La Lettura, 16 giugno 2019
L’arte di prevedere il futuro è una scienza
Prevedere il futuro si può. Lo spiegano due scienziati, Luca Gammaitoni, professore ordinario di Fisica e direttore del laboratorio Noise in Physical System dell’Università di Perugia, e Angelo Vulpiani, docente di Fisica teorica all’Università di Roma Sapienza. A quattro mani hanno scritto Perché è difficile prevedere il futuro (Edizioni Dedalo), un libro pensato per diffondere consapevolezza pubblica sull’argomento e per inquadrare una volta per tutte il tema della predizione. Dimenticate la cartomanzia – alla quale secondo fonti della Guardia di Finanza è connesso un giro d’affari che si aggira intorno ai 6 miliardi di euro l’anno, solo in Italia — e affidatevi alla fisica. Sì, perché sono proprio loro, gli scienziati, a essersi dedicati per secoli all’arte di indovinare il futuro, stabilendo cosa si può prevedere e cosa no a forza di variabili, equazioni, modelli matematici.
Ma partiamo dalle basi. Qualunque predizione, per essere considerata accettabile, deve rispettare una serie di regole d’oro: deve essere, prima di tutto, priva di ambiguità e formulata in maniera quanto più precisa possibile. Deve poi essere verificabile e, affinché la verifica sia significativa, deve essere condotta da un soggetto che dispone delle stesse informazioni di chi pronuncia la profezia. In caso contrario, saremmo di fronte a qualcosa di più simile alla fandonia o, peggio ancora, al tranello. Infine, la predizione non deve rientrare nel novero delle profezie che si auto-avverano: quelle supposizioni che per il solo fatto di essere pronunciate si concretizzano. Un meccanismo possibile quando chi è a conoscenza della «scommessa» può poi adoperarsi per realizzarla. Un esempio? Macbeth. Crede nella profezia delle tre streghe che lo indicano come futuro re di Scozia, così si dà da fare affinché l’evento si avveri, ricorrendo anche all’inganno.
E se queste sono le norme a pilastro della scienza della predizione, uno è il paradigma su cui si fonda: se conosciamo le condizioni iniziali e la dinamica di un sistema possiamo scommettere sulla sua evoluzione. Per (quasi) tutto il resto c’è la teoria della probabilità. Un esempio, il più semplice in un’ipotetica classifica di capacità predittiva: quando sarà la prossima eclissi solare visibile da Roma? Rispondere per gli autori è relativamente facile, anche un astronomo babilonese avrebbe potuto provare con speranza di successo. La regolarità dei fenomeni celesti, infatti, e la nostra conoscenza delle condizioni iniziali, ossia della posizione e della velocità dei corpi, permettono di fare previsioni attendibili su dove si troveranno il sole e i pianeti in un certo momento futuro. Una scommessa? Gli autori sostengono che il 23 settembre 2019 a Bologna il sole sorgerà alle 7.02 e tramonterà alle 19.12. Verificare per credere.
Già più complicato è stabilire l’andamento delle maree. Le equazioni per prevederle oggi sono note ma ci è voluto tanto tempo per formularle. Basti pensare che la mancanza di una buona capacità predittiva a riguardo è stata fino alla metà del XIX secolo la principale causa di naufragi. La conoscenza sull’andamento delle acque era frammentata, patrimonio dei singoli capitani di ogni porto e per questo legata a valutazioni empiriche effettuate per lunghi periodi e limitate all’area di competenza di ciascuno.
Quello che invece oggi è a portata di app ma per molto tempo è stato un sogno visionario degli scienziati è il meteo. Due sono state le menti geniali grazie alle quali possiamo decidere se andare al mare domenica o chiuderci al cinema, causa pioggia. Lewis Fry Richardson, che nei primi decenni del Novecento fu in grado di impostare correttamente il problema, capendo che l’atmosfera evolve in accordo con le equazioni dell’idrodinamica e con le leggi della termodinamica, e John Von Neumann. Riuscì, eliminando le variabili non necessarie, a rendere più efficaci i complicatissimi calcoli predittivi, la cui risoluzione era stata il grande cruccio del collega. Di tutt’altra natura sono i problemi che la scienza della predizione incontra nel campo della sismologia. Prevedere un terremoto, spiegano gli autori, è estremamente arduo perché disponiamo di poche conoscenze sulle sollecitazioni tettoniche e i cosiddetti precursori – eventi che dovrebbero indicare il sopraggiungere della scossa violenta – non hanno mai mostrato di avere una solida base scientifica.
Infine c’è un settore in cui pare valere la massima di Rupert Murdoch: «È noto che gli economisti sono stati creati al solo scopo di far apparire affidabili quelli che fanno le previsioni meteo». In finanza scommettere vale poco. Il motivo? Siamo in presenza di situazioni non stazionarie ed è impossibile costruire modelli matematici attendibili perché non è scientificamente valido parlare di leggi. Ancora oggi non c’è qualcuno in grado di rispondere con certezza alla domanda che la Regina Elisabetta rivolse al gotha della finanza internazionale riunito nel 2008, dopo il crollo della Lehman Brothers, alla London School of Economics: «Perché nessuno l’ha previsto?». Giocare al lotto o fare un investimento finanziario hanno un grado simile di incertezza. Nel primo caso, non essendoci regole certe, potrebbe venirci in aiuto la teoria della probabilità. Nel secondo, dato il numero di variabili esterne, come una crisi politica, nemmeno quella.
E se provando a indovinare il futuro c’è anche chi, tra gli esperti, ha preso grandi cantonate – è noto il memorandum della Western Union del 1876 in cui il telefono era valutato un arnese così pieno di difetti da non poter essere preso sul serio come mezzo di comunicazione – una scommessa sul futuro della scienza la fanno anche gli autori. Davvero, si chiedono, come ha scritto il guru informatico Chris Anderson, i big data stanno rendendo l’approccio scientifico, basato su modelli ed equazioni, obsoleto per predire il domani? In altre parole: è sufficiente raccogliere un’immensa mole di informazioni sul passato per provare ad azzeccare quello che accadrà in seguito? Non sarà così, dicono, perché la scienza non avanza per accumulo di informazioni ma per la capacità di eliminare quelle secondarie, identificando la parte significativa di un problema. Facciamo attenzione, sembrano avvisarci, a non comportarci come nella storiella del tacchino induttivista: appassionato di Francis Bacon, decise di formarsi una visione scientifica del mondo basandosi sulle sue osservazioni. Notò che, indipendentemente dal giorno della settimana e dalle condizioni atmosferiche, il cibo gli veniva portato alle 9 di mattina. Concluse che una legge della natura è che i tacchini sono alimentati sempre alla stessa ora. Una convinzione che si rivelò falsa un solo giorno: quello del ringraziamento.