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 2019  giugno 16 Domenica calendario

Storia di un quarantenne rimasto senza lavoro

Franco Moreschi ha 55 anni, gli occhi azzurri, una corporatura massiccia, una figlia adolescente e – al momento – poco altro. Questo è ciò che possiede dopo che il mondo che si era costruito attorno ha iniziato a eclissarsi fino a diventare un altro. Nella sua prima vita non era ricco, ma aveva raggiunto un buon livello di benessere. Poi è diventato povero, trascinato sempre più giù da una sorta di inarrestabile slavina economica, iniziata una dozzina d’anni fa con la perdita del lavoro. E questa è la sua seconda vita, quella attuale. Fatta di lavori saltuari, faticosi e malpagati, di battaglie e sconfitte quotidiane per la casa, un sussidio, un prestito, una cassetta di frutta al mercato.
«A volte mi chiedo se quello di prima davvero ero io», dice con la voce stentorea ridendosi un po’ addosso. E allora accende un’altra sigaretta, sposta la sedia in diagonale rispetto al tavolo, fissa un punto preciso della parete di mattoni rossi e inizia a scandire il racconto di quando aveva un appartamento di cento metri quadrati a Cusago, hinterland sud-ovest di Milano, auto aziendale parcheggiata lì vicino, una famiglia, alberghi e traghetti per le vacanze in Costa Smeralda. «Stavamo bene», commenta come se parlasse di altri.
Eppure quel tempo e quella vita non sono così distanti. Dodici primavere fa Franco Moreschi era un quadro della Motorola, colosso americano dell’elettronica. Era cresciuto in quel settore: istituto tecnico a Milano, studi accademici a Londra e poi il lavoro arricchito da una virata sul marketing. Nel 2007, quando quella sua prima vita sta per cambiare, è responsabile dei servizi alla clientela italiana, posizione da 180 mila euro lordi annui. Ma anche se non è ancora esplosa quella che passerà alla storia come «crisi del 2008», le cose sembrano mettersi male. E per questo motivo, nel marzo di quell’anno, un dirigente della multinazionale gli sussurra: «Dimettiti ora, così fai in tempo a prendere una buonuscita e a salvare il Tfr prima del disastro».
Moreschi è consapevole della situazione e accetta il consiglio, prende ventimila euro di bonus e si dimette. Ha poco più di 40 anni, confida nel suo curriculum e nei suoi contatti. «Pensavo: siamo in Lombardia, non sarà difficile ricollocarsi». Invece... Il problema è l’età: «Quando hai superato i 40 anni ti considerano un relitto». Nel frattempo lui, che sin da ragazzino è abituato a «fare qualcosa», si dedica alla piccola azienda della moglie: «Produceva borse in pelle di ottima qualità, ho pensato che con qualche investimento fosse possibile inserirsi nel grande mercato del made in Italy», racconta sottolineando con lucidità manageriale i dettagli del business plan e i primi risultati incoraggianti. «Poi, però, è arrivata la grande crisi del 2008, gli ordini hanno iniziato a rallentare e i pagamenti ancora di più, i clienti chiedevano la merce in conto vendita. Una sofferenza finanziaria che ho cercato di compensare attingendo ai risparmi».
Iniziano in quel periodo anche le difficoltà familiari. Non soltanto economiche. Bisogna stringere la cintura, fare attenzione, fare rinunce. E non è facile in una casa abituata a certi standard, dove per giunta ci sono due ragazzi: una di 11 anni e uno di 19, nato da una precedente relazione della moglie di Moreschi. Le tensioni sono quotidiane. I rapporti coniugali si logorano fino a diventare avvelenati. Un ricorrente «effetto collaterale» dei declini economici. Succede anche nell’appartamento di Cusago. A un certo punto l’eclissi diventa totale: l’azienda chiude, in casa più nessuno ha un lavoro e anche la famiglia esplode. Moreschi si ritrova per qualche settimana a dormire nei locali della pelletteria, inizia a perdere contatto anche fisicamente con la realtà. La vertigine da caduta subisce un’ulteriore accelerazione: «Ho pagato tutti i debiti, tutti tranne quelli con l’erario, che ormai credo mi accompagneranno per tutta la vita. Ma ho dovuto svendere la casa per rientrare del fido bancario che avevo chiesto per mandare avanti il business delle borse: 175 mila euro per un immobile che ne valeva almeno 290, ma non avevo scelta, quando sei debitore non te le lasciano». Si ferma, poi chiarisce: «Io credevo davvero nelle potenzialità di quell’attività. Dopo ho capito che avrei fatto meglio a fermarmi prima, ma con il senno di poi…».
Tra dolorose vicissitudini familiari e rovesci finanziari Franco si ritrova solo. La separazione con il suo strascico penoso di duelli giudiziari, e non solo, accelera la disperata ricerca di fondi, per ripianare i debiti che si moltiplicano e per rimediare le poche centinaia di euro che gli servono per tenersi vivo e garantire il proprio sostegno alla figlia, che vede soltanto a fine settimana alternati e alla quale cerca di nascondere la sua reale situazione. Si muove senza sosta. «Chiedevo soldi a chiunque – racconta domando ostentatamente anche la memoria del disagio —, ai parenti, ai vicini di casa... Piccole cifre, ma vedevo quegli sguardi… Erano più imbarazzati di me». E così anche la cerchia degli amici si allenta. La caduta sembra inarrestabile, nonostante la disponibilità a fare tutto. «Ho spedito 1.180 curriculum per ottenere meno di una decina di colloqui, che puntualmente si sono incagliati sulla mia età, che tra l’altro era indicata alla quarta riga...». Ora il suo orizzonte è proprio un altro: vive in un piccolo appartamento che gli è stato dato in uso dalla parrocchia e dove non accende mai il riscaldamento, incassa 450 euro di Naspi, il sussidio di disoccupazione che ha una durata limitata, fa il dog sitter occasionale per una conoscente che lo chiama ogni due settimane e lo paga 50 euro per un paio d’ore di impegno. «Credo facesse un po’ finta di avere bisogno, in realtà ha voluto proprio aiutarmi», dice sorridendo. Per brevi periodi si ritrova a svolgere mansioni d’ufficio, prima nell’azienda di un amico e poi in una piccola impresa di proprietà cinese, dove ovviamente le sue competenze di amministrazione non sono pagate a prezzo pieno. E soprattutto vengono utilizzate per il minimo indispensabile. Dopo un impatto traumatico con i servizi sociali pubblici, attraverso Facebook scopre che a Cesano Boscone la Caritas ha avviato un «Emporio della solidarietà», cioè una sorta di supermarket dove – attraverso una tessera a punti – è possibile ricevere gratuitamente generi di prima necessità: dagli alimentari ai prodotti essenziali per l’igiene.
La necessità lo spinge anche verso altri «lavori». Tutti massacranti, ciascuno a suo modo. Per un po’, finché lo chiamano, presta servizio in un call center per 3 euro e 75 centesimi lordi all’ora. Poi, ed è storia attuale, riesce a entrare nel «giro» dell’Ortomercato. «Un sabato sì e uno no vado a scaricare cassette per un grossista marocchino. Mi paga due euro all’ora. Contanti, subito, appena finita la giornata, quando ormai non sento più la schiena – confida —. Ogni volta riesco a portare a casa anche un po’ di merce: pere, fragole, peperoni, pomodori, quello che capita, quando c’è qualcosa di troppo maturo o un po’ ammaccato». Nel corso del 2017 salta fuori un’altra occasione per guadagnare qualcosa. Franco aveva già deciso da tempo che avrebbe accettato qualsiasi lavoro, che non avrebbe fatto lo schizzinoso, ma non aveva immaginato che un giorno gli avrebbero fatto quella proposta né che lui avrebbe detto sì apparentemente senza battere ciglio: «Lavare e vestire i morti». Quando lo dice si dispone a osservare la reazione di chi lo ascolta, sottilmente divertito: «Sì, i cadaveri». Ma non gioca a fare il duro: «Un’impresa di onoranze funebri mi ha offerto 25 euro per un servizio che in teoria costerebbe più di cento: si tratta di andare nelle case dove è avvenuto un decesso per cause naturali, quasi sempre mi sono trovato di fronte ad anziani morti nel loro letto. Le prime volte lavoravo e mi interrompevo continuamente per vomitare».
Poi, come se volesse consolare sé stesso e chi lo ascolta, torna a girare la sedia verso il tavolino, sorride, cambia tono e racconta di una novità bella e inattesa che irrompe in quella sua seconda vita essenzialmente di sventure: tre giorni prima del Natale 2017 sua figlia, ormai quattordicenne, chiede e ottiene dal giudice di essere affidata a lui, al padre. «È stato un raggio di sole, una rinascita. Nessuno potrà mai capire cosa ho provato quando, nel giorno della festa della mamma, mi ha portato il caffè a letto con un biglietto che diceva “Sei la mamma migliore del mondo, papà”».
Moreschi moltiplica gli sforzi per raggranellare soldi, anche perché nei limiti del possibile vorrebbe che la ragazza non si sentisse diversa dalle altre sedicenni, «ma ho smesso di accettare le chiamate notturne dell’impresa funeraria, non lascio mia figlia da sola di notte». Ora il futuro, per lui, è racchiuso nella speranza che dai contatti con un paio di aziendine, «una di un conoscente e l’altra di un cinese», gli consentano di vendere sottocosto le sue competenze amministrative, e anche nell’obiettivo di racimolare una somma decente per mandare la ragazza in vacanza: «Sempre ospite di amici o parenti, ma voglio proprio che si goda la sua estate dei 16 anni, è stata promossa, è brava…». Intanto ha trovato un nuovo appartamento «grazie al bando riservato ai padri separati – spiega – ma tocca trasferirci a Cesano Boscone e dura al massimo tre anni». Quindi il gesto finale, che gli consente di sfoderare il suo sorriso da duro: con la complicità del barista, vuole pagare lui i caffè e l’acqua. E butta lì una battuta, forse già collaudata: «Tranquillo, lo faccio col cuore, mica con i soldi».