Varie, 17 giugno 2019
Sull’addio di Totti. Parlano Proietti, Verdone, Candela
Paolo Conti per il Corriere della Sera
Gigi Proietti, che cosa pensa di questo addio di Francesco Totti alla Roma?
«Premetto. Di vicende societarie non so nulla, non mi appassionano. Sono un tifoso romanista anomalo, ho amici che sanno tutto: “Hai visto che ha detto Pallotta?”, “Hai letto di Baldini?”. Io no».
Domanda semplice: che cosa pensa di Totti?
«È una di quelle persone che nascono ogni tanto e magicamente diventano un simbolo, un punto di riferimento non solo per il calcio ma per un’area comune della città che definirei “culturale”. Totti ha rappresentato il valore della lealtà: alla città e alla squadra. Generazioni come la mia aspettavano da tempo “un” Totti, un bell’esempio di sportività e di identificazione con la città. Chissà quando ne arriverà un altro. Ci vorrà tempo. Temo... per motivi anagrafici che non potrò vederlo».
Se potesse parlargli, che cosa gli direbbe?
«Sarebbe bello sperare che tutta questa storia si rivelasse uno strano gioco societario e che Totti rimanesse dov’è. Ma è difficile. Così come era difficile immaginarsi Totti nei panni di un dirigente sportivo. Pensarlo in un “summit”, in un “brain storming”, ecco, non ce lo vedevo proprio».
Ma la Roma di oggi le piace?
«Da anni sono tra quei pochi che, all’inizio della stagione, partono con ottimismo. Provo ad essere meno critico e mi scontro con gli amici pessimisti. Poi si comincia a giocare, da tanti campionati a questa parte e si soffre, si soffre, si soffre... ormai c’è una specie di tara. Bisognerebbe convocare un bravo psicanalista o qualche esperto in rimozioni di malocchi. Non so seguire i particolari tecnici ma confesso che mi accontenterei, diciamo, di una squadra interessante».
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Mimmo Ferretti per Il Messaggero
Terminato (per adesso...) in tre mosse (Totti, De Rossi e Ranieri) il processo estivo di deromanizzazione della Roma tanto caro a Franco Baldini, il club dalla strategia tosco-statunitense ora è chiamato a ripartire con una squadra da rifondare e senza un ds di ruolo perché quello designato, Gianluca Petrachi, è ancora tesserato per il Torino. Il dirigente salentino, che aveva conquistato le simpatie di James Pallotta (leggi Baldini) assicurando che avrebbe portato Antonio Conte nella Capitale (ma il primo contatto con il neo allenatore dell’Inter è stato di Totti...), è stretto nella morsa di Urbano Cairo che pretende soldi per allentarla. Assicurano dal management di mister Jim, però, che Petrachi sta già lavorando per il suo nuovo (nuovo?) club, ma questo lo scopriremo solo vivendo. Intanto, sappiamo con certezza che, per motivi facilmente intuibili, la Roma avrà un’anima profondamente diversa rispetto a quella avuta negli ultimi due decenni molto abbondanti. Non ci sarà più il romanismo ad intasare la strada verso le vittorie, in primis. O almeno questo è ciò che sembra dar forza all’ennesimo progetto aziendale partorito tra Londra e Boston. Il Via i romani dalla Roma non è in assoluto una garanzia di successo (al momento, una Roma senza De Rossi in campo e Totti nello staff dirigenziale non è più forte di quella romanizzata: le auguriamo di diventarlo), ma evidentemente aiuta i capi dell’azienda a sperare in un futuro diverso. Migliore. Vincente, finalmente. Forse per questo, chissà, è stato scelto un marziano (Ennio Flaiano ci perdoni...) come il portoghese Paulo Fonseca che, paradossalmente, oggi rappresenta l’unica certezza tecnica della nuova Roma,
RISCHI E PERICOLI
Nel senso che, se non altro, la Roma ha almeno la certezza di avere un tecnico. Nato in Mozambico e cresciuto sulle panchine ucraine: più deromanizzato di così non si poteva trovare, giusto? Fonseca, che ha dimostrato di essere un valido allenatore, dovrà fare immediatamente i conti con mille ostacoli, e non soltanto di natura tecnica. Questo perché la squadra sarà profondamente rinnovata, a cominciare dal suo asse portante: portiere, difensore centrale, mediano centrale e centravanti. Non sarà facile trovare gli uomini giusti ai prezzi giusti ma la Roma, che risparmierà un sacco di soldi di stipendi eccellenti, non potrà permettersi il lusso di allestire una gruppo che sia in grado di lottare soltanto per un posto in Europa League, magari senza preliminari. Sarebbe buona cosa, per mille motivi, che qualcuno vicino a Pallotta (il presidente, si sa, comunica solo senza contraddittorio e attraverso i giornalisti di casa) parlasse con sincerità ai tifosi, magari senza sbandierare all’americana traguardi roboanti ma poco accessibili. Non ce ne è bisogno; non ce ne è più bisogno, ormai. Meglio una brutta verità che un bella bugia, in assoluto. Il tutto senza dimenticare che entro la fine del mese ci sarà bisogno di recuperare 40-50 milioni di plusvalenze per stare in grazia di Dio con l’Uefa. E che la Roma non potrà neppure contare sugli introiti Champions. Ma forse, come va di moda dire di questi tempi, è tutta colpa del governo (tecnico) precedente.
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Alessandro Angeloni su Il Messaggero
Pronto, Vincent, ha saputo? «No, cosa?». Totti lascia la Roma. «Non ci credo, è sicuro?». Beh, uno che convoca una conferenza stampa all’Olimpico... «Io ancora non ci credo, Totti lontano dalla sua Roma: surreale».
Surreale, inaccettabile per una città che vive di sentimenti e non di vittorie.
«Francesco ha fatto un percorso di trenta anni con gli stessi colori addosso. Non è facile pensarlo lontano dalla Roma. Ha fatto tanto per quella maglia, la sua storia è nei numeri, non nelle chiacchiere. Poi, come tutti, ha i suoi difetti, ma questo è normale».
Poteva essere una risorsa.
«Lo era, doveva continuare ad esserlo, poi non so cosa sia successo...».
Come, lei, suo amico, non sa?
«Immagino che molto sia dipeso dal rapporto con Baldini, così ho letto, così dicono. Due figure, a quanto pare, incompatibili».
La Roma ha fatto le sue scelte.
«Totti è un simbolo, uno che capisce di calciatori come pochi, ma il padrone della Roma è Pallotta».
Ma cosa voleva fare Francesco?
«Occuparsi di calcio, far parte di uno staff che potesse prendere decisioni tecniche. Ripeto: Totti capisce di pallone. Poi, ovvio: non poteva fare tutto lui. C’è un ds, un allenatore. Ma il suo parere poteva contare molto».
E poi c’è Baldini?
«Baldini fa parte della Roma?».
Ufficialmente no.
«Quindi è un uomo influente, questo sì. Io sto con Totti, magari il presidente sta con Baldini».
Ecco, appunto.
«Magari potevano lavorare insieme, ma forse non era possibile in questo momento».
Ha sbagliato Totti in questi due anni?
«No. Si è sempre messo a disposizione. E’ chiaro, non era facile diventare un manager in poco tempo».
C’è chi gli rimprovera che non abbia studiato, che non sappia l’inglese?
«Mica deve parlare con Trump. Per individuare un calciatore o un allenatore e dire se siano in grado di venire alla Roma, bisogna parlare l’inglese? Il linguaggio del calcio è uno, Francesco lo conosce molto bene».
Che ne sarà della Roma senza romani?
«Si va avanti. Per me nulla viene a caso. Francesco troverà una dimensione altrove. Come ho letto di recente, non tutte le tempeste arrivano per distruggerti la vita. Alcune arrivano per pulire il tuo cammino. Chissà».
Totti via, De Rossi via, via anche Ranieri.
«Per Daniele situazione diversa rispetto a Francesco: uno voleva giocare, l’altro voleva essere più al centro delle idee tecniche. Quanto a Ranieri, meglio lasciar perdere. Ha sparato sulla Roma appena ha saputo di non essere confermato. Non si fa, così troppo facile. Comunque i romani non sono mai un problema nella Roma».
Che cosa penserà quando rientrerà a Trigoria e non troverà più il suo amico?
«Mi dispiacerà. Per la Roma. E per lui».
Dove lo vede in futuro?
«Lo vedo come un uomo libero. Tra i campioni come Figo e Ronaldinho, a rappresentare il calcio nel mondo. Ovunque, sarà sempre il mio capitano».