Corriere della Sera, 17 giugno 2019
Il prof accusato di aver molestato le sue alunne s’è suicidato
Ora che il professore del «Gian Battista Vico», accusato di aver avuto rapporti sessuali con due ex allieve non ancora quindicenni, si è ucciso non ci sarà mai più una verità giudiziaria su questa vicenda che ha sconvolto la vita di almeno tre famiglie e di una intera comunità scolastica fatta di docenti, alunni e genitori.Non ci sarà mai più una verità giudiziaria perché l’inchiesta della Procura della Repubblica di Napoli è destinata inevitabilmente a spegnersi. Secondo il dispositivo dell’articolo 69 del codice di procedura penale, qualora il decesso dell’accusato avvenga durante la fase delle indagini preliminari (come in questo caso), «il pubblico ministero chiederà al gip l’archiviazione del procedimento».
Alla Procura tocca quindi un’ultima incombenza, poi uscirà di scena. E sul campo rimarranno soltanto le macerie umane di tutti i protagonisti: la moglie e i figli del docente suicida, le due quindicenni che hanno raccontato al magistrato e ai carabinieri di aver avuto rapporti intimi con lui, gli amici e i parenti degli uni e delle altre.
L’ultima coda giudiziaria (separata dall’inchiesta originaria) rimane il fascicolo aperto sul suicidio, ma non c’è molto da indagare. Il biglietto scritto dal professore prima di esplodersi un colpo di pistola al petto non contiene espressioni contro chi lo ha accusato, né recriminazioni relativamente all’indagine o al rilievo mediatico che essa ha avuto nei giorni scorsi.
È un drammatico e privatissimo messaggio rivolto alla moglie e ai figli, e a loro sarà riconsegnato quando il magistrato riterrà di poterlo sbloccare dopo averne disposto il sequestro, sabato pomeriggio. Pressoché chiarita anche la questione della pistola, che pare fosse un ricordo di famiglia che il docente (sprovvisto di porto d’armi) conservava nella cantina dove si è chiuso per uccidersi.
Ciò che veramente rimane in piedi in tutta questa tragedia, è l’assoluta convinzione, da parte di chi lo ha conosciuto, che il professore fosse innocente, che mai uno come lui avrebbe potuto fare le cose di cui è stato accusato.
Quella piattaforma di messaggistica sulla quale, secondo la tesi accusatoria, avrebbero viaggiato le conversazioni tra il docente e le allieve, è adesso la piazza dove in tanti lasciano un biglietto, un ricordo, una foto.
Nella scuola
Al «Vico» dubbi e sospetti. Un’insegnante «Non riposerai in pace, cercheremo giustizia»
C’è lo studente che dice: «Oggi se ne va un pezzo di me, una persona che mi ha sempre spinto a dare il meglio e ad amare la vita»; e poi ci sono i colleghi, del «Vico» e di altre scuole. Addolorati ma anche arrabbiati.
Come la professoressa che per il suo messaggio sceglie lo sfondo nero: «Non riposerai in pace. Cercheremo la verità e la giustizia che meritavi in vita».
Parole che nascono dall’emozione, dall’amicizia, dall’affetto. E indubbiamente anche dalla certezza che il professore di matematica sia la vera vittima di questa vicenda. E parole che, seppure non citando mai le due ragazze, le pongono in una posizione ribaltata rispetto a quella ufficiale delineata dagli atti dell’inchiesta.
Lì sono le figure deboli, per la minore età innanzitutto, e perché al docente erano affidate (come recita l’articolo del codice penale contestato) «per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza».
Ma nell’ambiente del «Gian Battista Vico» e della scuola napoletana – che si è ritrovato unito anche se le lezioni ormai sono ampiamente concluse – loro sono quelle che hanno raccontato cose inverosimili e perciò ritenute false. E il rischio di isolamento che corrono, qualunque sia la verità dei fatti che nessuno conoscerà mai, è l’ennesimo aspetto di questa tragedia. Che, proprio in quanto tragedia, ha fatto soltanto vittime.