Libero, 16 giugno 2019
Ogni cinque giorni fallisce un comune
■ Ogni 5 giorni – con una preoccupante accelerazione negli ultimi anni – uno degli oltre 8mila comuni italiani si affaccia sul baratro del dissesto finanziario. Se non proprio del fallimento. L’analisi, realizzata anche quest’anno dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, offre uno spaccato preoccupante della realtà locale italiana. Il 2018, infatti, conferma il trend innescato dalla crisi finanziaria: 75 nuovi casi di comuni italianiin difficoltà, con 45 procedure di riequilibrio e 30 dissesti. Lo stesso numero del 2017. Il “Rapporto Ca’ Foscari sui comuni” offre una approfondita analisi dell’attuale situazione delle difficoltàfinanziarie presentiinmoltissimi comuni italiani. Salta fuori che nell’ultimo quadriennio (2014-2018) sono ben 273 i comuni che hanno dichiarato difficoltà finanziarie tanto da avviare, in 126 casi, la procedura di dissesto – una media di 25 nuovi casi/anno rispetto ai 12 casi/anno del quinquennio precedente – e in 225 quella di pre-dissesto (riequilibrio): di questi ultimi ben 78 (35%) sono poi transitati al dissesto. I comuni che hanno attualmente in corso una procedura, comprese quelle aperte prima del 2014, sono in tutto 379. LA GRANDE CRISI DEL 2008 «L’impatto della grande crisi», sottolinea la ricercacheè disponibile suAmazon,e da domani sarà nelle librerie per i tipi della Castelvecchi Editore, «ha prodotto, dal 2008 in poi, la ripresa del fenomeno della criticità finanziaria che non accenna a scendere». Con una concentrazione territoriale regionale del fenomeno. «Se la media italiana è di circa il 10% di comuni che hanno visto nel periodo situazioni di criticità, abbiamo regioni (soprattutto al Nord) che non ne hannonessuno e casi comelaCalabria,Campania e Sicilia, che ne hanno più di un terzo», spiega Marcello Degni, magistrato della Corte dei Conti e docente all’Università Ca Foscari che ha curato il volume. Un andamento crescente, in percentuale e legatoalla popolazione. Il taglio dei trasferimenti statali ai comuni, piccoli e grandi, ha innescato un effetto domino difficile da fermare. Ma oltre alla crisi hanno influito anche alcune «riforme difficili da implementare» che hanno reso complessa «la gestione dei municipi». A cominciare dailivelli standard di spesa perl’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep). E proprio Lep e fabbisogni standard «sonoancoraa uno statoembrionale» per consentire una precisa valutazione dell’intervento statale. Tanto più che l’effetto «dei tagli sul percorso di federalismo fiscale delineato dalla legge 42 del 2009 è stato devastante: gli istituti fondamentali di quel disegno ne escono svuotati o stravolti». SOLUZIONE IN 5 ANNI PER RIEMERGERE Insomma, spiega Stefano Campostrini, professore dell’ateneo veneziano e direttore del progetto di ricerca (con il contributo di Banca Farmafactoring),è «necessarioindividuare nuovi modelli di governance del territorio, innovazione sociale e partecipazione, nella prospettiva della co-creazione». Questo perché «nei comuni le variabili in gioco sono tantissime, anche in piccole realtà, incommensurabilmente più numerose della più complessa realtà aziendale. Non è quindi imbrigliando la complessità che si può governarla». Come uscirne? Rimodulando il meccanismo di risanamento già adottato per le regioni in dissesto finanziario a causa dei crescenti costi sanitari. Bisognerebbe istituire una cabina di regia nazionale (Tavolo) capace di approntare procedure «d’incisiva assistenzafinanziariae organizzativa». Un Tavolo composto dal ministero dell’Interno, dal ministero dell’Economia, e dalleassociazioni dei comuni e sottoilmeccanismo di accesso regolato dalla Corte dei Conti.