la Repubblica, 16 giugno 2019
La Lega trionfa a Ceppaloni
CEPPALONI (BENEVENTO) – Dalle parole di Clemente Mastella trapela aria di sufficienza: «Perché è andata così? Semplice: non c’ero io candidato. Quando mi presento vinco sempre. Vada a controllare. Sono sempre arrivato primo nelle preferenze e primo con me il partito in cui stavo, dalla Democrazia cristiana all’Udeur a Forza Italia». Manca a questo punto soltanto la controprova, cioè che anche stavolta sarebbe andata allo stesso modo. Perché nel suo paese Ceppaloni, poco più di 3 mila residenti in provincia di Benevento, al confine con l’Irpinia, la valanga leghista si è abbattuta con violenza imprevedibile. Alle politiche del 2018 Matteo Salvini aveva raccolto nel beneventano il 6,5 per cento, e già sembrava un risultato clamoroso. Un anno dopo è al 28, ma ci sono Comuni della Provincia dove ha letteralmente sbancato. Come appunto Ceppaloni: 39,64 per cento. Nel feudo di Mastella, cinque anni fa, l’avevano votato in 15, lo 0,85 per cento. Oggi Salvini conta 721 elettori, e non c’è nessuno che ne abbia di più. Come Mastella ai tempi d’oro, per capirci. Ancora alle europee del 2014 Forza Italia, il suo partito di adesso, aveva raccolto in paese il 45,7 per cento, più del doppio del Partito democratico, allora fermo al 21,5 e ora scivolato a un misero 7,3 per cento. Ma quella di Ceppaloni fu una vittoria di Pirro: contro ogni previsione l’europarlamentare uscente Mastella uscì trombato. «Ho perso per colpa degli avversari interni. Mi hanno tradito gli amici di Forza Italia», si sfogò con il Mattino. E siccome la storia si ripete, oggi sono proprio i mastelliani che gli fanno lo sgambetto a casa sua. Claudio Cataudo, che per dieci anni era stato sindaco mastelliano di Ceppaloni, e ora è vicesindaco del mastelliano Ettore De Blasio, è passato armi e bagagli con Salvini. Il risultato è che qui la candidata leghista per Strasburgo Lucia Vuolo ha portato a casa 479 voti, contro i 364 della forzista Mary Chiusolo. «Salvini non è lo stereotipo del politico polveroso. Crede in quello che fa, la gente lo percepisce e gli dà il voto. Lui intercetta le ansie, i disagi e la volontà di cambiamento con pragmatismo, fuori dalle liturgie della politica dentro sui siamo annegati», dice il coordinatore della Lega Luca Ricciardi. Non senza rivendicare la perfetta aderenza ideologica con “il Pantheon valoriale” del capo della Lega: «Bisogno di ordine, efficienza, sicurezza, buongoverno». Un’adesione così entusiastica da relegare a intemperanze giovanili ormai sanate dal tempo le sue invettive antimeridionaliste condite, fra una birra e l’altra, anche da insulti razzisti. Ed è sorprendente la rapidità con cui il personale politico del centrodestra, che certi insulti non li avrebbe mai potuti digerire, stia seguendo il giro di boa salviniano. «Qui nel beneventano c’è un passaggio progressivo e inarrestabile di sindaci e amministratori comunali con Salvini», ammette Ricciardi. Del resto, l’esempio è lui stesso: folgorato su quella che una volta era la via di Pontida dopo essere stato consigliere comunale di Alleanza nazionale a Benevento e poi capogruppo vicario del Pdl alla provincia. Seguendo le orme del padre Roberto, missino della prim’ora e all’epoca animatore di Democrazia Nazionale. Il quale con vanto mostra appesa alla parete del suo ufficio nell’azienda di famiglia, un’avviata concessionaria di autovetture a Benevento, la motivazione della medaglia d’oro al valor militare di suo zio Luca: incursore della X Mas morto nel sommergibile Sciré affondato ad Haifa nel 1942 dagli inglesi. Guai, però, a parlare di trasformismo. Anche se è esattamente ciò che sta accadendo. Ed è legittimo domandarsi se la stessa classe dirigente incapace finora di affrancare questo pezzo d’Italia dall’isolamento, dal clientelismo e dalla spesa pubblica, sia oggi in grado di farlo: semplicemente mettendo la felpa di Salvini. «Dovevamo essere una piccola Svizzera, come avrebbe detto Massimo D’Alema a Mastella. Guardatela invece oggi, Ceppaloni. Il paese è desertificato. C’è rimasto solo un bar. I giovani vanno via appena possono. Per non parlare delle case in vendita. Qui si vende tutto, ma non compra nessuno, con i prezzi che crollano sempre di più», racconta Leonardo Maria Rossi, geometra, consigliere comunale di Ceppaloni che sosteneva una giunta «fatta saltare da Mastella». Lo dice non senza una punta d’orgoglio. E se gli chiedi per chi ha votato risponde che non c’è andato, a votare. Ne ha viste talmente tante e spiega che non se l’è sentita. A San Giovanni, la frazione del Comune che ospita sulla sommità della collina villa Mastella con tanto d i piscina a forma di conchiglia, non c’è praticamente stabile né palazzina dove non ci sia tristemente appiccicato un cartello “vendesi”. Il segno dei tempi. Come la desolazione delle due (ben due!) aree industriali di Ceppaloni: fra capannoni vuoti da anni, come testimonia la vegetazione che li ha invasi, ci puoi trovare massimo uno sfasciacarrozze. E dire che pure qui in passato, per esempio dopo il terremoto del 1980, di soldi ne erano arrivati. Ma senza lasciare tracce particolari. «A differenza», sottolinea Rossi, «di quello che è accaduto, nel bene e nel male, in altri feudi democristiani al Sud. Basta fare il confronto con la Nusco di Ciriaco De Mita o con la Gissi di Remo Gaspari». A Ceppaloni c’è chi è convinto che l’epoca di Mastella sia ormai al crepuscolo, con lui che ha lasciato il paese per andare quindici chilometri più in là a fare il sindaco di Benevento. Mai così defilato. Non ha però fatto i conti con l’istinto di sopravvivenza dei democristiani: nessun politico ce l’ha spiccato come loro. Se Clemente si è preso suo malgrado una pausa dalla politica nazionale, i Mastella non sono usciti affatto dal palazzo. Nel 2015 sua moglie Alessandrina Lonardo, ex presidente del consiglio regionale della Campania ha dovuto incassare un pesantissimo uno-due: vedere il suo nome nella lista degli “impresentabili” compilata dalla commissione antimafia e subire una cocente sconfitta alle elezioni regionali nonostante oltre 10 mila preferenze. Dalle delusioni si è risollevata tre anni dopo con un seggio in Senato: eletta al proporzionale nel collegio Benevento-Avellino per Forza Italia. E anche lui medita il ritorno. Fare il sindaco di Benevento, con 140 milioni di debiti ereditati, è lavoro pesante e ingrato. Ecco allora che Clemente confessa: «Non ne posso più, davvero». La via d’uscita, riaffacciarsi alle prossime politiche, e prima ancora magari ci sono le regionali in Campania, per cui Mastella ha chiesto le primarie. Lì c’è sicuramente ancora da manovrare qualcosa. Anche se niente sarà più come prima. A Ceppaloni nel giro di cinque anni il partito di Salvini è passato da 15 voti al 39,6 per cento delle Europee. L’ex ministro: “Non c’ero io candidato Ecco perché è andata così” Roberto Salomone L’ex Guardasigilli Clemente Mastella, 72 anni, ministro della Giustizia nel secondo governo Prodi e oggi sindaco di Benevento