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 2019  giugno 15 Sabato calendario

Una mostra su locali notturni e discotechde

Non è solo unz unz, il suono molesto – per chi non è al centro della pista. È un trend che negli ultimi sessant’anni ha cambiato vorticosamente gli stili di vita giovanili. Sottocultura o cultura contemporanea? Un tempo, quando si varcava la soglia di una discoteca e s’imboccava il tunnel che dalla biglietteria conduceva al locale, quella specie di anticamera da cui si udivano solo rimbombi, bassi e riverberi ovattati, nessuno aveva l’impressione di entrare in uno spazio che un giorno sarebbe diventato d’interesse artistico. Non lo pensavano i giovani blasé frequentatori del Piper Club di Roma, negli anni Sessanta, né gli stalloni dello Studio 54 progettato da Ian Schrager, dieci anni dopo. Men che meno la trasgressiva popolazione LGBT che animava le serate del Palace e del Bains Douches di Parigi, con arredo firmato dal giovane Philippe Starck, prima che l’Aids mettesse il silenziatore alle allegre brigate; i più raffinati ma non meno morbosi new romantics devoti a Oscar Wilde che ronzavano intorno al Blitz e al Taboo di Londra negli anni Ottanta; gli anfetaminici postadolescenti ansiosi di farsi massacrare i timpani e i neuroni nei dissonanti Tresor e Berghain di Berlino negli anni Novanta. Tantomeno i frequentatori dei rave, invisibili e infaticabili cavalieri delle ombre pronti a migrare nei weekend verso segretissime destinazioni suburbane per una nottata che finiva a mezzogiorno, traumi e fobie cancellate dal sovradosaggio di chems. Sembrava tutto marginale, frammenti di post-dolcevita che, prima o dopo, sarebbero scivolati via senza lasciare traccia nella memoria dei nightclubber e nella Storia. Non la pensano a questo modo i curatori della mostra Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today, che dal prestigioso Vitra Design Museum di Bruxelles ha traslocato negli spazi modernissimi e flessibili del Centro Pecci per l’arte contemporanea di Prato, che ormai da trent’anni ha un rapporto simbiotico con le culture musicali, dove resterà fino al 6 ottobre. «I locali notturni e le discoteche sono stati epicentri della cultura contemporanea», spiega Jochen Eisenbrand, esperto di design, uno dei promotori di un progetto tanto ardito, per la mutevolezza e la volatilità dell’argomento, quanto brillantemente riuscito e straordinariamente contemporaneo – porrà fine all’eterno piagnisteo secondo il quale i giovani si sono allontanati dai musei? «Nel ventesimo secolo hanno messo in discussione i codici prestabiliti del divertimento e della socializzazione e hanno permesso di sperimentare stili di vita alternativi. Al loro interno s’incontrano le manifestazioni più d’avanguardia del design, della grafica e della moda; grafica, design, luci, effetti speciali e suoni per creare un moderno gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale». La cosa più sorprendente di questo ricco, eccitante percorso visuale e sonoro è che l’Italia non è alla periferia del fenomeno; la storia del clubbing inizia proprio dai nostri locali notturni degli anni Sessanta, creati dal Gruppo dei Radicali. «L’Altro Mondo di Rimini, inaugurato nel 1967 su progetto di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso (fantastici i mobili modulari che disegnò per il Piper di Torino, nel 1966; già, non c’è stato solo il Piper di Roma, ndr) è uno dei molti nightclub nati dalla creatività del Gruppo, come lo Space Electronic di Firenze ( inaugurato nel 1969 e ancora in attività; il 21 settembre del 1970 alle ore 22 qui si esibirono Sly + Family Stone, reduci da Woodstock; la locandina è in mostra, ndr), realizzato dal Gruppo 9999», dice Eisenbrand. E aggiunge che quegli audaci protagonisti dell’Architettura Radicale Italiana ( ci sono oggetti d’arredamento dell’epoca che hanno lasciato un segno profondo nell’industria del mobile e dell’oggettistica) ebbero una grande influenza nei locali della controcultura newyorchese: lo psichedelico Cerebrum (1968), ad esempio, o la prima struttura dell’Electric Circus (1967), il luogo dove Andy Warhol orchestrò il suo Exploding Plastic Inevitable, con i Velvet Underground e Nico, un esperimento multimediale che attirò immediatamente l’attenzione di intellettuali come Marshall McLuhan. Negli esperimenti italiani, più che altrove all’epoca, arte e intrattenimento sono avanguardisticamente connessi, tanto che il rinomato docente Leonardo Savioli ( 1917- 1982) già nel 1966- 67 teneva corsi di “Architettura per l’intrattenimento” all’Università di Firenze, cui parteciparono membri dei Radicali UFO, del Gruppo Ziggurat, Archizoom Associati e Superstudio. Per l’occasione, scopriamo dai bozzetti in mostra, Alberto Breschi disegnò il progetto per un Piper sulle rive dell’Arno che poi non vide mai la luce. Il percorso proto- disco della mostra dedicato all’Italia con la consulenza di Elena Magini, illuminato dai neon (la mirror ball non era ancora in voga) – prima di arrivare negli spazi dove la gigantografia di Travolta benedice il visitatore, zeppi di immagini indelebili legate all’esplosione americana della Saturday night fever – è curiosissimo, rispolvera ricordi e situazioni rimasti sepolti nella memoria, anche perché mai prima d’ora documentati, «e che non avremo mai potuto documentare senza l’aiuto di fan e collezionisti», insiste Eisenbrand. Ad esempio, l’avveniristica discoteca Flash Back ( 1974) di Borgo San Dalmazzo, nel cuneese, progettata da Gianni Arnaudo, il Bamba Issaa a Forte dei Marmi, ideato dal Gruppo UFO, e il Grifoncino di Bolzano ( entrambi del 1969), il futuribile Barbarella (1972) di Dubbione di Pinasca, provincia di Torino – tutti in anticipo sui newyorchesi Studio 54 o Paradise Garage o Palladium, per il quale Keith Haring disegnò il celebre murales e Arata Isozaki, l’architetto giapponese oggi 87enne, il più radicale dei radicali, progettò la struttura che cambiò definitivamente il volto e la destinazione d’uso del vecchio teatro di Judy Garland. Grandiosa e certamente più spettacolare, anche perché incuriosisce con l’immagini di vip e di costumi creati dalla trimurti della moda disco ( Halston- Gucci- Fiorucci, immortalata dalle Sister Sledge in He’s the greatest dancer), è la sezione dedicata alla New York della Febbre del sabato sera. Ma per millennial e centennial sarà molto più attraente il percorso post-disco, corredato da spettacolari supporti audiovisivi, dove a farla da padroni sono i locali di house e techno sparsi un po’ ovunque, dai club industrial di Detroit ai bunker di Beirut. Divertentissima, per visitatori di ogni età, l’interattiva Silent Disco allestita al centro del percorso: basta indossare la cuffia corrispondente al genere preferito e si viene catapultati dentro una verosimile club experience. «I locali notturni sono stati l’epicentro delle sperimentazioni della cultura giovanile, il laboratorio degli artisti visuali, dove tra musica, moda, architettura e design non c’era confine», conclude Eisenbrand. Roba da museo. Il catalogo, di oltre quattrocento pagine, è un must, l’unica guida esaustiva sull’argomento. Intanto il mondo è già dentro un’altra era. Quella dei festival.