Corriere della Sera, 17 giugno 2019
Il Sud America al buio
Un blackout improvviso e totale. Si sono spente di colpo tutta l’Argentina tranne la lontana Terra del Fuoco, l’Uruguay e una manciata di città di Paraguay, Brasile e Cile sui confini dei due Paesi. Come unica consolazione, è successo di prima mattina e di domenica, con effetti limitati su spostamenti e lavoro. Ma a Buenos Aires e dintorni sono saltati molti pranzi a base di carne e vino rosso per l’importante festa del papà, che qui si festeggia in giugno; e più verso Sud, poiché nell’emisfero australe è ormai inverno, non è stata una giornata facile perché piove da giorni, fa freddo e si sono fermati gli impianti di riscaldamento regolati da sistemi elettrici. Stop anche a treni e metropolitane. In alcune province del Paese, inoltre, si votava per elezioni locali. Qualche disagio, ma niente di grave: in Argentina si usano ancora schede cartacee e matite, come da noi.
Come è possibile che 50 milioni di persone restino senza luce nello stesso istante, pochi minuti dopo le 7, su un territorio vasto come mezza Europa? La risposta sta nei sistemi di interconnessione dipendenti da poche centrali di produzione, spesso a cavallo tra Paesi diversi. L’energia in Argentina e Uruguay arriva in buona parte da un paio di grandi dighe sul rio Paraná, a nord di Buenos Aires, il cosiddetto sistema Yacyretá-Salto Grande.
Non sono le uniche centrali, ovviamente, ma costituiscono il cuore del sistema. Quando succede qualche guasto, a catena può venire a mancare la fornitura a migliaia di chilometri di distanza. È un fenomeno non raro in Sudamerica, dove la dipendenza da poche grandi idroelettriche è un problema diffuso. Negli anni scorsi si verificarono grandi blackout in Brasile, a causa di problemi nella seconda maggiore centrale a caduta di acqua del mondo, Itaipu, condivisa con il Paraguay. Più di recente blackout durati parecchi giorni hanno messo in ginocchio il Venezuela.
Immediati gli scambi di accuse. Il sistema elettrico argentino è stato colpito negli anni dei governi Kirchner per scarsa manutenzione, soprattutto a partire dal 2004, anche a causa delle tariffe calmierate per ragioni politiche. L’attuale governo di Mauricio Macri tenta tuttora di gettare la colpa sul passato, ma essendo passati ormai diversi anni, l’operazione non è semplice perché i problemi strutturali del sistema non sono mai stati risolti. E i blackout, si sa, sono molto impopolari per chi è al governo. «Se torna Cristina diventeremo un altro Venezuela!», è lo slogan preferito dei macristi in vista delle presidenziali dell’ottobre prossimo. Ma ieri forse non era la giornata migliore per usarlo.
Appena svegli, dunque, gli argentini hanno visto spegnersi a poco a poco il Paese. Per le strade hanno tenuto per qualche ora i semafori, e gli edifici ed esercizi commerciali dotati di generatori. Non pochi, visto che in tanti negli ultimi anni sono corsi ai ripari attrezzandosi per le emergenze. A metà giornata si è sparsa la voce che avrebbero smesso di funzionare in qualsiasi momento le reti cellulari, quindi le comunicazioni via voce e Internet. In realtà quasi ovunque le antenne sono riuscite a restare accese sino al ritorno alla normalità. Le prime località ad annunciare il ritorno dell’energia sono state alcune località costiere dell’Uruguay, poi le luci si sono riaccese via via verso l’interno e poi in Patagonia, grazie alla distanza dall’epicentro del problema e al riattivamento delle linee alternative.
Santa Fé, San Luis, Formosa e Terra del Fuoco sono le quattro province dove ieri si votava per eleggere il nuovo governatore. Nella più remota a Sud, che poi è un’isola, il sistema elettrico è indipendente quindi non c’è stato alcun problema. L’authority elettorale, l’unica che avrebbe potuto sospendere e rinviare il voto, è stata consultata in mattinata ma ha deciso di non intervenire. Con un sistema interamente cartaceo e alla luce del giorno, i disagi sono stati assai contenuti. Al momento della trasmissione elettronica dei risultati dalle sezioni, dopo gli scrutini, la luce era già tornata.