La Stampa, 17 giugno 2019
In Africa un abitante su due non ha l’energia elettrica . La crescita è una certezza
«L’Africa non è facile, richiede resilienza, pazienza e capitali: ma è il mercato del futuro». Riccardo Ridolfi racconta la sua storia di giovane imprenditore italiano da Kampala, la capitale ugandese dove risiede stabilmente da inizio 2018 ma dove negli ultimi 5 anni ha lavorato a più livelli con quell’elettricità di cui il continente, con oltre 600 milioni di abitanti al buio, è affamato.
Classe 1987, specializzazione in economia e giurisprudenza, lunga esperienza all’estero iniziata al seguito dei genitori in Malawi e Namibia e maturata studiando, l’avvocato Ridolfi ha esercitato al Foro di Roma prima di svoltare: «Avevo accumulato esperienza nella finanza e nella strutturazione d’investimenti esteri e volevo fare qualcosa fuori dall’Italia, business sostenibile. M’interessavano l’elettrificazione rurale, l’accesso all’energia: una sfida esistenziale in Africa, dove metà della popolazione è tagliata fuori, nel senso che conta sulla candela o la pila e non può ricaricare il cellulare se non pagando chi ha un generatore».
Così, a 27 anni, Riccardo Ridolfi inizia a lavorare in Uganda – dove aveva già svolto incarichi per il governo – e a gennaio 2018, con un socio texano e il fiorentino Dario Fallara, lancia la startup Equatorial Power.
Oggi, tra Uganda, Rwanda e Congo, impiega 20 persone altamente specializzate, di cui la metà locali: «Stiamo negoziando concessioni per elettrificare zone remote rurali con fonti rinnovabili, se c’è un fiume procediamo con l’idroelettrico e sennò con il fotovoltaico. Abbiamo avuto finanziamenti da donatori governativi, compresi Stati Uniti, Germania e Regno Unito. In Uganda il nostro partner è ENGIE, un colosso da 70 miliardi l’anno di fatturato con cui abbiamo un accordo per installare mini grid in scala, ossia reti di distribuzione elettrica indipendenti. In Congo e Rwanda abbiamo accordi simili con Google e la Fondazione Shell. Ora stiamo raccogliendo capitali privati: entro Natale avvieremo 3 impianti, uno per Paese, un bacino di 30 mila persone». Il sistema è semplice. S’installa una centrale energetica e si crea intorno un piccolo parco industriale per il processamento agricolo, così da aumentare domanda energetica e valore aggiunto locale.
Per paradosso nei villaggi poveri l’energia è carissima, se noi spendiamo il 3% in luce e acqua loro spendono il 30% per avere dei sostituti scarsi, tipo lampade al kerosene o batterie usa e getta. Tramite le mini grid le famiglie pagano con il cellulare l’energia e l’acqua potabile, poi c’è il parco industriale: «Nelle isole del lago Vittoria i pescatori devono importare il ghiaccio per esportare il pesce. Potabilizzando l’acqua e producendo il ghiaccio, li facciamo risparmiare e ottimizziamo il consumo della centrale».L’Uganda segue Equatorial Power con cura: un anno fa Ridolfi è entrato nel cda della società energetica nazionale, l’Umeme. E l’Italia?
«A parte la nostra ambasciata a Kampala, zero. Se penso ai soldi che ci hanno dato inglesi e francesi essendo un’eccellenza a maggioranza italiana, ho poco da rallegrarmi. Ma c’è sempre tempo: le mini grid sono l’ultima frontiera dell’infrastruttura per cui solo in Africa c’è un fabbisogno d’investimenti di oltre 100 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni».