Il Sole 24 Ore, 16 giugno 2019
Raddoppiato il costo delle pensioni
Le adesioni inferiori alle aspettative per le nuove pensioni anticipate non devono trarre in inganno. Il fatto che i bassi tiraggi di “quota 100” e del canale contributivo con 43 anni e un mese, di Opzione donna o l’anticipo precoci possano garantire quest’anno una minor spesa fino a 1,3 miliardi, e risparmi cumulati fino a 5-5,5 miliardi nel triennio (un quarto di quanto previsto) non cambia la prospettiva di una spesa destinata a esplodere.
Basta guardare alla principale gestione Inps: il fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld), che rappresenta il 45% dell’intera spesa pensionistica. Quest’anno paga 8,6 milioni di pensioni al valore nominale medio di 14.700 euro lordi l’anno, per un totale di quasi 143 miliardi. Tra vent’anni, nel 2039, le pensioni in pagamento stimate nei bilanci prospettivi dell’Istituto salirebbero per il solo Fpld a poco meno di 9 milioni e 300mila (+7%). Saranno assegni del valore medio di 27mila euro lordi, per una spesa che in termini nominali arriverà a sfiorare i 297 miliardi.
Le stime dei bilanci tecnici, l’ultimo è del 2017 e proietta le spese fino al 2046, sono basate su ipotesi di carriere lavorative costanti e calcolano il pieno effetto del contributivo. Il reddito medio annuo sottostante, sempre in termini nominali, passerebbe da 24.200 euro a 44.950, mentre il tasso di sostituzione (ovvero il rapporto tra pensione e ultimo stipendio), resterebbe attorno a una media del 60%.
Le proiezioni (che non sono pubbliche ma Il Sole 24 Ore ha potuto vedere) non contengono naturalmente gli effetti di “quota 100” e delle altre forme di anticipo allargato; misure che entreranno nei calcoli che verranno aggiornati l’anno prossimo. Ma fotografano quello che sta per accadere: il ritiro dal mercato del lavoro delle folte coorti dei baby boomers. Un boomerang calcolato da tempo, che spingerà la spesa per le prossime due decadi e i cui effetti sono stati in parte attenuati dalle riforme adottate tra il 1992 e il 2011. Quanto cambieranno quelle traiettorie con “quota 100” e, se arriverà, con “quota 41”, al momento, non è dato sapere.
La spesa pensionistica, da qui al 2040, scalerà una gobba che, a seconda delle stime, potrebbe variare tra il 16 e il 20% del Pil. E tra vent’anni la transizione demografica ci dice che ci saranno 18,8 milioni di cittadini con 65 anni o più, secondo la proiezione centrale Istat, 5 milioni in più di oggi. Mentre la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) si sarà ridotta a sua volta di 5 milioni (a 33,7 milioni).
Tornando alle misure bandiera del governo, secondo le previsioni “quota 100” e Reddito di cittadinanza avrebbero dovuto innescare un nuova spesa per circa 38 miliardi nel triennio. E a metà aprile Inps ha adottato una Nota di variazione al bilancio 2019 che incorpora 10,6 miliardi di maggiori trasferimenti dello Stato (quest’anno si arriva a un totale di 117,7 miliardi) proprio per finanziare le nuove pensioni anticipate e il sussidio contro la povertà. Ora, a pochi mesi dall’avvio delle misure, lo stesso governo ha fatto capire che si spenderà meno. Un risparmio che sarà fatto pesare nei negoziati con Bruxelles per evitare la procedura per disavanzo eccessivo.
Come ha messo in luce l’Ufficio parlamentare di Bilancio analizzando le diverse proiezioni della nostra spesa pensionistica (Fmi, Ragioneria, Ue-Wga) il picco della curva attorno al 2039-2040 cambia non tanto per le valutazioni d’impatto delle riforme fatte quanto per la maggiore o minore persistenza degli effetti della crisi macroeconomica, soprattutto in termini di minore produttività. E da un peggioramento o meno del quadro demografico, determinato anche da minori flussi migratori netti. Variabili difficili da stimare ma di cui bisognerà tenere conto a fronte di una granitica certezza: il baby boomerang è appena partito e tra pochi anni mostrerà tutti i suoi effetti.