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 2019  giugno 17 Lunedì calendario

Intervista ad Antonino Zichichi

Antonio Zichichi, fisico, è nato a Trapani (Sicilia).

Se esiste un universo parallelo non può che trovarsi tra via Marie Curie e via Democrito. È più o meno qui infatti che, in un piovoso pomeriggio ginevrino, i cancelli del Cern si aprono eccezionalmente di domenica e la cittadella europea della ricerca nucleare ci si consegna insolitamente spoglia, semideserta. Poi però si arriva a un edificio cinerino, dove sin dal piano ammezzato tutto preannuncia un personale olimpo terrestre: attestati di merito alle pareti, targhe di cittadinanza onoraria conferite da Castrocielo o Trinitapoli, foto di medaglie al merito. È seguendo queste tracce di gloria incorniciata che si giunge a una stanza dominata da due scrivanie completamente sommerse da carte, formule, lettere, libri e appunti.
Professor Zichichi, che caos.
«È il minimo: sto cercando il Supermondo».
È da tanto che lo cerca?
«È la mia scommessa. Quando e se riuscirò a trovarlo dimostrerò che il mondo ha molte più dimensioni di quelle a noi familiari. E renderò l’estremo omaggio a Galileo Galilei».
Che lei considera l’anello di congiunzione (molto discusso) tra scienza e fede.
«Galilei era convinto che noi non siamo figli del caos, che esiste una logica rigorosa sottesa a tutte le cose del mondo. La sua umiltà lo portava a pensare che le leggi della natura sono le impronte di chi ha creato tutto questo. Perciò scienza e fede non sono contrapposte».
Sempre stato credente?
«Sempre. E nemmeno quando mi sono avvicinato ai più rigorosi processi scientifici, per esempio quando ho portato la prova sperimentale dell’antimateria nucleare, ho avuto cedimenti. Sono convinto che ci sia qualcuno di più intelligente di noi che ha fatto tutto».
Siciliano di Trapani, novant’anni il prossimo ottobre. Che infanzia ha avuto?
«Avevo un padre antifascista che mi aprì gli occhi quando i professori, a scuola, ci cantavano le meraviglie del duce. Un giorno tornai a casa, raccontai quello che ci diceva la maestra e papà mi disse: “Nino, non è vero niente”».
Poi la guerra, lo sbarco degli alleati in Sicilia. Lei dov’era?
«Nel fuoco dell’azione. Papà però ascoltava Radio Londra e così conoscemmo in anticipo le mosse degli alleati. Ci rifugiammo in campagna, mi ricordo benissimo la visione dei carri armati tedeschi che prendevano la ritirata. Maturava in me l’antifascismo che poi mi porterà, molti anni dopo, a coltivare una grande amicizia con Sandro Pertini».
Quando lui era già capo dello Stato?
«No, prima, a metà degli anni Settanta. Durante una conferenza, a Genova, dissi che per me il vero antifascista era stato lui, che durante il fascismo era in galera, non quelli che si improvvisano antifascisti dopo. Pertini mi telefonò e fu colpo di fulmine. Poi arrivò il ‘78».
Quando Pertini divenne presidente della Repubblica e Karol Wojtyla fu eletto Papa. La notte e il giorno, il socialista ateo e l’anticomunista viscerale.
«Esatto, e sa chi li fece diventare amici?»
Mi lasci indovinare: Antonino Zichichi.
«Io all’epoca stavo riabilitando Galilei. Pertini mi telefonò e disse: “Ma il nuovo Papa lo sa che lei ha un amico ateo?”. Io riferii al Pontefice, che rispose: “Pertini la fede ce l’ha negli occhi”. E tra di loro nacque un legame fatto di lealtà, discussione, reciproca comprensione».
Non era la prima volta che lei faceva da ponte tra i due blocchi della Guerra Fredda.
«E secondo lei chi fece incontrare i rispettivi consiglieri scientifici di Reagan e Gorbaciov per scongiurare un’escalation nucleare?»
Ancora Zichichi. E come ci riuscì?
«Tra scienziati veri ci si conosce, ci si stima, altro che quelli che blaterano di scienza senza aver scoperto nulla. Alzai il telefono e chiamai il sovietico Yevgeni Velikov, poi feci lo stesso con l’americano Edward Teller. Ma vuole che le racconti di quella volta che lo stesso Gorbaciov mi mandò un aereo a Ginevra?»
Per rapirla?
«Mi portò a Mosca in gran segreto e mi chiese di fare da tramite con la comunità scientifica americana per prepararla a un importante discorso che avrebbe tenuto e per smussare le controversie e le diffidenze. Da Mosca volai in California, incontrai Teller e gli dissi: “Quando parlerà Gorbaciov tu non dirai bau”. Fu così».
La cravatta
A mia moglie devo tutto: mi sono occupato poco della famiglia,
lei ha pensato ad ogni cosa. Non ho ancora imparato come si abbina una cravatta
Erano anni difficili.
«Eravamo seduti su una polveriera, ma ci rendiamo conto? L’Unione Sovietica dava i numeri ufficiali delle bombe nucleari in suo possesso ma Teller mi diceva: “Nino, secondo me ne hanno il doppio”. Così, a Erice, nell’Ettore Majorana Foundation and International Centre for Scientific Culture che ho fondato, li presi tutti e due, Teller e Velikov, e dissi loro: “Ma siete matti? Qui saltiamo tutti”. Velikov fece allora delle dichiarazioni distensive importanti e se ne andò dicendo: “Nino, speriamo che non mi mandino in Siberia per causa tua”».
Non mi dica che lei era presente al momento della sparizione di Ettore Majorana.
«No, però ho avuto un ruolo nel libro che ne ricavò Leonardo Sciascia. Lo scrittore venne da noi, a Erice, perché voleva indagare i rapporti tra Fermi e Majorana. Poi, dopo aver assistito alle nostre conferenze, decise di scrivere La scomparsa di Majorana. E andandosene mi disse: “Lui era un genio, se ha deciso di far perdere le sue tracce nessuno lo troverà mai”».
Secondo lei che fine ha fatto il fisico scomparso alla fine degli anni Trenta?
«Secondo me si è rifugiato in un convento. Io ho conosciuto il suo confessore, il vescovo Ricceri, il quale mi confermò che aveva avuto delle crisi mistiche. Altro che Argentina».
Professore ma lei è come Zelig, si trova sempre nel posto dove passa la Storia.
«Ripeto: tra scienziati veri ci si capisce e ci si cerca. Del resto se in Italia in tanti mi hanno sempre osteggiato è perché io la carriera l’ho fatta praticamente sempre e solo all’estero».
Però ha fatto l’assessore in Sicilia nella giunta di Crocetta. Esperienza breve.
«Tutti dicono che mi hanno cacciato: in realtà me ne sono andato io. Ho detto di sì solo perché Crocetta al telefono mi giurò che davvero voleva voltare pagina nella mia Sicilia. Io però ho presentato numerosi progetti, tra i quali quello dedicato ad Archimede».
E in che cosa consisteva?
«Doveva far conoscere a tutto il mondo il genio siracusano. Prevedeva borse di studio per giovani, un piano per dedicare strade, piazze e parchi ad Archimede, un museo».
Forse però era difficile lavorare da qui, dal suo ufficio al Cern di Ginevra.
«Ma questi erano gli accordi! Comunque, acqua passata. Del resto, dico sempre no: nel 2005 il centrodestra mi voleva candidare a sindaco di Roma e rifiutai, così come rifiutai una grande candidatura nel Nord Est. Io dico no alla politica ma dico sì alla società civile. Giro il mondo con le mie conferenze, ricevo attestati e cittadinanze onorarie, ho fatto decine di scoperte. Qui al Cern dirigo un progetto importante, il LAA, che adesso, appunto, lavora sugli esperimenti del Supermondo. Il resto non mi interessa, sono soltanto chiacchiere».
Due figli, Lorenzo e Fabrizio. Di sua moglie, Maria Ludovica, si sa pochissimo.
«Bellissima e molto intelligente. Biologa, lavorava in un importante gruppo di ricerca a Ginevra quando l’ho conosciuta. Poi ci siamo sposati e lei ha deciso di lasciare il lavoro. Pensi che quel gruppo poi ha vinto il Nobel».
Be’, lei deve molto a sua moglie, non crede?
«A mia moglie devo tutto: mi sono occupato poco della famiglia, lei ha pensato a ogni cosa. Io non so nemmeno scegliermi una cintura. Pensi che cerco il Supermondo ma non ho ancora imparato come si abbina una cravatta».
Però negli anni ha affinato le provocazioni: un suo articolo sul «Giornale» nel quale metteva in dubbio l’emergenza climatica ha scatenato un finimondo.
«Io non dico che il clima non sia un’emergenza, anzi. Ma dico che i modelli matematici con decine di parametri liberi ai quali si affidano i climatologi sono una perdita di tempo e soldi. Non è una questione ideologica, ma è una questione matematica: vorrei che queste ricerche fossero più accurate e per questo ci vogliono esperimenti, attività di laboratorio».
Oggi, a novant’anni, di che cosa ha paura?
«Dell’istinto dell’umanità verso l’autodistruzione. Vede, non è detto che quelle famose bombe nucleari della Guerra Fredda non possano tornare. La Nord Corea non mi spaventa, mi spaventa il nostro Occidente».
Professore, dopo tanti anni ha voglia di fare lei un gesto di distensione nei confronti di Piergiorgio Odifreddi che nel 2003 scrisse «Zichicche», facendo dell’ironia nei suoi confronti, cosa che lei non ha mai perdonato?
«No, perché io ho fatto delle scoperte, non mi sono limitato a parlare di scienza per dire qualcosa. E prometta: se lei in questa conversazione non ha capito qualcosa, non la scriva».
L’Occidente
Cosa mi fa paura? L’istinto dell’umanità verso l’autodistruzione. La Nord Corea
non mi spaventa,
mi spaventa il nostro Occidente
Promessa mantenuta: il Supermondo resterà un mistero anche dopo questa intervista.