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 2019  giugno 14 Venerdì calendario

La grande diseguaglianza nella Sanità

Il diritto alla salute è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione. Il nostro Servizio sanitario nazionale nacque nel 1978 proprio con l’obiettivo di garantire la salute come diritto fondamentale dell’individuo e della intera popolazione, superando qualunque tipo di diseguaglianza sia essa sociale o territoriale. Non a caso il nostro Ssn si basava sull’universalismo come presupposto per garantire l’uniformità delle condizioni di salute. E allora c’è da interrogarsi su ciò che sta succedendo nel nostro Paese da un punto di vista della spesa sanitaria. 
La spesa sanitaria pubblica era cresciuta del 6% l’anno in media dal 2000 al 2008, una crescita che superava quella del Pil che si assestava sul 3,5%. Ma a partire dal 2009 la dinamica è cambiata e assistiamo ad una sostanziale stabilità della spesa pubblica. Parallelamente è aumentata la spesa sanitaria delle famiglie del 2,5% l’anno in media. Dobbiamo essere preoccupati di questa tendenza in atto per vari motivi. Primo, la stabilità della spesa pubblica avviene in un contesto di progressivo invecchiamento della popolazione e quindi di una crescita di bisogni sanitari da soddisfare. L’aumento della speranza di vita implica anche la presenza di un crescente numero di ultraottantenni con maggiore probabilità di non autosufficienza e necessità di assistenza adeguata. Per tali persone, l’ Italia investe solo l’1,7% del Pil, contro il 2% dei Paesi Ue-28, con punte del 4,7% in Norvegia, 3,2% in Svezia e 2,3% in Germania e Svizzera
Secondo, la stabilità della spesa pubblica sta avvenendo a fronte di una crescita della spesa indispensabile per l’innovazione tecnologica.
Terzo, la stabilità della spesa sanitaria pubblica sta avvenendo anche considerando una forte diminuzione del personale sanitario che non può che accentuare la difficoltà di garantire l’accessibilità a servizi pubblici sanitari adeguati, con aumento di liste d’attesa, e altri problemi che inducono i cittadini a rivolgersi al privato, accentuando i problemi di accessibilità e il carico economico sulle famiglie povere e del ceto medio già assai provate dalla crisi. 
Quarto, questa dinamica sta penalizzando le fasce più povere della popolazione che sono quelle che hanno meno possibilità di permettersi di spendere per la salute e quindi saranno maggiormente costrette a rinunciare. 
Quinto con tale tendenza saremmo impossibilitati ad investire nuove risorse per offrire cure più efficaci con l’introduzione nei Lea (livelli essenziali di assistenza) delle prestazioni che tengano conto dell’innovazione tecnologica maturata nel corso degli ultimi anni (come i farmaci per l’epatite C o i farmaci biologici). 
Sono preoccupazioni serie e fondate. Il nostro è un Paese che presenta diseguaglianze nella salute, meno di altri insieme alla Svezia, segno che il nostro modello ispirato dalla Costituzione ci ha salvaguardato. Ma proprio per questo dobbiamo essere più vigili e sensibili ai segnali che ci vengono dai dati.
Il rischio è l’allontanamento de facto dai principi fondanti del nostro Servizio sanitario nazionale. È in gioco la sostenibilità sociale del sistema. Siamo in tempo per dotarci di una strategia adeguata per garantirne l’equità nel presente e nel futuro.