La Lettura, 16 giugno 2019
I record dell’estrazione
Per lungo tempo l’Italia ha vantato il poco invidiabile primato europeo della produzione pro-capite di cemento: indicatore indiretto della febbrile e caotica attività edilizia che ha contraddistinto per decenni il nostro Paese. Che, di conseguenza, pullula di cave: un comune ogni quattro ne ha una attiva, uno ogni otto almeno due, senza contare quelle dismesse che si stimano intorno alle 14 mila.
Si pone l’esigenza di razionalizzare un settore cresciuto spesso in assenza di pianificazione, quindi con un impatto diffuso sul paesaggio, da cui derivano proventi minimi per le Regioni. Esse riscuotono canoni irrisori, neanche 30 milioni di euro per un giro di affari stimato in 40 volte tanto. E non bisogna dimenticare che quello delle cave e del cemento è uno dei comparti dell’economia più vulnerabili all’infiltrazione malavitosa, anche perché molte cave esaurite vengono poi destinate a discarica.
Dalla grande crisi del 2008 in poi l’attività estrattiva si è sensibilmente ridotta, anche se la tendenza alla diminuzione è un fenomeno che ha luci e ombre. I materiali più pregiati – marmi, pietre ornamentali – non conoscono crisi, e sono anzi ampiamente esportati, per cui danno vita a un piccolo, ma ricco indotto di macchinari per la lavorazione. Per i materiali «poveri» forse il ridimensionamento del mercato può rappresentare un’occasione per una ristrutturazione nel segno della modernità, che non può non significare, anche, fare finalmente la pace con il paesaggio deturpato, il consumo di suolo forsennato, il modello edilizio estensivo e cementificatore. A tal proposito sarebbe opportuno cominciare dallo sfruttamento della «miniera urbana», ossia il riciclo degli inerti da costruzione e demolizione, in una logica di economia circolare sostenuta da una tassazione finalmente adeguata, seguendo l’esempio virtuoso di Paesi come la Gran Bretagna e la Danimarca (dove il 90 per cento dei materiali da costruzione derivano dal riciclo).
Con una pianificazione dei siti estrattivi che sfrutti anche gli strumenti urbanistici innovativi (una cava nuova in siti controllati in cambio del ripristino di un sito abbandonato): approccio già sperimentato con successo per disciplinare i prelievi di inerti dai corsi d’acqua, barattando la ghiaia e la sabbia con le opere di regimazione idraulica. Si potrebbe così passare a una politica dell’edificazione che concentri l’attività costruttiva nella ristrutturazione dell’esistente, nella ricollocazione degli insediamenti produttivi in pochi siti attrezzati.