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 2019  giugno 14 Venerdì calendario

I Buscetta allo scoperto: «Dopo 30 anni di silenzi, ecco il nostro Padrino»

Tommaso Buscetta, mafioso e collaboratore di giustizia, è nato a Palermo.

Al cinema il volto glielo ha dato Pierfrancesco Favino. Quel volto che finì nel mirino di Cosa nostra riuscendo a salvarsi dalla vendetta dei padrini. Così non fu per undici parenti di Tommaso Buscetta, tra i quali due figli, assassinati dalla mafia negli anni Ottanta.
È per questo che i familiari del «Boss dei due mondi», che con il suo pentimento aprì la strada che portò allo storico maxi processo, il loro volto hanno dovuto tenerlo segreto per decenni, vivendo al riparo da occhi indiscreti e sotto falsa identità. Ma adesso, dopo lunghi anni passati a nascondersi dai sicari, il figlio del collaboratore di giustizia Roberto e la madre Cristina hanno accettato di apparire in un documentario.
Mentre in Italia «Il traditore» di Marco Bellocchio conquista il pubblico dopo i lunghi applausi di Cannes, raccontando la vicenda del più famoso pentito di mafia, in America due cineasti, Max Franchetti e Andrew Meier, hanno realizzato un nuovo documentario su Buscetta.
Si intitola «Our Godfather: The Man the Mafia Could Not Kill» («Il nostro Padrino: l’uomo che la mafia non poté uccidere»), è in onda in streaming su YouTube dallo scorso fine settimana e dal prossimo settembre sarà disponibile sulla piattaforma Netflix.
Roberto Buscetta e la madre Cristina sono stati rintracciati dai due registi in Florida. Trovare i Buscetta sembrava una vera e propria mission impossible: Franchetti e Meier ci hanno messo due anni. Ma alla fine ce l’hanno fatta. Cristina, la terza moglie brasiliana del pentito e i suoi familiari più stretti avevano vissuto sotto falso nome e in varie località per oltre trent’anni dopo l’ingresso del boss nel «Witness Protection Program».
I due registi, dopo vari tentativi, hanno ottenuto una risposta scrivendo a un vecchio indirizzo email. È stata Cristina a rispondere, incuriosita, dopo tre settimane di silenzio. Quella Cristina che a metà anni Novanta accompagnò il marito in una crociera nel Mediterraneo: un giornalista lo riconobbe, scoppiò un putiferio sulla stampa.
I familiari di Buscetta, morto nel 2000 di cancro a 71 anni (e sepolto sotto falso nome a Miami), erano riluttanti dal principio: «Uccidere il figlio di Tommaso Buscetta sarebbe il trofeo perfetto», ha spiegato Roberto. I racconti di suo padre a Giovanni Falcone e poi ad altri inquirenti hanno portato alla condanna di centinaia di mafiosi, tra Sicilia e Stati Uniti.
Nel documentario, la moglie del pentito racconta quanto dura sia stata la scelta di don Masino di rompere il codice dell’omertà di Cosa nostra, definendo quel passaggio «la decisione più sofferta della sua vita». L’incontro tra Cristina e Roberto e i due cineasti è avvenuto nel maggio 2015 in Florida, alla presenza dell’agente della Dea Anthony Petrucci che per anni era stato uno degli angeli custodi della famiglia. Alla fine Cristina ha accettato di farsi riprendere, mentre Roberto, che sotto falso nome ha fatto il militare in Iraq e Afghanistan, ha chiesto che non venissero rivelati i suoi alias e che il suo volto fosse ripreso in ombra: «C’è sempre un rischio, la mafia non perdona».
E dopo una vita di prudenza non è facile lasciarsi andare: Lisa, sorellastra di Roberto che appare nel documentario, ha detto di aver pronunciato il cognome Buscetta in questa occasione per la prima volta nella vita.