lo supporta l’Economist, lo supporta Murdoch, lo supporta un bel pezzo di Inghilterra che lo vede come il futuro. “Uno che sa gestire Londra, non ci mette niente a gestire tutto il resto”, ha scritto il Times» (De Bellis). Fu però solo nel febbraio del 2016 che Johnson, dopo essersi fatto rieleggere parlamentare mantenendo la carica di sindaco, decise di compiere la propria mossa, cogliendo l’occasione offertagli dall’imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea (23 giugno 2016), che lo stesso Cameron aveva fortemente voluto, confidando però in una vantaggiosa ricontrattazione della permanenza. «Il primo ministro aveva appena concluso i negoziati con l’Europa e, tornato a casa, lo voleva chiamare per renderlo partecipe delle prossime mosse in vista del referendum ancora da convocare. Lui, Boris Johnson, era partito per qualche giorno di meditazione nel suo ritiro nell’Oxfordshire. In verità, stava meditando sulla posizione da assumere: con o contro il mio caro Cameron? Al Daily Telegraph aveva preannunciato che presto avrebbe scritto un articolo sul suo pensiero. Boris Johnson staccò il telefono e si rese irreperibile al vecchio compagno di studi e di baldorie. Buttò giù due articoli. Uno a favore dell’Europa. E uno contro. Era il suo referendum personale, privato, segreto. Due calcoli di convenienza, e disse no: no all’Europa. Se Cameron fosse caduto, la strada per Downing Street si sarebbe aperta. Passarono le ore, e silenzio. Poi, quando mancavano cinque minuti alla consegna del pezzo al Daily Telegraph, alzò la cornetta e comunicò la lieta novella al suo leader, che immaginava di averlo con sé nella battaglia. La reazione di Cameron, parole di testimoni, fu da film dell’orrore. E lì finì il loro sodalizio» (Fabio Cavalera). Da allora quello di Johnson fu «il volto della campagna per la Brexit. Certo, la questione dell’uscita dalla Ue era stata imposta all’ordine del giorno da Nigel Farage e dal suo Ukip, il partito populista eurofobico: ma, se fosse stato solo per loro, la maggioranza dei britannici non si sarebbe mai convinta. È stato lo “star power” di Johnson, la sua oratoria trascinante, la sua personalità a fare la differenza: senza di lui, la Brexit non si sarebbe mai avverata» (Ippolito). All’indomani dell’inattesa vittoria referendaria dei fautori della cosiddetta Brexit, quindi, «sembrava lui il successore naturale di David Cameron, il premier che aveva clamorosamente perso la scommessa sull’Europa. Ma all’ultimo momento Boris era stato pugnalato alle spalle dai suoi stessi alleati di partito, che non si fidavano di un personaggio così sopra le righe: e lo scettro era finito nelle mani più tranquille di Theresa May, che prometteva una transizione senza scosse traumatiche. A Johnson era stata offerta la poltrona di ministro degli Esteri: una mossa a sorpresa, dettata più che altro dalla necessità di neutralizzarlo tenendolo a bordo. […] Da ministro degli Esteri Johnson ha fatto campagna per la “global Britain”: perché la sua visione della Brexit non è affatto insulare e retrograda. Al contrario, la vive come l’opportunità per la Gran Bretagna di tornare a lanciarsi nel mondo, libera dalle pastoie europee, recuperando in qualche modo la grandezza imperiale» (Ippolito). Avendo abbandonato l’esecutivo il 9 luglio 2018 a causa del suo disaccordo con l’atteggiamento del primo ministro, ritenuto troppo debole e condiscendente nei confronti dell’Unione europea, Johnson è uscito intonso dal fallimento delle trattative per la Brexit che ha causato le dimissioni della May (7 giugno 2019), e attualmente risulta pertanto il suo più probabile successore a Downing Street, come ha peraltro esplicitamente auspicato il presidente statunitense Donald Trump. «Johnson, questa volta, ha scelto la strategia […] per lui innaturale ma forse vincente: calma e compostezza. Dopo aver detto di tutto per tre anni, dopo aver fatto da distributore automatico di fantasie sulla gestione dell’uscita dall’Unione europea – la “Unicorn Brexit”, quella magica e inesistente, è biondissima come Boris – Johnson ha organizzato un team di consiglieri fidati, di cui uno, Lee Cain, è dedicato a tenere a bada il proprio capo (pare che abbia chiesto rinforzi)» (Peduzzi). Il 12 giugno 2019, «alla prima votazione all’interno del gruppo parlamentare conservatore, Johnson ha ottenuto ben 114 voti su 313: il secondo classificato, il ministro degli Esteri Jeremy Hunt, era a grande distanza con soli 43 voti, seguito dal ministro dell’Ambiente Michael Gove con 37. Con la votazione […] sono stati eliminati tre dei dieci contendenti iniziali: e fra loro le uniche due donne in lizza» (Ippolito). «Johnson ha detto che la priorità è attuare Brexit entro il 31 ottobre e che il governo deve essere pronto a uscire anche senza un accordo se le trattative con l’Unione europea non andranno a buon fine. Non ha neanche escluso di esautorare il Parlamento per impedire una votazione contro “no deal” [cioè, appunto, contro l’ipotesi di un’uscita non concordata dall’Unione europea – ndr], proposta altamente controversa. […] Salvo colpi di scena, sembra certo che Johnson sarà nella rosa finale di due nomi tra i quali dovranno scegliere gli oltre 120 mila membri del Partito conservatore in un voto postale il mese prossimo. L’annuncio di chi sarà il nuovo leader dei Tories e il prossimo premier britannico verrà fatto entro fine luglio, prima della chiusura estiva del Parlamento» (Degli Innocenti) • «Boris Johnson rischia il processo per le menzogne sulla Brexit. Con una decisione senza precedenti, la giudice distrettuale Margot Coleman ha deciso di dar corso a una querela privata presentata […] contro l’ex sindaco di Londra, che si vede accusato di “cattiva condotta in pubblico ufficio”: un reato raro, che risale al 1200 e che può essere punito addirittura con l’ergastolo. Si tratta di uno sviluppo straordinario nella corsa alla successione di Theresa May: perché Boris Johnson è il favorito e potrebbe ritrovarsi imputato quando sarà ormai già diventato primo ministro. La querela è stata sporta da Marcus Ball, un attivista di Brexit Justice Limited, che è riuscito a raccogliere tra il pubblico 200 mila sterline per sostenere la sua azione legale. La “menzogna”in questione è l’ormai celebre asserzione dei sostenitori della Brexit – dipinta a caratteri cubitali su autobus rossi durante la campagna referendaria del 2016 – secondo cui la Gran Bretagna paga 350 milioni di sterline alla settimana alla Ue: fondi che invece potrebbero essere destinati al servizio sanitario nazionale. Un’affermazione ripetuta più volte a quell’epoca da Boris Johnson, che era il leader della campagna per la Brexit, ma che era del tutto priva di fondamento. La giudice Coleman non ha deliberato sui fatti in questione, ma ha ritenuto che ci fossero elementi sufficienti per non lasciar cadere il caso, come invece chiesto dai legali di Johnson: e ha dunque deciso che l’ex sindaco di Londra dovrà presentarsi in tribunale. […] In quella sede potrebbe esser deciso il rinvio a giudizio di Boris: ma il processo, se si terrà, non si aprirà probabilmente prima di altri sei mesi. Ossia quando Johnson potrebbe essersi già insediato a Downing Street» (Ippolito) • Due matrimoni alle spalle: sposatosi nel 1987 con Allegra Mostyn-Owen, figlia di uno storico dell’arte britannico e di una scrittrice italiana, ne divorziò nel 1993, appena due settimane prima di sposare l’avvocato Marina Wheeler, già incinta e prossima al parto della loro prima figlia, cui seguirono un’altra femmina e due maschi nati dal matrimonio, oltre a un’altra figlia femmina nata dalla relazione extraconiugale di Johnson con una consulente d’arte (due, invece, le gravidanze abortite da Petronella Wyatt, la giornalista dello Spectator con cui Johnson aveva una relazione quando dirigeva il settimanale); esasperata dai reiterati tradimenti, nel 2018 la Wheeler ha cacciato di casa il marito, avviando le pratiche per il divorzio. La causa scatenante era stata la nuova fiamma di Johnson, Carrie Symonds (classe 1988). «È a Carrie che si deve la trasformazione di Boris da clown pittoresco, noto per la zazzera bionda scompigliata ad arte e i vestiti stropicciati, in un impeccabile primo ministro in pectore. Lei controlla attentamente la sua immagine e lo tiene lontano dalle potenziali gaffe (per le quali è celebre): e può farlo perché è una professionista del settore, essendo stata direttrice delle comunicazioni per il Partito conservatore, ruolo che l’aveva portata, […] a soli 30 anni, a essere nominata seconda persona più influente nelle pubbliche relazioni in tutta la Gran Bretagna. Carrie ha rivoltato Boris come un calzino. Innanzitutto gli ha fatto tagliare i capelli: pare che lui all’inizio abbia opposto resistenza, ma alla fine si è dovuto arrendere. E così, al posto dei ciuffi spioventi e disordinati, ora esibisce un taglio corto e curato: il primo, importante segnale di quanto lei abbia influenza su di lui. Poi è arrivata la dieta. Lei è una millennial ambientalista e salutista, e ha convinto Boris a tagliare drasticamente il consumo di carne. Ha addirittura provato a farlo diventare vegano, ma questo era chiaramente troppo: Boris ha resistito tre giorni all’esperimento e poi è crollato. Ad ogni modo, in sole due settimane ha perso più di cinque chili (rispetto ai 105 di partenza) e Carrie continua a tenere sott’occhio la bilancia. Boris ha anche dovuto dire addio alle sbronze. Era noto per potersi scolare un’intera bottiglia di vino a cena, magari dopo diversi aperitivi: adesso al massimo gli è concesso un bicchiere a pasto. Il taglio all’alcol ha migliorato il suo aspetto complessivo, dando alla sua pelle un aspetto più luminoso e stirato (anche se qualcuno ha notato maliziosamente che sono pure scomparse le rughe dalla fronte, forse grazie a qualche aiutino). Carrie gli fa pure fare ginnastica. È vero che anche in passato Boris amava fare jogging e andare in bicicletta: ma adesso pare che i due si allenino assieme con i pesi nella casa che condividono a Londra sud, forse anche grazie ai consigli di un personal trainer. Il risultato è che Boris entra ora a pennello in abiti di sartoria dal taglio impeccabile che lei sceglie personalmente. La nuova immagine di Johnson era evidente al lancio della sua campagna, […] dove Carrie è apparsa in abito molto sobrio, da futura first lady. Perché sembra certo che i due si sposeranno non appena lui avrà ottenuto il divorzio da Marina» (Ippolito) • «Chi lo conosce dice soltanto: resistente. Boris Johnson è uno che resiste, che si piega quando deve, che urla quando può, ma che non cede, non s’abbatte, uno spirito allegro, un ottimista, una rockstar della politica, controverso, geniale, sconsiderato. […] Boris è considerato inaffidabile e indomabile, la versione britannica di Donald Trump, stessa bionditudine (ma Johnson non è cotonato) e stessa pericolosa imprevedibilità. […] Ma, a differenza di Trump, e a differenza di quel che crede la stragrande maggioranza della gente, condizionata da una copertura mediatica invero ostile, Boris Johnson non è affatto un improvvisatore. Imponderabile, certo, ma erudito» (Peduzzi). «Mentitore di rara specie e qualità, non appartiene alla schiera degli uomini viscidi e sfuggenti che tirano il sasso e nascondono la mano. È un eccentrico burlone per compiacere i giornali e le telecamere. E, del resto, sa bene che cosa significhi la manipolazione comunicativa, essendo un giornalista-commentatore di primo livello. Ma è soprattutto un calcolatore freddo e spietato che sa ciò che vuole e come lo vuole. Il suo difetto e la sua virtù principali sono presto riassunti: prende l’avversario per il naso e per le corna» (Cavalera). «Boris si comporta spesso come un clown, ma non lo è. Anzi. Mi ricorda un po’ il famoso detective della tv americana, il tenente Colombo. Il suo modo di essere un po’ trasandato – con quei capelli biondi disordinati e i pantaloni macchiati dall’olio della sua bici, e con la prontezza di prendere in giro se stesso e di divertire il pubblico – nasconde un cervello geniale. E quel suo modo di essere piace molto alla gente comune, perché molto più naturale, più onesto, rispetto a quello del tipico politico che sembra un fighetto clonato» (Farrell). «Johnson crede poco in Bruxelles e molto nella geografia. È un conservatore moderno. Uno che dall’alto di una vita sconclusionata non pretende di trasmettere valori, ma ne riconosce l’esistenza. […] Quando c’è da giocarsi qualcosa, […] non sbaglia. Non fa battute, non fa gaffe, non fa nulla che possa metterlo in difficoltà. Il clown esce dopo, a cose fatte, quando c’è da raccontare alla gente che, in fin dei conti, tra lui e loro la differenza è poca. Anche se lui ha studiato a Eton e poi a Oxford, anche se lui è il più grande studioso britannico di Roma, anche se lui è cresciuto in un ambiente colto e snob. È la capacità di capire chi hai di fronte e chi ti vota» (De Bellis) • «Raccontano che una volta sia stato visto entrare nei bagni di una conferenza tutto a puntino e inamidato. È andato davanti allo specchio, si è scompigliato la zazzera bionda e ha allentato il nodo della cravatta, mormorando agli astanti: “Ho un’immagine da mantenere!”» (Ippolito).