La Stampa, 3 giugno 2019
Recensione del libro "Roma" di Walter Veltroni
In un libro di 400 pagine e 49 capitoli, preceduto da tre prefazioni, Walter Veltroni racconta i suoi 7 anni da sindaco di Roma, sciorinando un consuntivo di realizzazioni, che a distanza di oltre un decennio appaiono significative di per sé e non soltanto confrontandole con quelle delle più recenti amministrazioni capitoline. Ma è libro per alcuni versi spiazzante quello dell’ex sindaco, sin dal titolo, dichiaratamente auto-centrato:”Roma. Storie per ritrovare la mia città” (editore Rizzoli, 19 euro). I diversi capitoli corrispondono ad altrettante giornate-clou, disseminate lungo la sua sindacatura, che è durata dal primo giugno 2001 fino al 13 febbraio 2008.Storie terse, quelle narrate dall’ex sindaco: di grande fatica amministrativa ma puntualmente coronate da successi. Storie il cui intento edificante sembra riassumere il senso dell’operazione politico-editoriale: fomentare un incipiente sentimento di nostalgia per la classe dirigente del passato, in particolare per quella che ad un certo punto – è il caso di Veltroni – si è fatta volontariamente da parte. L’ex sindaco di Roma scrive con accenti sinceri che «questo libro non nasce dal proposito di tornare» Dunque, serve ad alimentare la nostalgia e basta? Il libro è segnato da un’altra originalità: manca qualsiasi riferimento ai sindaci di segno opposto che sono venuti dopo di lui, Gianni Alemanno e Virginia Raggi, alla quale riserva semmai una impersonale, cavalleresca «Un ceto politico al quale guardo con rispetto».Un escamotage per evitare una fastidiosa contro-narrazione? Curiosamente le uniche rampogne sono dedicate a politici oramai fuori gioco, quelli che Veltroni sintetizza come «gli anni terribili del pentapartito». Certo, Veltroni ha sempre espunto dalla sua azione politica il contrasto aperto: il suo ex braccio destro al Pd, Goffredo Bettini, in un suo libro ha scritto che, esattamente come il bolscevico Nikolaj Bucharin, nel 2009 Veltroni diede le dimissioni da segretario del partito «perché terrorizzato dalla battaglia interna». Ma chi lo conosce bene, assicura che questo irenico buonismo verso avversari ancora in campo in realtà esprima un’ aspirazione: quella di rappresentare una riserva della Repubblica, riconosciuta da tutti per la sua mancanza di animosità partigiana.Il libro, che segue di due mesi l’uscita della suo primo film come regista di una commedia all’italiana, è preceduto da ben tre prefazioni. Autori: l’archistar Renzo Piano, l’attore Gigi Proietti e il vescovo di Bologna Matteo Zuppi. Dopo l’incipit programmatico («Roma città ingovernabile? Non ci ho mai creduto») e alcune premesse modulate su una corda alta («il libro l’ho fatto per un dovere nei confronti della nostra memoria collettiva», fare il sindaco significava «avere la gioia, mettendomi a dormire la sera, di aver migliorato la vita di qualcuno»), Veltroni elenca in altrettanti capitoli i giorni della sua sindacatura che sono corrisposti a decisioni ed eventi importanti.Un consuntivo eloquente, prodotto anche grazie ad assessori di qualità, pungolati da un sindaco assillante: «Vi vedo fermi sulle gambe…». Lungo l’elenco delle realizzazioni. La galleria Giovanni Paolo II, il «traforo urbano più lungo d’Europa», finanziato per 125 miliardi di euro con soldi comunali. Estese pedonalizzazioni. Moltiplicazione di asili nido e teleassistenza agli anziani. La Casa del cinema e del Jazz. Il Festival delle letterature, culminato in serate memorabili, durante le quali si sono alternati i più grandi scrittori del mondo. La Festa del cinema. Il centralino 060606. La potente azione contro tutti gli abusivismi. Il trasferimento dei Mercati generali. Il Globe Theatre romano affidato a Gigi Proietti. Le notti bianche. Gli straordinari viaggi nei luoghi della memoria che hanno fatto scuola in tutta Italia. La promozione della riconciliazione pubblica tra parenti di giovani di destra e di sinistra morti nei terribili anni Settanta. Le prime piste ciclabili. La riapertura di palazzo Braschi e della Galleria Colonna, intitolata ad Alberto Sordi. Veltroni indica tra i successi anche l’inaugurazione dell’Auditorium che si rivelerà il più grande e riuscito investimento statale del Paese dalla Liberazione nel campo culturale, ma in quel caso gli artefici decisivi, per unanime riconoscimento, furono Franco Carraro, Francesco Rutelli e Paolo Baratta.Veltroni rivendica le statistiche sulla crescita della città, sensibilmente superiore a quella nazionale, che accompagnarono la sua stagione. E prevenendo una possibile critica al suo libro, Veltroni gioca d’anticipo: «Sono cifre, non auto-elogi, non auto-certificazioni», quelle che a suo tempo hanno permesso di battezzare un “modello Roma”. In un libro così denso e dedicato alla Roma di Veltroni più che ai cambiamenti e all’identità della città, quasi naturale che non si citino le due personalità più influenti della vita pubblica romana negli ultimi 30 anni, personaggi agli antipodi e di diversa caratura ma che dietro le quinte hanno interagito con tutti gli amministratori romani: l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone e Manlio Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta e per decenni monopolista incontrastato del ciclo dei rifiuti.Pochi cenni alle pagine più controverse dell’era Veltroni. L’ex sindaco scrive che la mission iniziale delle sue amministrazione era quella di ricucire «centro e periferie». Ma quando Veltroni si dimette da sindaco, per candidarsi alla guida del Pd, il candidato della destra Gianni Alemanno per la prima volta sfonda nelle periferie, togliendo il primato alla sinistra, un fenomeno che ebbe inizio allora e che dura ancora. Durante le amministrazioni Veltroni c’era stato un boom di centri commerciali, isolati non-luoghi nei quali si arrivava soltanto in auto. Ha scritto Walter Tocci, già vicesindaco con Francesco Rutelli: dopo che «nel Dopoguerra il capolavoro del Pci era consistito nel sottrarre il proletariato alla tentazione ribellistica e clientelare», il «non aver cambiato verso alla politica urbanistica è forse il principale limite del centrosinistra ed ebbe effetti significativi nel distacco elettorale dai ceti popolari della periferia più estrema». Come confermato dal recente boom della Lega nelle periferie romane. Nel febbraio 2018 Veltroni, chiamato alla guida del Pd, lasciò la carica di sindaco di Roma, ma sessantotto settimane più tardi si sarebbe spontaneamente dimesso da segretario del partito. Bisogna credere a Walter Veltroni quando scrive: «Fare il sindaco di Roma è stato il lavoro più bello della mia vita».