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 2019  giugno 17 Lunedì calendario

Mariafelicia De Laurentis: «Dicevano: smetti, sei una donna Ma ho fotografato un buco nero»

Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice, professoressa di astronomia e astrofisica, è nata a Napoli.
Sua sorella l’ha paragonata a un salice. Un albero bello e fragile solo in apparenza: le intemperie possono piegarlo, ma è estremamente difficile spezzarlo. Mariafelicia De Laurentis è esattamente così. Forse anche per questo che è diventata una delle protagoniste indiscusse dell’astrofisica mondiale. De Laurentis, infatti, è una delle poche donne che hanno contribuito a «scattare» quella che è stata definita la «foto del millennio», la prima immagine reale di un buco nero. In particolare, la scienziata ha coordinato insieme ad altri il gruppo di analisi teorica dell’esperimento del consorzio Event Horizon Telescope. Un obiettivo per il quale ha sacrificato molto. «Matrimonio compreso», ironizza De Laurentis, mentre confida quanto è stato difficile seguire la sua passione per la fisica per il fatto di essere donna.
Nata a Napoli e cresciuta ad Acerra, De Laurentis si è laureata in Fisica alla Federico II di Napoli. Ha poi proseguito i suoi studi al Politecnico di Torino, dove ha vinto il premio come migliore dottoranda dell’Ateneo. Il primo di una lunga lista di riconoscimenti scientifici. Ha insegnato 3 anni in Siberia e 4 anni a Francoforte. Da meno di un anno è stata richiamata dalla Federico II ed è diventata ricercatrice associata dell’Istituto nazionale di fisica nucleare.
Quando è sbocciata la sua passione per la scienza?
«Credo di averla ereditata da mia madre che da piccola amava la matematica e la scienza. All’epoca però è stata scoraggiata e spinta a studiare Filosofia considerata più femminile. A me è stata data l’opportunità di studiare quello che mi piaceva. Amo la fisica, soddisfa la mia incredibile curiosità su quello che mi circonda. Il mio obiettivo è sempre stato quello di poter entrare nella mente di Dio e capire la sua creazione. Ho trasmesso la passione a mia sorella, che ha lavorato alla scoperta delle onde gravitazionali. Peccato che questa vocazione sia purtroppo ancora considerata maschile».
In che senso?
«Essere uno scienziato non è facile di per sé. Ma essere uno scienziato donna è ancora più difficile. L’ho capito già all’inizio dei miei studi, poi le cose si soono fatte più dure. Ho avuto qualche mentore che mi ha scoraggiata, suggerendomi senza tanti giri di parole che avrei dovuto fermarmi e accontentarmi di insegnare e mettere su famiglia. Ma sono andata avanti, sacrificando molto. Fortunatamente ho avuto anche molti altri che hanno creduto nelle mie potenzialità e mi hanno spronata».
A cosa ha dovuto rinunciare?
«A tanto. Ho passato molti periodi bui. Le continue pressioni per dimostrare di essere migliore dei miei colleghi maschi mi hanno portato a trascurare me stessa e la mia vita personale. Presa da questa forte passione molte volte ho dimenticato anche di mangiare. In verità anche ora mangio poco e dormo poco. Per fortuna accanto a me avevo un marito che mi ha sostenuto. Ma più la mia carriera andava avanti e più le cose si facevano difficili in casa. Il mio matrimonio è finito e questo mi ha distrutto, pesavo 36 chili. Lui era l’amore della mia vita e non concepivo che non avesse capito quanto lo amassi e quanto amassi la fisica. Molte delle persone che mi circondavano non accettavano il mio impegno al lavoro. ero una donna e dovevo secondo loro mantenere i piedi per terra».
È andata meglio in Russia e in Germania?
«Sì. Anche se i pregiudizi mi hanno seguito anche in Siberia. Ho ancora una lettera di referenze scritta da un professore importante che per sottolineare quanto fossi brava con il mio lavoro mi ha scritto: Nonostante lei sia una donna, è una grande lavoratrice.... All’inizio ero davvero infastidita, ora ci rido su. Le cose sono cambiate a Francoforte, quando ho iniziato a lavorare con Luciano Rezzolla, uno dei tre, insieme ad Heino Falcke e Michael Kramer, principal investigators del progetto BlackHoleCam, che con l’Event Horizon Telescope, ha portato alla foto del buco nero. In Germania ero uno scienziato come gli altri».
Ha mai subito molestie sul posto di lavoro?
«No, ma so di colleghe che ne sono state vittime. Qualcuna già all’università e per questo ha abbandonato gli studi».
Impegno e sacrificio, cos’altro serve a una donna per fare successo nella scienza?
«Avere autostima. Credere in sé anche se significa andare contro tutti, sia sul lavoro che in famiglia. Purtroppo per le donne la strada è quasi sempre in salita».