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 2019  giugno 16 Domenica calendario

Emilia Lodigiani, l’editrica del Nord (Iperborea)

M artedì prossimo verrà nominata commendatore dell’Ordine Reale al Merito di Norvegia «per il suo lavoro di diffusione della conoscenza della letteratura e della cultura norvegese in Italia». Con quello attribuito da Oslo la fondatrice di Iperborea ha quasi fatto l’en plein dei riconoscimenti nordici, ora le manca soltanto la Danimarca. «Si è realizzato quello che sognavo all’inizio: diventare un punto di riferimento per chiunque si interessi al Nord. Chi vuole fare il traduttore ci contatta, i rapporti con le università sono eccellenti, ci invitano ai convegni. Si è creato un forte spirito di comunità». Le onoreficenze, spiega, premiano anche questo: «È una politica culturale che addirittura, nel caso della Norvegia, risale al Medioevo. La sua influenza, in Europa e nel mondo, deriva anche dall’importanza che è sempre stata data alla cultura. La riforma scolastica risale a metà dell’800, alla fine del secolo erano tutti alfabetizzati».
Giubbino di pelle e vestitino fantasia, Emilia Lodigiani, esile e bionda, è seduta a un tavolo a correggere bozze. Tiene a dire che ormai la casa, che ha fondato nel 1987, è nelle mani di suo figlio, Pietro Biancardi, e della direttrice editoriale Cristina Gerosa, ma lei è ancora il punto di riferimento per tutti. «Oggi ho dato il mio assenso a una fiaba islandese, poi però mi è venuto in mente che devo consultarmi con loro» ride. Da novembre sono in questa nuova sede milanese: «Abbiamo dovuto allargarci, negli ultimi anni abbiamo aggiunto una persona all’anno. Adesso siamo in 12». All’inizio faceva tutto lei: «Non volevo che l’attività fosse considerata un hobby da signora. Mi faceva orrore. Volevo che si reggesse». Questo ha significato stare sempre attenta ai conti «perché fare i bei libri è facile, meno facile è venderli. Quando è entrato Pietro ero terrorizzata: mi sembrava che facesse il passo più lungo della gamba. Poi ho capito che lui è un imprenditore, io ero un’artigiana. Non ero molto portata per quella parte, ma ho imparato. Pietro ha fatto quello che Ulrico Hoepli mi diceva che dovevo fare io: mettere lo zaino in spalla e andare da tutti i librai d’Italia. L’ho fatto una volta, il secondo anno, e mi era venuta la depressione. Chiedevo: “Non tenete Iperborea?” Mi dicevano: “Sì là”, indicando uno scaffale in alto». Pietro interviene a precisare: «Però quando ha cominciato lei era più importante fare libri belli. Aveva un’idea su tutto, dal colore della copertina a prenotare il treno per l’autore che andava al festival».
La passione boreale per Emilia Lodigiani è iniziata a Parigi, dove, seguendo il lavoro di suo marito, ha vissuto per dieci anni. «Mi ero innamorata di autori nordici che, in realtà, erano grandi autori europei. Erano anni, gli Ottanta, di grande fulgore. Gustafsson, Solstad, Enquist: sono tutti nati tra gli anni Trenta e i Quaranta. Una generazione straordinaria. Io amo gli scrittori che affrontano i grandi temi, la critica sociale, il rapporto con l’assoluto. Loro lo fanno senza nessun didatticismo, nessuna retorica, spesso con humor». Tornata in Italia Lodigiani scopre che qui nessuno li conosce. «Ho avuto la fortuna che in quegli anni c’è stato il boom dei piccoli editori. Ci fu una serie di incontri in una libreria milanese con e/o, Marcos y Marcos, Scheiwiller, La tartaruga, Archinto e altri. Erano tutti specializzati. Ricordo che quando Sandro Ferri di e/o disse: “E adesso ci apriamo a...” rimasi con il cuore sospeso pensando: sarà per forza la Scandinavia, manca solo quella. Invece era l’America. Con i piccoli editori c’è stata enorme collaborazione e amicizia, tutti mi hanno dato consigli. Mi facevo spiegare come si fa un contratto di traduzione, quale tipografo scegliere, quale distributore». Non avendo mai lavorato nell’editoria prima, Lodigiani si guarda in giro e copia tutto quello che le piace: «Il formato dall’editore francese Actes Sud, allungandolo di un centimetro. Da Adelphi il numero sulla costa dei volumi. Collezionavo i libri che mi piacevano e speravo che qualcuno lo facesse con i nostri».
Oggi Iperborea si occupa di 9 Paesi e se la Svezia è sempre stato il più rappresentato, con il tempo il rapporto si è riequilibrato. Alla Norvegia, che in ottobre sarà il Paese ospite della Buchmesse di Francoforte, Iperborea dedica il prossimo libro-guida The Passenger. «È un Paese molto ricco culturalmente, molto interessante – continua Lodigiani —. D’altro canto il teatro moderno, nell’Ottocento, è nato con Ibsen e la letteratura con Hamsun, grande scrittore dell’inconscio. Oggi c’è un intellettuale come Dag Solstad, uno scrittore politico, in cui si ritrovano tutti i grandi temi. La Norvegia, un po’ per il fatto di essere stata sotto la Danimarca per secoli e poi sotto la Svezia, ha una storia indipendente soltanto dal 1905, quindi forse si conosce meno. Eppure è il Paese da cui si muovono correnti nuove tra cui il femminismo: fin dall’800 Camille Collett e Amalie Skram sono all’avanguardia sui temi femminili, sulla questione sessuale, sulla critica borghese al soffocamento della natura delle donne. Nei libri di Sigrid Undset si scopre che c’è una libertà di costumi nella Norvegia di inzio secolo che non esisteva da noi. Lei poi ha avuto una vita incredibile: aveva 4 figli, conviveva a Roma con un pittore, scriveva di notte fumando sigari e bevendo caffè».
Oggi la narrativa norvegese ha una forte componente legata alla natura. Monika Kristensen, per esempio, tra le ultime uscite di Iperborea, fa parte della tradizione dei grandi esploratori. «È una glaciologa e L’ultimo viaggio di Amundsen è un racconto documentario che elabora una nuova teoria sulla fine dell’eroe polare. Monika unisce lo spirito di avventura alla critica sociale, fa profondissimi studi storici oltre che scientifici. Quello delle esplorazioni è un filone che vorremmo seguire». Nel catalogo tra i norvegesi c’è anche Tarjei Vesaas, autore degli Uccelli, dove un ragazzino considerato un po’ lo scemo del villaggio si scambia lettere con una beccaccia. «La conoscenza approfondita della natura – spiega Lodigiani – è una caratteristica di questa letteratura. Spesso l’uomo è visto come parte integrante, anche nei suoi aspetti più animaleschi, istintivi. Ci sono casi come il Libro del mare di Morten A. Strøksnes che partendo da una caccia allo squalo racconta tutto sui mostri marini, una specie di epica discesa in mare, da scienziato». Per la fiera di Francoforte poi uscirà La via del bosco di Long Litt Woon, scrittrice nata in Malesia che ha sposato un norvegese. «Il marito un giorno esce di casa, ha un incidente e non torna più. È una storia di elaborazione del lutto che coincide con l’interesse per i funghi. È un caso editoriale molto particolare, venduto in tutto il mondo».
Non mancano umorismo (basta leggere Erlend Loe), e giallo, come in Gunnar Staalesen, il padre del thriller norvegese, inventore dell’investigatore Varg Veum, che con i suoi conflitti interiori, la sua ironia, il suo contrastato rapporto con le donne e l’alcol, esplora, e critica, la società. «È un personaggio molto noto e molto amato – spiega Emilia Lodigiani —: a Bergen c’è addirittura la sua statua e si può fare il giro dei suoi luoghi». Sul fenomeno del giallo nordico, Lodigiani ammette di essere arrivata tardi. «Se il genere funziona è perché in un determinato momento è lo strumento giusto per dire delle cose, come il poema cavalleresco lo era all’epoca di Ariosto. Mi è spiaciuto in particolare non aver pubblicato Henning Mankell. L’ho tenuto sei mesi sul comodino, nella traduzione francese, senza aprirlo, poi una sera ho cominciato a leggerlo e ho capito che c’erano tutti i miei temi, mi è piaciuto moltissimo. Ho scritto all’editore svedese che mi ha detto: arrivi in ritardo di 15 giorni. L’aveva preso Marsilio. Mi dispiace anche non aver pubblicato i libri della coppia Maj Sjöwall e Per Wahlöö, poi usciti da Sellerio. Sono stati due errori».