Robinson, 15 giugno 2019
Storia dei grandi falsari
Il libro di Harry Bellet, critico d’arte storico – mitico si potrebbe dire – del quotidiano Le Monde, Falsari illustri ( Skira) è un appassionato e divertente viaggio nel misterioso e affascinante mondo dei falsari d’arte. Bellet, forse, avendo ammirato estasiato la scultura Faune, che avrebbe dovuto essere di Gauguin in mostra al Museum Van Gogh di Amsterdam, ma rivelatasi una perfetta bufala creata da tale Shaun Greenhalgh, non prima di essere stata vista nel 2001 da un milione e duecentomila visitatori della mostra Van Gogh- Gauguin all’Art Institute di Chicago, uno dei più prestigiosi musei del mondo, non riesce proprio a perdonare la figura storica del falsario. Anche se nei vari capitoli del libro gli è difficile nascondere una certa fascinazione per questi personaggi del mercato dell’arte che hanno trasformato la loro passione e bravura in una attività criminale. Il libro è un po’ come quei film di un tempo sulle grandi rapine a treni e banche, dove non moriva mai nessuno e si finiva per fare il tifo per i ladri. Ma, essendo un rispettato giornalista, Bellet non vuole creare equivoci. Chi crea opere d’arte false è un farabutto. Ma non un assassino, anche se uno dei protagonisti del libro, l’inglese Eric Hebborn, capace d’ingannare con i suoi disegni dei grandi maestri della storia dell’arte storici dell’arte e grandi esperti, morto a Roma nel 1996 in circostanze mai del tutto chiarite. Lasciando da parte l’incontestabile problema legale, è impossibile per il lettore non finire irretito dalla scaltrezza a volte geniale di questi personaggi di cui Bellet descrive la vita e il profilo con succulenta dovizia di particolari. A volte viene da sorridere nel leggere di come pomposi e acclamati direttori di musei e storici dell’arte, pur di pompare il proprio ego, si siano fatti infinocchiare riempendo musei e collezioni private di clamorosi falsi, alcuni dei quali molto probabilmente sono ancora appesi sulle pareti di qualche museo e continuano ad essere ammirati da chissà quante ignare persone. Non dobbiamo preoccuparci comunque che a uno dei nostri figli, leggendo il libro, venga in mente di poter fare soldi facili alle spalle del mondo dell’arte. Infatti, il mestiere del falsario non è né facile né semplice. Richiede grandissima devozione, molto studio e chiaramente un talento tecnico e scientifico, oltre a una vera passione per l’arte. Qualità mal riposte ma sempre qualità. Insomma, l’opera d’arte falsa non è una di quelle davanti alle quali si può esclamare «Lo potevo fare anch’io!». Per realizzare un buon falso si devono possedere capacità eccezionali, compresa quella veramente eccezionale di riuscire a pensare come il vero autore dell’opera. Un po’ come fanno i grandi imitatori che dissolvono la propria identità dentro l’identità di un’altra persona. Certamente la gente descritta da Bellet non è del tutto normale, rivelando spesso problemi comportamentali classici dei comuni criminali. Alcuni di loro diventano falsari spinti da rabbia e da gelosia nei confronti dei veri artisti e da chi, secondo loro, li incensa in modo esagerato. L’opera d’arte falsa a volte è una forma di vendetta contro un mondo visto come snob ed elitario, pieno di mille falsità di altra natura. Anche se, come nel caso delle famose teste di Modigliani fatte ritrovare a Livorno, a volte può prendere la forma di una divertentissima burla ai danni di chi, critici e storici, rifiuta anche davanti all’evidenza di ammettere di avere preso un granchio. Che possedere poi un certo talento scientifico per diventare maestri falsari sia necessario è dimostrato da John Drewe. Questi non creava opere false, ma trasformava la storia dell’arte, modificando le documentazioni di archivi e biblioteche in modo che le opere create dal suo sodale John Myatt avessero, una volta messe sul mercato, le carte, diciamo, in regola. Nel libro viene fuori molto bene la fragilità di un mondo dell’arte fondato spesso su insicurezze, presunzioni, desideri esagerati e un bisogno incurabile di dimostrarsi sempre più furbi degli altri, ignorando quella categoria di persone – i falsari, appunto – che vanno a nozze proprio con questa fragilità e che, pur essendo chiaramente più furbi degli altri, non hanno bisogno e non possono cantarlo ai quattro venti. Quelli che provano a farlo, nel libro ci sono vari esempi, finiscono in gabbia. Il capitolo finale, “Piccolo manuale del falsario”, offre dieci regole da seguire se si decidesse di voler intraprendere questa pericolosa “carriera”. Una regola extra di cui Bellet parla in un capitolo precedente è quella di non voler mai dimostrare di avere un proprio talento artistico: si rischia di lasciare una stessa traccia troppo riconoscibile in opere di artisti diversi e quindi un indizio che potrebbe risultare fatale. Infine, gli illustri falsari di Harry Bellet ci obbligano ad una bella domanda. Cosa si cerca in un’opera d’arte? Un trofeo per il collezionista? La prova della propria sapienza per lo storico d’arte? L’affare del secolo per il mercante? Sicuramente tutto questo, ma forse anche il desiderio di abbandonarsi ad una magnifica finzione, vera o falsa che sia, come facciamo al cinema. Come non perdonare allora, non legalmente ma poeticamente, chi, in un mondo pieno di criminali ben peggiori, inventa, anche se a scopo di lucro, qualche sogno inesistente per chi in fondo vuol sognare a tutti i costi.