il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2019
Sulla Bce sceglierà Macron
Tutto dipende da Emmanuel Macron: saranno le sue mosse a determinare chi otterrà il più rilevante incarico della nuova Ue, la presidenza della Banca centrale europea che Mario Draghi lascerà dopo otto anni e dopo aver salvato l’euro il 31 ottobre. Una lettura superficiale ha inserito Macron tra gli sconfitti delle elezioni europee del 26 maggio, perché la sua lista Renaissance è stata superata di poco (0,9 per cento) da quella di Marine Le Pen. Ma conta molto di più il fatto che in Francia non ci siano più alternative a Macron che, con la Le Pen ferma al 24 per cento, si sente più sicuro che mai all’Eliseo. E i liberali europei, famiglia alla quale Macron si è affiliato senza sottomettersi, saranno il perno della nuova maggioranza del Parlamento europeo in cui Popolari e Socialisti non possono più spartirsi le cariche da soli. Per ogni poltrona che conta, insomma, bisogna chiedere a Macron.
La partita si giocherà in due tempi. Prima le nomine per Commissione, Consiglio e presidenza del Parlamento, poi la Bce. Dalla riunione dei capi di governo del 20 giugno a Bruxelles dovrebbero uscire i primi nomi. Il tedesco Manfred Weber, candidato dei Popolari alla Commissione, potrebbe ottenere la presidenza del Parlamento, che è il posto meno rilevante. Due delle quattro posizioni di vertice dovrebbero andare a donne (cinque anni fa erano invece tutti maschi, Juncker, Tusk, Schulz e Draghi). Ma quali?
Macron, sostenuto in questo anche dai Paesi dell’Est del blocco di Visegrad e (timidamente) dall’Italia, ha candidato Angela Merkel alla Commissione. La cancelliera dice a tutti di volersi ritirare presto dalla politica. Ma l’ostacolo principale è la sua delusione per l’erede designata alla Cdu (il suo partito) e in prospettiva per la guida del governo in Germania: Annegret Kramp-Karrenbauer. Akk, come la chiamano, in pochi mesi è riuscita anche a inanellare gaffe, flop e pure a irritare Macron contestando il suo piano di riforma per l’Ue. E ora il presidente francese vuole far capire chi comanda. Tutti tranne Akk. Lui discute al massimo con la Merkel, non certo con i grandi sconfitti delle europee e delle amministrative tedesche, cioè Cdu e Spd (i socialisti).
Nel negoziato sulla Commissione Macron può vincere in quasi tutti gli scenari. Vince se arriva Angela Merkel, vince se prevale il candidato più forte tra i popolari, il negoziatore per la Brexit Michel Barnier, che è francese. Ma vince pure se lo stallo tra Spd e Popolari fa emergere la candidata liberale, l’attuale commissaria Antitrust danese Margrethe Vestager. Che ha tutte le caratteristiche giuste: donna, liberale, viene da un Paese piccolo e ha una personalità parecchio diversa da quella di Jean Claude Juncker.
In base a come si chiuderà la partita su Commissione e Consiglio, Macron sceglierà tra le varie opzioni per la Bce. Una priorità, condivisa dall’Italia, è fermare la corsa del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Il banchiere tedesco in questi anni si è sempre opposto a tutte le misure straordinarie proposte da Mario Draghi, quelle che hanno salvato l’euro e dato fiato a un Paese ad alto debito come la Francia.
L’Eliseo ha molte carte. C’è il presidente della Banca di Francia François Villeroy de Galhau che, però, nei mesi scorsi per accreditarsi si è avvicinato alle posizioni di Weidmann. Ci sarebbe il membro francese del board permanente della Bce, Benoit Couré. Ma la sua promozione alla presidenza violerebbe il limite degli otto anni di mandato e quindi è poco probabile che Macron tenti forzature.
Il nome più forte è quello di Christine Lagarde: a 63 anni, la direttrice del Fondo monetario internazionale ha gestito mille crisi, inclusa quella dell’eurozona a fianco di Draghi, è apprezzata dai mercati e ha un profilo internazionale capace di tenere testa a Donald Trump (il Fmi è basato a Washington). Nessuno può opporsi alla Lagarde, neppure la Grecia che tanto ha sofferto le rigide prescrizioni della Troika di cui il Fmi era parte fondamentale. A luglio in Grecia il governo sarà quasi certamente affidato al centrodestra che governava prima della crisi, con Kyriakos Mitsotakis di Nuova Democrazia al posto di Alexis Tsipras.
Macron viene da una generazione diversa dalla Lagarde che, a 63 anni, è espressione dell’establishment conservatore intorno all’ex presidente Nicolas Sarkozy che la indicò al Fmi nel 2011 al posto di Dominique Strauss-Khan, travolto da uno scandalo sessuale poi in gran parte evaporato nel nulla. Nonostante il diverso retroterra, Macron non esiterà un attimo a intestarsi la presidenza della Bce, disponendo di un candidato così forte. A meno che non stravinca nel primo tempo della partita, quello per la Comissione e il Consiglio (il nome della Lagarde è circolato anche per quei due incarichi). In quel caso, la Bce non potrebbe andare a un francese.
Mario Draghi non dirà mai una parola su chi vorrebbe come successore. Ma di sicuro il simbolo della continuità sarebbe Erkki Liikanen: da governatore della Banca centrale della Finlandia, negli anni della crisi dell’euro è stato l’alleato più prezioso di Draghi, quello che spaccava il fronte nordico dell’ortodossia monetaria e faceva da ponte culturale con Olanda e Germania per far passare le misure straordinarie. Certo, Liikanen non ha l’efficacia comunicativa di Draghi, il suo inglese è ostico, ma l’uomo è simpatico, affabile e rassicurante, capace di ispirare serenità ai mercati. Un po’ meno Olli Rehn, ex commissario agli Affari economici spesso ostile all’Italia, che oggi ha preso il posto di Liikanen alla banca centrale finlandese e, per questo, è un altro potenziale candidato, ma molto meno autorevole del predecessore.
Chi ancora spera in un’Ue più forte e autorevole sogna un dream team al femminile con la Vestager alla Commissione, la Merkel al Consiglio e la Lagarde alla Commissione. Tre donne che potrebbero cambiare l’Unione. Ma la politica europea è fatta di compromessi. Di solito al ribasso.