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 2019  giugno 17 Lunedì calendario

Nel romanzo di Dana Czapnik, la rivincita delle femmine che vogliono giocare come i maschi

 Il tocco è un elemento fondamentale. Lucy lo sa, tira e fa canestro. Il suo schema è non avere schema, del resto il basket, se fatto bene, «è pura teoria del caos». Lucy gioca meglio dei maschi, «con uno scatto da paura e muscoli asciutti». Ha diciassette anni. Studia, si allena e vaga per Manhattan che nel 1993 è ancora una città bellissima, «playground degli artisti e dei giovani, non degli immobiliaristi». Brillante e ironica, «così vera che salta fuori dalla pagina» (copyright Salman Rushdie), è una nuova Giovane Holden (copyright «Kirkus Reviews») «ma meno depressa e solipsista», sorride imbarazzata Dana Czapnik mentre sorseggia un cappuccino all’Edgar’s Cafe sulla Amsterdam, Upper West Side. Su questi tavolini ha scritto gran parte del suo romanzo d’esordio, Lucy, in libreria per Solferino. «Volevo raccontare la storia di una teenager che cerca la sua strada in un mondo di uomini. E lo sport è la cornice perfetta per affrontare certi temi. Per esempio: perché loro giocano e noi no? Perché loro si divertono e noi guardiamo? Io questa domanda me la sono fatta al liceo, in un momento preciso: i ragazzi correvano dietro alla palla e io, tutina da cheerleader, avevo il ginocchio di una compagna incastrato nella schiena».
Romanzo di formazione, ritratto di una città e di un’epoca, novella femminista. Lucy Adler è una pizza bagel, «mezza italiana e mezza ebrea», così si definisce. Certo, la sua intelligenza spicca, come il talento nel basket, ma per il resto è una ragazza come tante, e anche questo è un merito del romanzo: niente abbandono, nessuna catastrofe esistenziale, drammi fisici e psichici, disagi sociali o estrema povertà come di solito è riservato alle protagoniste dei libri. Poi è ovvio, non è mai semplice essere adolescente. Soprattutto se sei innamorata di Percy, bello e sfuggente – ha tutt’altro genere di donne per la testa, molto più seducenti e meno caustiche di Lucy – e se hai già una certezza: «Avevo capito che tutto ciò che il mondo prometteva nel migliore dei casi non sarebbe mai stato all’altezza delle mie aspettative. Nel peggiore, mi sarebbe esploso in faccia». Le cose non cambiano quando a una festa i soliti jeans sformati vengono sostituiti da un vestito e imbottiture tattiche (dimenticarsi la scena del brutto anatroccolo che si trasforma in cigno). Il lettore ringrazia.
Lucy legge Simone de Beauvoir, L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, ascolta i Nirvana. I libri glieli presta sua cugina Violet, che fa l’artista nel Lower East Side e divide l’appartamento con Max, geniale e femminista. Poi c’è Alexis, la sua unica amica, una domenicana che frequenta la sua scuola grazie a una borsa di studio. C’è la mamma che ha smesso di lavorare quando Lucy è nata e poi ha ripreso con tremenda fatica e angosciosa frustrazione. E c’è la città, Broadway con il cartellone di Cats al Winter Garden Theatre, il Radio City Music Hall, il cinema Loews, la libreria Strand, il planetario dove si svolge una scena meravigliosa, le cabine telefoniche per chiamare casa, i tetti di catrame su cui passare la notte fumando e ascoltando il respiro di Manhattan, i campetti da basket dove Lucy può giocare senza freni (e l’autrice esibisce, senza virtuosismi, la sua competenza in materia, avendo a lungo lavorato per la rivista sportiva «Espn Magazine»).
New York nei primi anni Novanta è caotica e disordinata, vivace e creativa, la Zero Tolerance di Rudolph Giuliani deve ancora arrivare, Lucy abita in una metropoli «agonizzante e patetica e annientata e tetra e depressa e infelice, zeppa di crack e locatori strozzini e sbirri corrotti e politici lerci ma anche di arte e invenzione e musica e idee e storie di nuove vite e di redenzione e grandi bugie e verità e desolazione e incanto». Ammette la scrittrice: «La città diventava più sicura, ma nel clean-up si è perso qualcosa». La nostalgia si percepisce: «È stato l’ultimo momento di una New York perfetta, piena di artisti e sognatori». E di un’America più innocente, «prima di Columbine e dell’11 Settembre». Pronta a fare nuovi passi verso l’emancipazione femminile, «sono nata nel 1979, appartengo alla prima generazione di studentesse, a scuola come in università, ad avere le stesse opportunità dei maschi, anche nello sport». E con tanta strada ancora da fare. «Ricordate – dice Czapnik, ironica e pungente (come Lucy) – l’articolo di “Newsweek” del 1986? Terrorizzò milioni di donne dicendo più o meno così: “Una single sopra i 40 anni ha più possibilità di essere uccisa in un attacco terroristico che di sposarsi”. Quella frase risuona ancora nelle nostre orecchie, ha riempito film e serie tv, da Insonnia d’amore a Sex and the City».
Lucy, invece, non ha paura. Non ancora per lo meno. È aperta, senza ombre. Vuole conoscere il mondo, anche se per una ragazza è tutto più complicato. Sa da quando è piccola che i bambini che si divertono di più sono i maschi. Ma Lucy non vuole essere un maschio. Vuole essere una femmina che si diverte. Afferra la palla e swish, è libera. Libera come il monumento dedicato al Falconiere, quella specie di Peter Pan in mezzo a Central Park che sta per liberare un falco, «mi ricorda la sensazione di quando metti a segno un perfetto tiro in sospensione». L’autrice rivela: «Volevo ambientare una scena nel parco, cercavo la statua di una donna realmente vissuta in cui Lucy potesse identificarsi. Non l’ho trovata: ci sono personaggi di fantasia come Alice di Lewis Carroll, Giulietta ovviamente con Romeo, Mother Goose (protagonista di tante filastrocche), Mary del libro Il giardino segreto, tre giovani nude intorno a una fontana, una Pomona, una Nike dorata e altre allegorie, ma non sculture che raffigurano donne vere».
Nel 2020 le cose cambieranno, a Central Park arriveranno le statue delle attiviste per i diritti femminili Elizabeth Cady Stanton e Susan Brownell Anthony. Ma Lucy, nel 1993, come modello ha solo quel «ragazzo al massimo del suo vigore in piedi sul picco di una montagna». Il Falconiere, appunto. Come il titolo originale del romanzo.