Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2019
In Italia l’86% delle transazioni sono in contanti
L’Italia è in cima alle classifiche europee per utilizzo del contante. E l’utilizzo del contante è uno dei fattori principali che alimentano il rischio di riciclaggio. Rischio, quindi, alto in tutto il Paese, ma non uguale ovunque: a livello regionale sono Calabria, Abruzzo, Molise e Campania a mostrare una preferenza quasi assoluta per la carta moneta. Ma quando si aumenta la definizione la mappa del rischio cambia, e indica una dorsale che si concentra nel Centro Italia, dalle province del Lazio a quelle di Toscana e Romagna per poi allargarsi alle autonomie speciali del Nord, dove la tentazione del riciclaggio è favorita anche dalla vicinanza dei confini. Non è solo la Svizzera, insomma, a rappresentare ancora un polo di attrazione per le transazioni in nero, perché lo stesso fenomeno si incontra vicino ad Austria, Slovenia e Croazia.
Numeri e mappe del rischio arrivano dal ministero dell’Economia, dov’è stata appena conclusa la nuova analisi del Comitato per la sicurezza finanziaria (Csf) presieduto dal dg del Tesoro Alessandro Rivera. Si tratta di una radiografia approfondita di tutti i canali dell’economia sommersa, che in 41 pagine di approfondimenti, grafici e tabelle studia nei dettagli sviluppo e manifestazioni di riciclaggio e finanziamento al terrorismo, l’efficacia delle contromisure adottate finora e quelle ancora da completare, per esempio il controllo sugli operatori in bitcoin e monete virtuali in genere.
Ma la benzina principale del riciclaggio, spiega il documento, non arriva dalle monete 2.0, ma dal vecchio tradizionale contante. Che in Italia circola a fiumi, molto più che negli altri principali Paesi Ue. In un anno, secondo l’ultima elaborazione dei dati relativi al 2016, nei Paesi dell’area euro si fanno transazioni in contanti per 129 miliardi. Ma la geografia della frequenza, misurata dal peso del contante sul totale degli scambi, punta decisamente sul Mediterraneo: e in cima, dietro a piccoli Paesi come Cipro e Malta e alla Grecia, il primo dei big europei è proprio l’Italia, tallonata dalla Spagna. Fra i Paesi del centro-Nord si inserisce tra i più attivi anche l’Austria, mentre in Germania i valori in gioco sono grandi per le dimensioni dell’economia tedesca.
Attenzione, però. La frequenza di utilizzo del contante non basta da sola a misurare il rischio riciclaggio. Per calcolarlo, il Csf ha costruito un “indicatore di anomalia” relativa: «Per ogni euro depositato in banca utilizzando strumenti diversi dal contante – spiegano i tecnici – è considerato l’ammontare dei versamenti in contanti non giustificati da fattori strutturali locali di natura socio-economica e finanziaria». Di fatto, nel pacchetto di cartamoneta che circola in ogni territorio si trova una componente fisiologica, misurata da fattori come il reddito, i versamenti bancari e il numero di sportelli in rapporto alla popolazione; e una definita «illecita», che si calcola in base all’intensità criminale, al numero di denunce per reati come il traffico di droga o la prostituzione. Ci sono poi variabili ulteriori come la frequenza di imprese che operano in settori ritenuti a rischio a partire dall’edilizia. Si arriva così a una proxy del rischio provincia per provincia, in una stretta catena di causa-effetto: la presenza massiccia di contante aiuta le attività illecite, e specularmente l’intensità di attività illecite alimenta l’uso della cartamoneta.
Proprio per questo tra le priorità della politica comune europea c’è il contrasto al contante, come mostra per esempio la decisione della Bce di sospendere dal 27 gennaio scorso l’emissione delle banconote da 500 euro. Ma come in quasi tutti i campi della politica economia, gli obiettivi indicati come “comuni” al centro perdono questo carattere all’interno degli Stati nazionali. A partire dall’Italia, dove il dibattito sul tema è sempre acceso: il governo Renzi ha rialzato da mille a 3mila euro la soglia per il suo utilizzo nel 2016, con una scelta di cui l’allora ministro dell’Economia Padoan si è detto «pentito» confermando lo scetticismo già mostrato all’epoca. Lo stesso governo Renzi discusse all’epoca di una possibile sanatoria del contante nascosto nelle cassette di sicurezza, tema tornato di stretta attualità in queste ore con la nuova proposta di condono lanciata dal leader della Lega Matteo Salvini. Un progetto in realtà già finito sui tavoli del governo giallo-verde nel menu della pace fiscale, poi uscito di scena tumultuosamente quando il leader Di Maio attribuì l’ipotesi a una «manina» da denunciare in Procura.
L’argomento è sempre caldo, insomma. E la ragione è nei numeri alla base dell’analisi del Csf. Ogni 100 euro di transazioni, in Italia 86 si traducono in scambi di cartamoneta, contro il 79% registrato nella media dell’Eurozona. Ma da egemonico il contante si fa monopolista in Calabria, dove abbraccia il 94% delle transazioni. Appena meglio fanno Abruzzo, Molise e Campania (91% degli scambi in contante). Anche la Lombardia, la regione più «virtuosa» da questo punto di vista, con il suo 81% si colloca comunque sopra la media dell’area Euro, seguita da Sardegna e Toscana (82%).
Ma sul piano operativo l’analisi punta prima di tutto a capire dove i presidi vanno rafforzati. Le priorità più alte riguardano i soggetti meno strutturati, cioè compro-oro e professionisti, a partire da commercialisti e avvocati mentre notai, revisori legali e consulenti del lavoro risultano meno esposti. Su intermediari finanziari e assicurazioni, invece, lo sviluppo dei controlli è più avanzato.