Il Sole 24 Ore, 16 giugno 2019
Moody’s declassa la Turchia
Il rating della Turchia sprofonda sempre di più, affossato dalla dipendenza dai capitali esteri e dalla crisi politica interna e internazionale: venerdì notte l’agenzia statunitense Moody’s ha abbassato il suo giudizio, sottolineando il pericolo di una crisi della bilancia dei pagamenti e di un default dello Stato.
Il debito a lungo termine è stato portato al livello B1 da Ba3, con prospettive negative. Ankara si trova ora quattro gradini al di sotto della soglia di sicurezza di investment grade, insieme a Giordania, Grecia e Uzbekistan. I suoi titoli erano già considerati junk (spazzatura), nella terminologia delle agenzie di rating internazionali, che ormai esprimono un giudizio unanime: il rating di Standard & Poor’s è B (anche qui quattro gradi sotto l’investment grade), quello di Fitch è BB (due gradi sotto).
Per Moody’s la continua erosione della forza del quadro istituzionale e politico superano gli aspetti positivi legati alla diversificazione dell’economia e al basso livello di debito pubblico. Preoccupa in particolare l’incapacità del Governo di ridare slancio all’economia. Nel primo trimestre del 2019, il Pil si è contratto del 2,6% su base annua. Sui tre mesi precedenti, si è invece registrata una crescita dell’1,3%, che ha interrotto un periodo di recessione che durava da due trimestri. La Banca mondiale prevede una flessione dell’1,9% nell’intero anno e un rimbalzo al 3% nel 2020.
La Turchia, sottolinea Moody’s, ha una dipendenza forte e strutturale dai flussi di capitale estero, ma la sua capacità di attrarre le risorse di cui ha bisogno ogni anno per ripagare il debito e alimentare la crescita è sempre più in discussione. Il Paese resta così vulnerabile alla volatilità economica e finanziaria, anche perché gli ammortizzatori rappresentati dalle riserve valutarie, «sono deboli e si indeboliranno ancora nei prossimi due anni».
Moody’s aveva già declassato la Turchia ad agosto del 2018, puntando il dito sulla debolezza della lira (che ha perso il 28% nel 2018 e ancora il 10% quest’anno), sull’inflazione (prossima al 20%) e sul deficit delle partite correnti. «Più tempo passa – si legge della nota di Moody’s – più si riduce la capacità del Governo di indirizzare l’economia fuori dal percorso di una crisi della bilancia dei pagamenti».
Sul giudizio incidono le tensioni con gli Stati Uniti e in particolare lo scontro sui sistemi missilistici S-400 che Ankara sta acquistando dalla Russia. Washington teme che attraverso questi armamenti, Mosca possa raccogliere informazioni sui suoi caccia invisibili e minaccia la Turchia di escluderla dal programma degli F-35 entro il 31 luglio. Ma gli Usa potrebbero anche adottare sanzioni contro Ankara, se non rinuncerà ai missili russi. Questo «getta un’ombra ulteriore sull’economia del Paese e sul suo sistema finanziario», sottolinea Moody’s. Sulle imprese turche pesa una mole di debito in valuta estera che ammonta a circa 315 miliardi di dollari, mentre la spesa per consumi vale più o meno due terzi del Pil.
Il 23 giugno è in calendario la ripetizione delle elezioni per il sindaco di Istanbul, annullate dopo la sconfitta del candidato del partito del premier, Recep Tayyip Erdogan, ad aprile.