ItaliaOggi, 15 giugno 2019
Il più grande giornale del mondo controlla meno del più piccolo
Dopo Google anche Facebook si sfila dai rapporti tecnologico-commerciali con Huawei, diventata per l’amministrazione Trump la nuova metafora del «pericolo giallo». Ma attenzione: che i cinesi siano pericolosi, non ci piove. Bene fa il governo Usa a guardarsene, bene faremmo anche noi. Non sono solo fortissimi concorrenti in tutti i settori dell’innovazione industriale, ma anche potenziali nemici geopolitici.Però se Google e Facebook, finora sordi a tutte le legislazioni del mondo, purché aggirabili ed eludibili con qualche gabola giuridica (si pensi alle pochissime tasse che pagano!) sono diventati così solleciti ora nell’assecondare la Casa Bianca non è per una conversione al patriottismo, non è un’adesione convinta all’«America first!» della propaganda trumpiana, ma è soltanto un’operazione simpatia, nemmeno tanto velata, per prevenire le ormai chiare e sempre più diffuse determinazioni allo smembramento ed alla regolazione stringente che stanno maturando nella politica Usa. Gli oligopolisti che si pongono come garanti della libera Rete… fa ridere, a ben pensarci.
Fa piangere, invece, constatare come la nuova sensibilità degli americani verso le continue violazioni della privacy e del principio di responsabilità del re dei social network non si risolva ancora in un intervento legislativo radicale. Ha fatto scalpore la risposta data da Facebook alla protesta dei sostenitori di Nancy Pelosi (la speaker democratica della Camera che è aspra oppositrice di Trump) per la pubblicazione di un video manipolato che la faceva apparire come ubriaca in un discorso artatamente rallentato. Facebook ha detto, in sostanza, che non era sua responsabilità aver lasciato il video on-line anziché rimuoverlo.
La solita solfa: il più grande giornale del mondo che respinge responsabilità gravanti anche sul giornale tradizionale più piccolo. Per forza: perché per esercitare il controllo sui contenuti inseriti nel social dagli utenti, Facebook dovrebbe spendere soldi, e invece vuole metterseli in tasca, in spregio del più ovvio e minimo principio di etica informativa.
Da una parte, dunque, il massimo della sfrontatezza anti-civica. Dall’altra, la codina adesione al diktat anti-Huawei. Due facce della stessa medaglia, comportamenti perennemente sul crinale dell’illecito, sfrontatamente sostenuti con l’arroganza di un potere che il denaro e il miliardo abbondante di utenti sembrano conferire al patron, Mark Zuckerberg. Ma è evidente che il vento è ormai girato, e che tanta impunita autoreferenzialità nella gestione di un potere mediatico senza precedenti ha ormai i mesi, se non le settimane, contate.