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 2019  giugno 15 Sabato calendario

Un week end di tempo per salvare il mondo

Londra, fine maggio, manca un quarto d’ora alle undici e all’appuntamento con Lord Michael Dobbs, l’uomo che dopo avere guidato lo staff di Margaret Thatcher e averle personalmente comunicato la nomina a primo ministro, ha deciso di aggiungere i romanzi alla sua attività politica e, per non smentire la sua fama di «uomo più intelligente del Regno Unito» (definizione di Michael Portillo) ha scritto House of Cards, di cui ha poi seguito la sceneggiatura per la Bbc e per Netflix. Politica e libri. Ne scrive uno all’anno. L’ultimo, Attacco dalla Cina, è il secondo romanzo con protagonista Harry Jones, 007 del terzo millennio che il governo di Sua Maestà utilizza quando non sa più come togliersi dai guai. E in questo caso i guai sono davvero grossi, un cyberattack scatenato dagli hacker cinesi che rischia di mettere in ginocchio gli interessi vitali dell’intero occidente, dalle centrali nucleari ai sistemi sanitari nazionali. La terza guerra mondiale combattuta senza sparare un colpo.
Alla vigilia dell’attacco, il primo ministro inglese, Mark D’Arby, una via di mezzo tra la Lady di Ferro e Tony Blair, convoca in gran segreto la presidente degli Stati Uniti, Blythe Elizabeth Harrison, e il presidente russo, Sergej Ilic Sunin, in un castello scozzese abitato da una nobildonna e dal suo curioso nipote, per impedire il disastro. Il libro, pieno di ritmo e colpi di scena, è costruito come un film, in cui i cattivi – il presidente cinese Mao Yanming e il presidente russo Sunin – sembrano le copie carbone del dittatore coreano Kim Jong-un e del presidente russo Vladimir Putin. «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi e il caos è la continuazione della politica con mezzi ancora migliori», si legge nell’introduzione del romanzo e solo Harry Jones sarà in grado di dominare il caos.
Il quarto d’ora è passato e Lord Dobbs riceve La Stampa a Westminster. Il palazzo del potere, ingabbiato da impalcature che si stringono fino alla torre del Big Ben, è l’involontario simbolo di un paese imprigionato dall’inestricabile complessità della Brexit. Nell’ufficio della House of Lords, Dobbs si siede su una poltroncina, allenta il nodo della cravatta e racconta: di sé, dell’Europa (grande assente anche nel romanzo), della Cina, delle minacce che arrivano dal futuro e di Harry Jones.
«Questo è il mio secondo libro con Harry Jones protagonista. E si occupa di cyberspionaggio perché Harry Jones, come me, non guarda al passato, ma pensa alle minacce del futuro. Il cyberspionaggio è certamente una di queste».
Lord Dobbs, il web è un pericolo o un’ opportunità?
«Sono affascinato da internet, perché è stato immaginato per portare maggiore felicità nelle nostre vite e invece produce malattie mentali, suicidi, incidenti stradali. E anche storte alle caviglie, perché guardiamo gli smartphone e non il marciapiede».
Un disastro.
«Non ho finito. C’è persino di peggio. Le statistiche dicono anche che gli inglesi hanno smesso di fare sesso. Preferiscono guardarlo su internet».
Tremendo. Le statistiche però dicono anche che le persone vivono di più, studiano di più, si curano meglio. Il futuro è sempre meglio del passato. Internet incluso.
«Forse. Ma il progresso ha anche degli svantaggi. Cento anni fa, a Edimburgo c’erano solo due automobili. E sa che cosa successe?».
In effetti no.
«Che si scontrarono in mezzo alla strada».
Che morale ne trae?
«Che per evitare le collisioni servono regole».
Scrivere è più divertente o più faticoso?
«Per me è un gigantesco piacere. Ma è anche un lavoro. Ho quattro figli e devo dare loro da mangiare ed educarli. Programmo un libro all’anno. E vorrei continuare a farlo almeno fino a quando saranno autonomi. I romanzi mi assorbono completamente. E non è semplice perché la tua testa è sempre rivolta al libro. Comincio a pensarci appena mi sveglio e quando arrivo a sera sono esausto. È un processo che mi svuota fisicamente ed emotivamente».
Allora perché lo fa?
«È lo stesso motivo per cui si corre una maratona. Ti distrugge, ma alla fine senti di avere raggiunto qualcosa di importante. Quando rientro a casa, mia moglie è in grado di dire se ho passato la giornata facendo politica o scrivendo. Se il mio sguardo è intenso e felice ho scritto. Se non ho voglia di parlare e ho l’istinto di uccidere qualcuno mi sono occupato di politica».
I protagonisti di «Attacco dalla Cina» sono gli uomini più potenti di Russia, Cina, Gran Bretagna e Stati Uniti. Nessun europeo. È la sua Brexit personale?
«Rovescio la domanda: perché avrei dovuto inserire un presidente europeo? Chi poi? I miei protagonisti hanno già abbastanza problemi con i cinesi»
L’Italia con Pechino ha appena firmato un accordo sulla Via della Seta, suscitando il fastidio degli Usa.
«Niente resta fermo. Le cose cambiano. La vita ti impone nuove sfide. Ed è il suo bello. Non c’entra con il libro, ma ero negli Stati Uniti prima dell’elezione di Trump e avevo fiutato l’aria. Al punto che tornando a casa andai a vedere a quanto lo quotavano gli scommettitori. Uno a quattro. Scommisi su di lui».
Quanto?
«Questo non importa. Quello che importa è il principio. L’impressione è che abbiamo perso il senso della realtà. In Gran Bretagna è andata allo stesso modo. Tutti si aspettavano che vincesse il remain, invece ha vinto il leave».
Il risultato è che fuori da questo Palazzo le persone litigano furiosamente.
«Siamo di fronte a un grosso problema. Perché non dovrebbero discutere?».
Perché da bambini ci insegnano che è meglio stare insieme che litigare.
«Noi staremo assieme, ma non in una Unione come questa. L’Unione europea è un’istituzione ed è una brutta istituzione. L’Europa è magnifica, ma le istituzioni e il governo rappresentate fino a ieri dal presidente Juncker sono ridicole».
C’è il paradiso fuori dall’Europa?
«Naturalmente no. Ma è comunque meglio stare fuori che dentro. Lei salirebbe sul Titanic? Noi dobbiamo sopravvivere e l’Unione europea sarà sempre meno adatta a soddisfare le esigenze economiche, politiche e di benessere delle persone. Ciò non toglie che se io dovessi pensare: dove voglio andare a vivere la parte finale della mia vita? La risposta sarebbe: in Europa. Di più, in Italia. Cultura, paesaggi favolosi, cibo meraviglioso, vino superbo e persone fantastiche. Ma che l’Italia abbia grosse difficoltà è evidente».
Nel libro lei scrive: «nessuno si preoccupava dell’Italia, dopo tutto era l’Italia».
(Ride). «È come se gli italiani avessero un senso perenne di: “non importa quello che succede, tanto siamo a Roma”. Ho fatto un viaggi in Italia prima di Natale. Venezia, Trieste, la Sicilia di Montalbano perché volevo mangiare il suo stesso cibo. E naturalmente Roma. Sa qual è stata la mia impressione?».
Ho paura della risposta.
«È come se gli italiani preferissero ignorare la portata dei problemi. O forse siamo noi inglesi che prendiamo tutto troppo seriamente».
Conosce Salvini e Di Maio?
«Oh, non riuscirà a trascinarmi in un dibattito sulla politica italiana. Ho già i mie guai con i leader inglesi. Auguro a Salvini e Di Maio ogni bene, ma credo che il successo dell’Italia sia più legato ai suoi cittadini che ai suoi politici».
Chi ricorre ai cyberattack?
«Soprattutto i russi e i cinesi. Ma sono due cose diverse. La Cina è un paese in crescita, pieno di ambizioni soprattutto economiche. La Russia è un paese in crisi. Che ne sarà di loro tra 20 anni? Non credo che potranno permettersi le stesse strategie e le stesse strutture militari di oggi, per questo si dedicano a minare l’ordine stabilito occidentale. Stanno combattendo una nuova guerra fredda. La strategia cinese è commerciale».
Putin è più pericoloso di Xi Jinping?
«Sì. Lo è. Basti pensare agli attacchi con il gas nervino a Salisbury, la mia città. Putin minaccia, i cinesi no. Putin ha invaso il territorio europeo della Crimea, i cinesi no. È una situazione molto seria. Sappiamo che Putin ha interferito nelle elezioni americane e in quelle europee».
Le ha condizionate?
«Credo di no. Ma il punto è che ci ha provato. La Russia sta interferendo nella nostra vita democratica, mentre la Cina tenta il controllo economico. Lo ha fatto in Africa, ora ci prova in Europa, ma non credo che ci riuscirà».
Abbiamo gli stessi valori?
«La storia che insegnano in Cina è molto diversa da quella che insegnano nelle nostre scuole. Per molto tempo i nostri leader sono andati a Pechino a dare lezioni sui diritti umani. Mica perché pensavano che i cinesi potessero cambiare. Solo per poterlo dire alla propria opinione pubblica».
È sbagliato difendere i diritti umani?
«È sbagliato dare lezioni, perché non serve. È più utile dire: noi vogliamo avere una duratura relazione con voi. È necessario avere un dialogo».
Il presidente Xi Jinping lo conosce?
«L’ho incontrato proprio qui a Westminster, in una visita di Stato. Conosceva House of Cards. E io gliene ho regalato una copia con questa dedica: “quando siamo d’accordo lascia che ne gioiamo insieme, quando siamo in disaccordo lascia che ne discutiamo, quando non possiamo andare d’accordo lascia che lo facciamo da amici”. Posso fare io una domanda a lei?».
Ci mancherebbe.
«Lei crede che l’Europa aiuti l’Italia?».
In effetti sì. Credo che debito, corruzione e mafie non siano colpa dell’Europa.
«E se guarda all’occupazione giovanile o alle politiche agricole chi incolpa? In tutto il mondo le persone detestano le élite. E Bruxelles incarna quelle élite più di qualunque altra istituzione. Le divisioni sociali non si possono ignorare. Tanto meno si possono ignorare i processi democratici e da noi i brexiter sono la maggioranza. Tocca agli elettori decidere. Solo questo conta».
Il Fanciullo, uno dei personaggi più belli del suo libro, è un po’ lo specchio dell’anima dei protagonisti. Qual è il suo ruolo nella storia?
«Il Fanciullo rappresenta il domani. Noi per i nostri figli dobbiamo costruire il futuro migliore possibile. E io sulla mia tomba non voglio che scrivano: “è stato un grande scrittore”. Voglio che scrivano: “non è stato un cattivo padre”».