il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2019
A proposito di neomelodici
A parte le famiglie Falcone e Borsellino e le altre vittime di mafia, che hanno il sacrosanto diritto di protestare, invitiamo alla calma i politici indignati speciali che stanno linciando Enrico Lucci per aver ospitato due cantanti neomelodici e aver fatto uscire la loro cultura mafiosa al naturale. Nella prima puntata del suo talk Realiti su Rai2, Lucci ha intervistato in diretta Leonardo Zappalà, detto “Scarface”, e Niko Pandetta, in arte “Tritolo”. Il primo, a proposito di Falcone e Borsellino, ha detto che se la sono cercata: “Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce, ci deve piacere anche l’amaro”. L’altro, reduce da 10 anni di galera, ha spiegato che le sue canzoni sono dedicate allo zio ergastolano al 41-bis perché ritenuto il boss del clan Cappello a Catania, ha insultato i pentiti e poi ha minacciato un consigliere verde campano critico con lui. Lucci li ha esortati “a studiare la storia” e ora, sopraffatto dalle polemiche, ammette di aver gestito male la diretta: “Non cerco scuse, il risultato è stato pessimo e ci siamo messi tutti in discussione per rettificare, pulire e ritrovare il focus del racconto, che è la gara tra i protagonisti dell’attualità social”.
La Rai ha definito “indegne” le parole dei due e annunciato un’indagine interna. Ma per il presidente della commissione di Vigilanza Alberto Barachini, ex dipendente Mediaset e deputato di FI, la condanna “non è sufficiente: la grave offesa arrecata alla memoria di due esempi luminosi della lotta alla mafia si configura come un evidente omesso controllo da parte della governance del servizio pubblico, a cui chiedo formalmente un controllo più rigoroso dei contenuti e degli ospiti delle trasmissioni”. La miccia innesca il solito falò delle vanità e delle ipocrisie: viva Falcone e Borsellino, abbasso i neomelodici. E, se la questione fosse così semplice, ci uniremmo volentieri al coro degli indignados. Ma è un po’ più complessa. Il programma si occupa dei fenomeni più popolari sui social e purtroppo i neomelodici, perlopiù campani, sono popolarissimi non solo sul web, ma anche nelle piazze del Sud, in particolare della Sicilia. Vengono ingaggiati a peso d’oro ai matrimoni dei clan e alle feste di quartiere, dove dedicano ai boss e ai picciotti detenuti le loro canzoni intrise di cultura mafiosa. Forse che il servizio pubblico deve ignorare questo fenomeno inquietante, ma purtroppo diffusissimo? Grandi registi del Sud gli hanno dedicato film stupendi, grotteschi, neorealisti e per nulla moralistici: Reality di Garrone, Song’e Napule dei Manetti Bros, Belluscone di Maresco.
Chissà quanti fan dei neomelodici li hanno visti e, proprio perché non contenevano prediche ma solo fotografie della realtà, hanno capito qualcosa. Perché mai la Rai non dovrebbe mostrare anche quegli angoli bui di società, che molti fingono di non vedere e molti ignorano del tutto, salvo poi meravigliarsi se le elezioni danno risultati inaspettati? Piaccia o non piaccia, esiste un’Italia che preferisce i mafiosi ai giudici antimafia, detesta i pentiti che “fanno la spia”, scambia l’omertà per coerenza e le menzogne per dignità. Che deve fare il servizio pubblico: nascondere le telecamere sotto la sabbia, o affondarle nella merda che ci circonda per sbatterla in faccia ai benpensanti e ai malpensanti? Se le polemiche su Realiti servissero a gestire meglio situazioni complicate come quella sfuggita di mano a Lucci, sarebbero benvenute. Ma qui ciò che si vuole a reti unificate è altro: la facciata edificante e pulitina delle istituzioni che ogni 23 maggio e 19 luglio corrono a Palermo con la lacrima retrattile a deporre corone di fiori a Capaci e in via D’Amelio, salvo poi trescare con le mafie per tutto il resto dell’anno. Il solito derby ipocrita e oleografico tra Stato e Antistato, giudici buoni (quelli morti) e mafiosi cattivi. Un quadretto che non regge più, con tutto quel che si scopre sulle complicità fra due mondi che si vorrebbero separati e invece sono sempre più sovrapponibili.
In fondo, i due neomelodici han detto quel che disse il sette volte presidente del Consiglio Andreotti di Ambrosoli, ucciso da un killer mafioso mandato da Sindona: “Se l’andava cercando”. Quel che disse il tre volte presidente del Consiglio Silvio B. sull’“eroe Mangano” che non aveva mai parlato di lui e di Dell’Utri. Quel che pensano molti dei parlamentari FI&Pd che due mesi fa han votato contro il reato di voto di scambio politico-mafioso. E molto meno di quel che disse il governatore Pd della Campania, Vincenzo De Luca, sulla necessità di “ammazzare” politici antimafia “infami” come Rosy Bindi, Di Maio, Fico e Di Battista. Sono più gravi le parole dei due neomelodici o la candidatura col Pd a Capaccio-Paestum di Franco Alfieri, re del clientelismo e delle fritture di pesce, indagato per voto di scambio con la camorra, eletto e festeggiato domenica notte da un corteo di cinque ambulanze a sirene spiegate di proprietà di un imprenditore del clan camorristico dei Marandino, condannato in via definitiva per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso? Giovedì Rai2 trasmetterà La Trattativa, il film proibito di Sabina Guzzanti sui politici e i carabinieri che trattarono con Cosa Nostra, moltiplicando le stragi, rafforzando la mafia e genuflettendo lo Stato ai piedi dei corleonesi. Fra costoro c’era Dell’Utri, tuttora detenuto per mafia, che – dice la sentenza di primo grado – anticipava le leggi pro mafia del governo B. al boss Mangano, mentre B. continuava a finanziare Cosa Nostra anche da premier. Il presidente della Vigilanza sdegnato per due neomelodici viene dal gruppo B. Mai saputo nulla dei suoi padroni veteromelodici? Mamma non gli ha ancora detto niente?