Il Messaggero, 14 giugno 2019
La scuola boccia sempre di meno
Ormai nella scuola italiana la promozione non si nega più a nessuno, o quasi. Negli ultimi 5 anni le bocciature sono in forte calo così come i debiti formativi da saldare che, al professionale, quest’anno spariscono del tutto. Intanto però le promozioni fioccano, come mai prima d’ora. Sono diventati tutti studiosi o è cambiato l’approccio della scuola agli scrutini, disposta a chiudere un occhio di fronte alle carenze dei ragazzi? I quadri dell’anno scolastico 2018-2019 nella maggior parte dei casi devono essere ancora pubblicati. E tra i ragazzi sta crescendo l’attesa, per il timore di dover ripetere l’anno a causa di qualche insufficienza di troppo. Ma in realtà sembra che abbiano ben poco da temere: se guardiano ai dati del 2018, infatti, nelle classi dei primi quattro anni di scuola superiore vennero bocciati poco più del 7% dei ragazzi. Andando ancora più indietro nel tempo, ai dati di cinque anni fa (anno scolastico 2013-2014) si vede che i bocciati furono quasi il 10%. In poco tempo dunque si registra un 3% di non ammessi in meno.
IL PRIMO ANNO
Il picco di bocciature si registra però al primo anno di scuola superiore dove i non ammessi sono stati l’11,6% del totale. Che cosa significa? Che la vera selezione viene fatta all’inizio, mentre negli anni successivi non c’è più bisogno di bocciare. Gli studenti che, finite le medie, entrano nella scuola secondaria senza essere pronti a farlo si fermano subito. E la causa va ricercata in un orientamento poco efficace che porta oltre un ragazzo su dieci a perdere l’anno a giugno. La quota dei bocciati al primo anno peggiora ancora di più se si guarda il risultato di settembre, dopo gli esami di riparazione: non viene ammesso all’anno successivo il 13,1% dei ragazzi.
Diminuiscono i bocciati si diceva, e diminuiscono anche i debitori: sono in calo dal 2013 gli studenti che, avendo delle insufficienze agli scrutini di giugno, vengono ammessi alla classe successiva solo dopo l’esame di riparazione. Nel 2014 infatti ad avere un debito formativo era uno ragazzo su 4. Poi la quota dei rimandati è andata giù progressivamente fino allo scorso anno quando il debito interessò solo uno su 5.
Il calo dei debiti formativi, per le scuole, ha rappresentato un sollievo visto che non è semplice per un istituto superiore organizzare i corsi di recupero in tutte le materie. Hanno un costo e spesso non può essere sostenuto con il fondo a disposizione delle scuole. Così molti istituti scelgono per quali materie scolastiche organizzare le ripetizioni dando la precedenza a quelle più presenti nel monte orario dei ragazzi. Al liceo classico, ad esempio, vengono solitamente garantiti i corsi di greco e latino. Per tutti gli altri il ripasso si fa da soli o, chi può, si rivolge al docente di ripetizioni private con costi che, nel periodo estivo, possono anche raggiungere i 40 euro l’ora.
NIENTE DEBITI
Nella scuola dove quasi tutti sono promossi, non sorprende che la riforma degli istituti professionali abbia previsto, a partire dal prossimo anno, l’abolizione di fatto dei debiti e dei corsi di recupero. Le linee guida del ministero dell’istruzione prevedono infatti tre possibilità: si può essere ammessi, ammessi con revisione del percorso formativo e non ammessi. L’ultimo caso, cioè la bocciatura, si verifica solo in casi particolarmente difficili o quando lo studente non ha raggiunto il 75% di ore di presenza a scuola. Ma se un ragazzo ha delle insufficienze che non portano alla bocciatura, non avrà debiti da saldare ma andrà alla classe successiva per poi rivedere il suo piano formativo e integrare le carenze.
I CORSI DEL PRIMO ANNO
Potrebbe cioè seguire, al secondo anno, i corsi del primo anno in cui si è dimostrato più carente. «La nota del ministero è arrivata tardi, a ridosso degli scrutini – spiega Francesco Clemente docente dell’istituto professionale alberghiero di Vieste – i debiti erano diventati solo una pratica da sbrigare: servivano fondi in più per organizzare bene i corsi di recupero, ma fondi non ce ne sono. A quel punto i ragazzi d’estate preferivano lavorare».