14 giugno 2019
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Biografia di Lakshmi Mittal
Lakshmi Mittal, nato a Sadulpur (Rajasthan, India) il 15 giugno 1950 (69 anni). Imprenditore. Fondatore, presidente e amministratore delegato di ArcelorMittal. Secondo l’ultima classifica della rivista Forbes (aggiornata al 4 marzo 2019), detentore di un patrimonio netto di 13,6 miliardi di dollari, che ne fa la quarta persona più ricca d’India e la novantunesima più ricca del mondo. «Svegliatevi, non siamo più il Paese degli incantatori di serpenti. La generazione dei Mittal ha fatto un salto: loro incantano l’economia globale» (The Times of India) • «I Mittal erano una famiglia di modesti mercanti della cittadina di Sadulpur, nella zona più povera del Rajasthan, tra le dune del deserto. Ancora due generazioni fa, quando Lakshmi era appena nato, vivevano in venti nella casa dei nonni, […] in un villaggio sperduto nel deserto del Rajasthan, dove fino a un’epoca recente non arrivava neppure l’elettricità, […] dormendo su giacigli di corda e cucinando sul forno di mattoni in cortile. Ma appartengono alla casta dei Marwari, famosa per il suo talento commerciale. Per sfuggire alla miseria, il padre Mohan si spostò a Calcutta, dove nel 1952 divenne socio di una piccola acciaieria. Mandò a studiare Lakshmi (che porta il nome della dea indù della ricchezza) all’università cattolica di élite San Francesco Saverio. Appena finiti gli studi, Lakshmi entrò nell’azienda del padre, e da allora la passione dell’acciaio non lo ha più mollato» (Federico Rampini). Mittal diede per la prima volta prova delle proprie capacità nella seconda metà degli anni Settanta, quando, inviato dal padre in Indonesia a dirigere una piccola acciaieria, la trasformò in un’impresa importante, acquisendo varie società concorrenti. Emancipatosi dalla famiglia, si dedicò quindi alla costruzione del proprio impero, attraverso una lunga serie di acquisizioni internazionali, iniziata «nel 1989 con l’acquisizione della Iron and Steel Company di Trinidad e Tobago, proseguita negli anni ’90 con la messicana Sibalsa e la canadese Sidbec-Dosco, e poi ancora con operazioni minori in Irlanda, Germania, Kazakistan, Algeria, Europa orientale» (Eugenio Occorsio). «Lo scenario che fa da sfondo alla brillante carriera di Mittal è infatti il processo di globalizzazione capitalistica, che trova un fondamentale momento di slancio nella destrutturazione – e conseguente apertura al mercato – delle economie pianificate dell’Urss e dell’Est Europa. […] Mentre i colossi siderurgici europei sono reduci da un decennio di crisi che li ha scossi dalle fondamenta – e vanno riorganizzandosi specialmente attraverso fusioni, acquisizioni e privatizzazioni che restano circoscritte all’area Cee –, Mittal ha risorse fresche da riversare sui mercati dell’Est. Nel 1995 acquisisce così dal governo del Kazakistan la Karmet Steel, a sua volta proprietaria di uno dei più grandi stabilimenti siderurgici dell’ex Urss: quello di Temirtau. Il rischio è grosso, ma il gioco vale la candela: comprimendo i costi ed esasperando i ritmi produttivi, la gestione Mittal riesce a realizzare prodotti di qualità medio-bassa a prezzi molto concorrenziali: una combinazione perfetta per le esigenze dei consumatori dei Paesi emergenti, la cui domanda di beni siderurgici nel corso del decennio successivo è destinata a crescere a ritmi rapidissimi. In quello stesso frangente Mittal acquisisce imprese anche in Germania dell’Est, Polonia, Repubblica Ceca e Romania, consolidando la sua presenza sui mercati dell’ex blocco sovietico. Il capitolo sull’acquisizione della Karmet Steel rivela i tre aspetti fondamentali del “modello Mittal”: una gestione delle attività votata alla massimizzazione del profitto nel breve periodo, che garantisce significativi dividendi agli azionisti; solidi rapporti con la comunità finanziaria, che inevitabilmente trova nelle imprese di Mittal straordinarie opportunità di investimento in virtù della loro remuneratività; legami disinvolti con la politica (in Kazakistan il presidente Nazarbaev lo accoglie con onori degni di un capo di Stato), che consentono al magnate indiano di concludere buoni affari in un mercato dove il rapporto fra imprese e governi è strettissimo, dato il ruolo strategico del settore siderurgico nel quadro di ogni economia nazionale. […] All’inizio del nuovo millennio Mittal si lancia in nuove spericolate acquisizioni, puntando al mercato statunitense» (Salvatore Romeo). «Il passo decisivo è del 2004: dalla fusione della Lnm e dell’olandese Ispat (entrambe già controllate da Mittal) e dalla successiva acquisizione dell’americana International Steel è nata […] la Mittal Steel, numero uno al mondo» (Occorsio). Per espandersi ulteriormente negli Stati Uniti «ha però bisogno del sostegno di Wall Street, i cui operatori controllano le principali società siderurgiche Usa. In particolare, il fondo di investimento che fa capo al finanziere Wilbur Ross, specializzato nell’acquisizione e nel risanamento di grandi imprese, in quel momento detiene quel che resta di gloriosi marchi ormai decaduti, come la Bethlehem Steel e la Us Steel. Nel 2005 Mittal riesce ad accordarsi con Ross, e ne rileva le attività in ambito siderurgico; il principio sul quale i due convergono è esplicitato dallo stesso finanziere americano: “l’obbiettivo dell’impresa è creare valore per gli azionisti”. […] Nel rapporto col mercato, l’obiettivo di massimizzazione dei profitti porta Mittal a costruire una posizione di dominio, quasi da monopolista. Completa, a monte, l’integrazione verticale del gruppo, acquistando miniere in diverse parti del mondo – e finendo così per inglobare l’intera filiera produttiva: dal minerale al prodotto finito –; al contempo, cerca di estendere ulteriormente l’integrazione orizzontale, lanciandosi nell’acquisizione dei principali concorrenti. Sotto questo profilo, l’operazione più importante – di portata epocale per l’intero settore – è la scalata ad Arcelor, il colosso europeo dell’acciaio costituito nel 2002 dalla fusione fra la lussemburghese Arbed, la spagnola Aceralia e la francese Usinor. Arcelor è il concorrente numero uno di Mittal sullo scacchiere globale: nel 2005 i due gruppi si contendono l’acquisizione dell’ucraina Kryvorizhstal (alla fine a spuntarla è la società indiana), ma ben presto lo scontro diventa frontale. Mittal propone ai dirigenti di Arcelor un’intesa, ma questi rifiutano (per “differenze culturali”, sottolinea l’allora amministratore delegato di Arcelor, Guy Dollé). Il magnate indiano allora avvia la sua strategia di acquisizione aggressiva della grande impresa europea» (Romeo). «Lo stupore è generale quando, il 27 gennaio 2006, Mittal lancia un’Opa sul numero uno dell’acciaio europeo, Arcelor – che ha altiforni in Francia, Spagna, Belgio e Lussemburgo –, offrendo per le sue azioni il 27 per cento in più di quel che valgono in quel momento in Borsa. Allo sconcerto si aggiungono presto altri sentimenti: paura, sospetto, protezionismo, xenofobia. Contro di lui si scatenano un po’ tutti. Governi, sindacati, mass media. L’accusa principale, da francesi belgi e lussemburghesi, spesso si riduce a questo: Mittal è un indiano. Glielo dicono con vari giri di frasi, chi più chi meno diplomatico. Il razzismo è trasparente, tradisce il provincialismo e l’inadeguatezza culturale dei vertici del capitalismo europeo: nella loro maggioranza non avevano visto emergere la nuova superpotenza indiana, lo shock è violento e provoca reazioni inconsulte. Per l’amministratore delegato di Arcelor, Guy Dollé, il gruppo Mittal “è un’impresa di indiani, di qualità mediocre, che vuole pagarci con moneta fasulla; nell’acciaio noi facciamo profumi, loro fabbricano vile acqua di Colonia”. Tradotte alla lettera, le parole di Dollé suonano ancora più offensive: per dire moneta fasulla usa l’espressione francese “moneta da scimmie”. Il ministro dell’Economia francese, Thierry Breton, insinua che “la loro cultura manageriale è incompatibile con la nostra”. L’ex presidente della Repubblica, Valéry Giscard d’Estaing, accusa lo scalatore di applicare la “legge della giungla”, e qualcuno ci vede un’allusione a Kipling. Il principale giornale di Bruxelles, Le Soir, pubblica un titolo a nove colonne da film western, Gli indiani attaccano, e con una scelta dal gusto discutibile lo illustra con una foto di avvenenti ballerine che fanno la danza del ventre in un musical di Bollywood. Il primo ministro lussemburghese, Jean-Claude Juncker, minaccia di dare battaglia, forte del fatto che il suo Granducato ha una quota del 5,6 per cento nel capitale di Arcelor. Ma il 40 per cento di quel capitale è fuori dall’Europa: sono i fondi d’investimento americani i più grossi azionisti del gruppo Arcelor. […] Sull’India, i fondi d’investimento americani sembrano avere informazioni un po’ più accurate e aggiornate, visto il notevole flusso di capitali che hanno puntato sulla Borsa di Bombay nel 2004 e 2005. I sindacati operai – soprattutto in Francia, dove Arcelor ha 30.000 dipendenti – sono in allarme per “l’indiano”, a cui attribuiscono progetti malefici: ristrutturazioni, chiusure, licenziamenti. […] Il progetto di Lakshmi è chiaro. Unire il suo gruppo, che è già il leader mondiale, con il principale concorrente; acquistare così un potere contrattuale più forte sui mercati, in una fase in cui il boom delle economie asiatiche ha rilanciato alla grande il business dell’acciaio» (Rampini). Alla fine, nel giugno 2006, «la vecchia Europa si arrende di fronte alla nuova India. Dopo una dura battaglia politica e finanziaria di cinque mesi, l’acciaio europeo finisce sotto il controllo del più grande gruppo siderurgico mondiale di proprietà di Lakshmi Mittal, originario del Rajasthan. […] Mittal […] ha azzeccato tutte le mosse. Dopo aver domiciliato la sede giuridica del suo gruppo in Olanda, si è preso le migliori merchant bank occidentali come consulenti, ha lanciato una campagna di comunicazione e relazioni pubbliche con le forze politiche e i mass media, ha superato a pieni voti l’esame dell’antitrust di Bruxelles. […] Gli azionisti si sono rapidamente convinti che la sua era una proposta industriale valida, ispirata a una cultura di mercato. Mittal ha dimostrato di conoscere molto meglio le nuove logiche che dominano i mercati finanziari. […] Dollé e i manager di Arcelor “parlano di valori europei, ma pensano a salvare le proprie poltrone”, ha commentato The Economist. Alla fine perfino il governo francese, che era stato il più fiero oppositore dell’indiano, ha rinunciato a resistere. È toccato a un uomo venuto dal Rajasthan dare lezioni di modernità a tre governi e a una delle più grandi aziende europee. Alla fine il consiglio d’amministrazione di Arcelor ha dovuto battere in ritirata: riunito d’urgenza, […] ha accettato l’ultima offerta di Mittal, che a questo punto diventa ufficialmente un’Opa “amichevole”. Il nuovo gigante nato da questa acquisizione controlla il 10% del mercato mondiale dell’acciaio, ha 70 miliardi di dollari di fatturato e 320.000 dipendenti» (Rampini). «Così, nell’estate del 2006, il gruppo indiano “conquista” Arcelor e dà vita a una nuova compagine: ArcelorMittal. L’ingresso dell’ex commerciante di rottame di Calcutta nell’empireo del capitalismo globale è sancito dal Financial Times, che lo celebra come “uomo dell’anno”. La “luna di miele” fra il capitano d’industria indiano e l’Europa, però, dura poco. Con la crisi economica globale – e, in particolare, con il palesarsi di una grave situazione di sovracapacità nel mercato siderurgico mondiale, e soprattutto in quello europeo – il “modello Mittal” viene sottoposto a profonde scosse. Il crollo della produzione e del fatturato, infatti, mettono a rischio i rendimenti, e quindi la fiducia degli investitori. Il vertice del gruppo risponde così in maniera drastica, tagliando gli stabilimenti ritenuti marginali. Grandrange e Florange in Francia, Liegi e Charleroi in Belgio sono solo alcune delle “vittime” di questa politica, che inevitabilmente scatena la protesta operaia. Di conseguenza, i rapporti fra Mittal e i governi europei si incrinano sensibilmente. Tuttavia la pressione della politica non riesce a far tornare il gigante sui suoi passi. “La Francia per Mittal è come il Messico o la Spagna o il Kazakistan o il Brasile”, rileva Rémi Boyer, ex dirigente del gruppo: un Paese come tanti che si trova a fronteggiare la potenza di una multinazionale con diramazioni in tutto il mondo. Potrebbe essere l’Unione europea a compensare questa sproporzione di forze, ma evidentemente la realtà è più complessa: come nota l’ex sindacalista francese (oggi europarlamentare socialista) Édouard Martin, “loro [i Mittal] sono un’unica famiglia per tutto il mondo; in Europa invece siamo 27 Paesi, ognuno coi suoi interessi”. E così il Piano d’azione varato dalla Commissione nel giugno 2013 per rilanciare la siderurgia europea si rivela a tutti gli effetti un’arma spuntata. Ma c’è anche un altro elemento a complicare la situazione, rendendo il mercato siderurgico europeo fra i più tesi del mondo: per dirla col deputato verde Lamberts, “tutti proteggono la propria siderurgia: la Cina, e persino gli Stati Uniti. Solo l’Europa si rifiuta di farlo”» (Romeo). Dodici anni dopo Arcelor, a cadere preda di Mittal fu l’italiana Ilva, acquisita il 1° novembre 2018 dopo oltre un anno e mezzo di contrattazioni e controversie a livello nazionale e comunitario, e rinominata quindi ArcelorMittal Italia. «Ilva è stata acquisita da Am Investco Italy, di cui Arcelor Mittal detiene una quota del 94,4%, mentre il 5,6% è in mano a Intesa Sanpaolo. A seguito del completamento della transazione, […] ArcelorMittal ha ora assunto la gestione completa di Ilva. […] “Vantiamo una lunga storia di rilancio di asset poco efficienti. Sono fiducioso nel fatto che riusciremo a ripristinare le prestazioni operative, finanziarie e ambientali di Ilva e che, nel farlo, creeremo valore per la nostra società, gli stakeholder di Ilva e l’economia italiana”, ha commentato il miliardario indiano Lakshmi Mittal, presidente e ceo del gruppo. […] ArcelorMittal […] si è aggiudicata la società italiana con un’offerta di acquisto di 1,8 miliardi e 2,4 miliardi di investimenti (circa 2,1 miliardi al netto del contributo del gruppo Riva) su un periodo di sette anni, di cui 1,3 miliardi per il piano industriale e 1,1 di investimenti ambientali» (Fabrizio Massaro). Tuttavia, già nel giugno 2019 il gruppo ha annunciato quattro mesi di cassa integrazione guadagni per 1.395 operai dello stabilimento di Taranto, suscitando grandi polemiche • «Nel Regno Unito, Mittal è considerato un personaggio molto influente anche grazie ai suoi rapporti con il Partito laburista. Relazioni che in qualche occasione hanno pure fatto scandalo. Come quando, nel 2001, l’ex premier britannico Tony Blair scrisse personalmente all’allora primo ministro rumeno, Adrian Nastase, per caldeggiare la vendita a Mittal delle acciaierie di stato Sidex. L’affare, del valore complessivo di 450 milioni di euro, andò a buon fine nel giro di un paio di giorni dall’arrivo della lettera. L’anno successivo la storia uscì allo scoperto, creando non poche polemiche, soprattutto perché risultava che il magnate indiano avesse, solo qualche mese prima dell’affare Sidex, staccato un generoso assegno da 200 mila euro al Partito laburista» (Mariangela Tessa). Non meno buoni, d’altronde, i rapporti con il Partito conservatore. «2009. Convegno di Davos tra i grandi della Terra. Il sindaco di Londra Boris Johnson va alla toilette. Mentre è in piedi all’orinatoio, gli si affianca Lakshmi Mittal. “Finanzieresti un’opera d’arte per i Giochi?”, chiede il sindaco. “Perché no?”, replica il magnate. Accordo siglato seduta stante, senza nemmeno una stretta di mano (date le circostanze). Risultato: l’ArcelorMittal Orbit, 115 metri d’altezza, spirali d’acciaio rosso, disegnata dallo scultore Anish Kapoor, osservatorio panoramico in cima» (Enrico Franceschini) • Sposato, due figli: un maschio, Aditya (1976), direttore finanziario di ArcelorMittal e amministratore delegato della divisione europea del gruppo (ArcelorMittal Europe), e una femmina, Vanisha (1980), per le cui nozze col banchiere indo-britannico Amit Bhatia, nel 2004, il padre «ha speso 50 milioni di dollari, intrattenendo in Francia per cinque giorni mille ospiti. Prima ha affittato i giardini delle Tuileries di Parigi e il Palazzo di Versailles, poi ha fatto cantare la pop-star australiana Kylie Minogue nel settecentesco Château de Vaux-le-Vicomte, dove gli chef venuti da Calcutta servivano le portate in porcellane fatte su misura con le iniziali degli sposi» (Rampini) • Grande amante del lusso, nel 2005 Mittal ha acquistato per 128 milioni di dollari da Bernie Ecclestone una villa sita nell’esclusivo quartiere londinese di Kensington, e «ha voluto che fosse decorata con marmi estratti dalla stessa cava che era stata usata nel XVII secolo dall’imperatore moghul Jahan per far elevare in favore dell’amata moglie Mumtaz, morta di parto, il favoloso mausoleo del Taj Mahal. E per questo l’hanno ribattezzata “Taj Mittal”. E dire che lui, da piccolo, dormiva per terra» (Maurizio Stefanini) • Detentore di una quota di minoranza della squadra calcistica inglese dei Queens Park Rangers • Vegetariano • «Mittal ha acquisito in tempi record una mentalità globale. La sede sociale della sua azienda l’ha stabilita in Olanda per motivi fiscali. Ha ottenuto un passaporto inglese. Anche se conserva la predilezione indiana per il capitalismo familiare, […] Lakshmi Mittal non è un vero outsider. L’establishment del capitalismo europeo, lo frequenta da anni nella sua favolosa dimora londinese. […] In Borsa si è mosso con aiuti potenti» (Rampini) • «Mittal vuole compiere nel suo mestiere quell’exploit che a Henry Ford riuscì un secolo prima con l’automobile: fare del proprio cognome il sinonimo mondiale dell’acciaio. Non è un’ambizione del tutto irrealistica, proprio perché viene da un industriale che è indiano e in più ha solidi agganci dentro il mercato cinese. Per capire perché un’industria che sembrava in declino come la siderurgia è tornata in auge basta pensare alle decine di New Town, le nuove città satellite, che il governo cinese programma di costruire nei prossimi anni, e fare un calcolo di quanti tondini di ferro saranno consumati per quelle colate di cemento armato, quante lamiere per le automobili che decine di milioni di cinesi della middle class vogliono comprarsi. Poi bisogna aggiungere al fenomeno cinese la rincorsa dell’India e quel che significherà anch’essa in termini di industrializzazione, urbanizzazione, motorizzazione: altri tondini e lamiere» (Rampini).