la Repubblica, 14 giugno 2019
Svizzera, sciopero femminista
Uno sciopero in Svizzera è una notizia. Se a farlo sono le donne diventa un caso. Non solo perché l’alta qualità della vita nella Confederazione potrebbe far pensare che le tensioni sociali siano azzerate ma anche perché l’ultimo, e unico, sciopero generale del Paese si svolse nel 1918. Da allora varie astensioni di settore, soprattutto nell’edilizia, e uno storico primo sciopero femminile nel 1991 che portò all’approvazione della legge sulle pari opportunità. A ventotto anni di distanza, venerdì 14 giugno, la Svizzera delle donne torna a fermarsi perché le lavoratrici guadagnano il 20% in meno dei lavoratori (34% in meno quando si parla di salario netto percepito). Ed è solo una delle tante disparità di genere. Indosseranno abiti viola, il colore della loro rivolta, esporranno alle finestre scope e grembiuli, e si asterranno dal lavoro sia salariato che non remunerato, ovvero quello domestico e assistenziale, ma anche dai consumi, dalle mail.Sulla scia dei movimenti femministi dell’America latina, del #metoo, del grande sciopero spagnolo dell’8 marzo, sindacati, associazioni, partiti e singole si sono riuniti in coordinamenti cantonali per invitare le donne, ma anche gli uomini, a interrompere il lavoro. «Ho chiesto e ottenuto che durante la seduta del Parlamento di oggi i lavori si fermino per 15 minuti», spiega Marina Carobbio, presidente del Consiglio Nazionale, la camera bassa del Parlamento svizzero, «un’azione simbolica che è una forma di sostegno all’uguaglianza di genere. Nonostante la legge sulla parità non c’è una uniformità di fatto sui salari e sulle pensioni. Grave anche la situazione della violenza sulle donne e la scarsa rappresentanza femminile nei luoghi di potere: in Parlamento non abbiamo quote rosa, le donne sono circa il 32% e in Senato il 15%. Anche per questo, in vista delle elezioni nazionali di ottobre, mi sto impegnando a incoraggiare le candidature femminili». In Svizzera, vale la pena ricordarlo, il suffragio femminile fu introdotto a livello federale solo nel 1971.Ma sono numerose le disparità anche in fatto di diritto del lavoro. «La Svizzera sembra un Paese avanzato ma per le neomamme la protezione dal licenziamento dopo il congedo è garantita solo nelle prime sedici settimane, congedo di maternità che copre solo 14 settimane dopo il parto», racconta Chiara Landi, sindacalista di Unia e coordinatrice ticinese dello sciopero. «Nel Canton Ticino la condizione delle lavoratrici è ancora più precaria: qui le tante frontaliere percepiscono stipendi più bassi delle residenti».Resta però un’incognita quale sarà la partecipazione in un Paese dove «non è costume lottare per i propri diritti», spiega Landi. Fa discutere anche l’adesione degli uomini che alcuni collettivi, i più estremi, vorrebbero in fondo ai cortei. «Escludendo una parte della società non c’è progresso ma per un giorno chiediamo che siano le donne a essere protagoniste – conclude Landi –loro possono aiutarci manifestando ma anche sostituendoci nei nostri ruoli: a casa nella cura dei figli, sul lavoro nella copertura dei tur ni per un servizio minimo».