Libero, 14 giugno 2019
Chiudono parecchie discoteche. Era ora
L’ultima piramide abitata – anzi la penultima, se fatti gli inevitabili distinguo consideriamo il Louvre – è venuta giù ieri. Costruita su ispirazione proprio del museo parigino, la discoteca Cocoricò di Riccione, negli anni Novanta e Duemila calamita marittima per gli amanti della musica techno, turbolenta mecca della musica fracassona e teatro di improvvisate performance artistiche e di reading filosofici nei parcheggi, ma soprattutto covo e rifugio di ogni cacciatore di eccessi e sballo, ha chiuso, forse per sempre. Il Tribunale di Rimini, respinta la domanda di concordato preventivo, ha dichiarato fallita la società che gestiva il locale. Tra i creditori, la prima della lista è l’Agenzia delle entrate per il mancato versamento di imposte, ma i guai grossi risalgono al 2015, quando, proprio nel momento in cui era al primo posto fra le discoteche italiane e quindicesima nel mondo, a causa della morte di un 16enne per overdose il locale fu costretto a chiudere. I ricavi subirono il crollo di un migliaio di biglietti in meno a sera, poi sembrò riprendersi. Ma in tre anni, tra il Comune che fece chiudere il locale per il mancato pagamento della Tari, la richiesta di pignoramento del dj Gabry Ponte e il sequestro preventivo della Guardia di Finanza per oltre 800mila euro, si è arrivati alla chiusura definitiva.
LOCALE STORICO
Con i sigilli tribunalizi si conclude così la vicenda di un locale storico, che ogni due mesi al cambiare delle tendenze musicali cambiava allestimento delle sue cinque sale, che fu frequentato da dj di fama mondiale e attirò perfino Federico Fellini in cerca di luoghi popolari dove girare i suoi film, che si permise di sbattere fuori i Daft Puink perché stavano facendo girare musica non abbastanza apprezzata. Il Cocoricò è l’ultima vittima di un’epidemia di disinteresse da parte del pubblico danzante che ha colpito i locali da ballo europei, il cui numero, negli ultimi dieci anni, è quasi dimezzato. In Italia, fino al 2005, il settore del divertimento notturno si basava sui locali da ballo. Dal 2008, il declino: in dieci anni gli incassi sono diminuiti di oltre il 18 per cento e il numero delle discoteche, in quindici anni, è passato da oltre 5mila a 2.800. Lo stesso andamento, ovviamente, si ritrova nel volume d’affari: dagli otto miliardi di euro l’anno del 2002 a cinque di oggi. In Europa, si diceva, l’andazzo non è migliore: secondo un’inchiesta del settimanale The Economist del 2016, in Olanda, per esempio, dal 2001 al 2011 ha chiuso il 38 per cento delle discoteche. In Gran Bretagna nel 2005 c’erano 3144 discoteche, dieci anni dopo 1733. La colpa non è tutta delle nuove abitudini dei Millennial: secondo una ricerca Fipe-Istat del 2017, rispetto al 2008, i giovani dai 20 a i 24 anni che vanno a ballare almeno una volta all’anno sono diminuiti di 342mila unità, quelli dai 25 ai 34 anni di 939mila. Una parte importante la mette l’abusivismo: l’economia della notte, infatti, fattura 70 milioni di euro l’anno e dà lavoro a 1,5 milioni di persone, ma il 90 per cento delle attività non ha l’autorizzazione per essere “locale da ballo”. Quindi, per esempio, le nottate danzanti negli stabilimenti balneari, nelle ville private, sono abusive; e “rubano” circa due miliardi l’anno alle discoteche “ufficiali”, già gravate dal 48 per cento di tasse. «Ormai si balla dappertutto», lamentava Maurizio Pesca, presidente dell’Associazione italiana locali da ballo. «Ristoranti, bar, posti in cui si fa l’aperitivo. Alcuni si travestono addirittura da circoli culturali».
OLTRE L’ABUSIVISMO
Il secondo problema sono le tasse: «Il 22% del prezzo del biglietto d’ingresso è l’Iva», spiega Luciano Zanchi, presidente di Assointrattenimento, «il 16 riguarda l’imposta di intrattenimento, il 5 va alla Siae, il 2 è l’Scf (l’istituzione che tutela i diritti relativi alla registrazione discografica, ndr)». Poi ci sono i contributi per i dipendenti, gli stipendi, i costi di gestione, il cibo e le bevande. «E gli utili che restano sono tassati del 57%». Terzo: la violenza e la droga. Se una volta la discoteca era a misura di coppia, nel tempo è diventata “da branco”: le risse si scatenano facilmente e gli addetti alla sicurezza non sembrano mai abbastanza. A Grosseto, il questore ha emesso un provvedimento di sospensione di cinque giorni per tre discoteche di Follonica, a causa di ripetuti episodi di violenza. Ad aprile, anche a Roma, dopo risse e accoltellamenti, sono state chiuse tre discoteche. A Firenze, per motivi di ordine pubblico, due discoteche, Dolce Zucchero e Manduca, sono state sprangate del tutto, dopo le sentenze di Tar e Consiglio di Stato. Erano state, per anni, teatro di pestaggi, aggressioni, fino a un caso di stupro ai danni di una 17enne. Infine non mancano gli errori dei proprietari: a Trento, il Diamond è stato chiuso per irregolarità: porte di emergenza sbarrate, estintori non in regola, bottiglie di Jack Daniel’s che contenevano alcolici di origine indefinita. L’unico buttafuori in servizio portava alla cintura una pistola taser, illegale: è stato denunciato per porto abusivo d’arma.