La Stampa, 13 giugno 2019
Abiti buoni sia per uomini sia per donne
Clare Waight Keller, direttrice artistica di Givenchy, spiega che i suoi abiti possono essere indossati sia da lei, sia da lui . Ma non chiamatelo genderless. E non parlate di questa come una sfilata «co-ed» perché il tentativo è proprio l’opposto, separare in maniera netta le collezioni uomo da quelle donna. «Siamo oltre», dice prima del fashion show fiorentino. «Non ha nemmeno più senso catalogare per genere stili e creazioni, perché tutti possono mettere tutto. E le mie donne indossano anche questi abiti maschili».
Uno stile speciale
Clare è felice di questa immersione nelle bellezze di una città sempre magica, soprattutto per gli stranieri. «Le nostre radici sono a Parigi, ma Pitti è un’ottima chance. Da molto tempo avevo in mente di fare qualcosa qui». E così eccoli gli abiti ispirati al genio di Baudelaire e ai fiori del male - il simbolismo dei versi immortali che si trasferisce sugli abiti, come anche l’inquietudine. E non ci poteva essere set migliore del giardino di Villa Palmieri descritto da Giovanni Boccaccio, nella Terza Giornata del Decameron per i 60 look proposti dalla stilista che, firmando il vestito di Meghan Markle, ha fatto un bagno di popolarità. Facendosi conoscere anche dai non addetti ai lavori.
Ricerca sui materiali
Grande lavoro di ricerca sui materiali. Domina uno speciale nylon coreano caratterizzato dalla morbidezza, ma anche dalla capacità di rendere glossy i colori. Tutto è superlight, funzionale. La tavolozza spazia dal rosa damasco al canna di fucile, molte le tonalità scure con blu decisamente intensi. La giacca turchese è di un filato che alla luce vira al fucsia. «Voglio trasmettere un’energia palpabile, un senso di urbana mascolinità che nasce a Parigi e raggiunge i colli fiorentini», racconta Clare.
Il cappottone in bianco e nero con il disegno dei «fiori del male», rubato alle copertine dei libri antichi, ricorda tappezzerie barocche. «In effetti - spiega la stilista- pensavo proprio a quelle e pure a quei tappeti antichi che sono in tutti i palazzi di Firenze. D’altronde lo zio del marchese Hubert de Givenchy fabbricava tappeti».
Linee rilassate per le giacche tre bottoni o doppiopetto, morbide (talvolta senza maniche) con spalle Anni Novanta, in lucente cotone tecnico, quadri grafici o accennati gessati, accostate a pantaloni a gamba larga o dritta,sorretti da cinture doppie o a catena.
Il tentativo è quello di far convivere non solo i «generi» ma anche lo chic di Hubert de Givenchy con il contemporaneo se non addirittura con il futuro.
Creativi talentuosi
E nel panorama dei creativi più talentuosi un posto speciale spetta a Marco De Vincenzo, al suo debutto nella moda maschile, con una collezione dal nome bizzarro, «Pum!», come il suono dell’energia, di un lampo. Tre lettere che contengono tante suggestioni: sorpresa, forza, paura, risveglio, coraggio. Il motivo lo spiega lui: «Avevo in mente un uomo reale, che alterna moderazione ed eccessi, rigore e kryptonite. Un supereroe quotidiano». E non importa se il nostro immaginario ci porta alla mente cavalieri indomiti con mantello e tute fascianti.
Il supereroe di De Vincenzo porta i bermuda così larghi che sembrano gonne pantalone e i jeans a vita così alta che assomigliano a un bustier.
Si sfila sotto le serre del Tepidarium del Roster, nel Giardino dell’Orticultura di Firenze. Anche qui grande ricerca nei materiali e nelle lavorazioni, raffinatissime. Plissé ovunque. «Mi hanno sempre affascinato i plissettifici», confida lo stilista. Il tulle è plissettato e accoppiato con un fresco di lana. Il vinile è traforato, ma ci sono anche bouclé spalmati e macramè laccati, applicazioni in termoadesivo glitterato. «Per me è questo il senso dell’immaginazione: manipolare, plasmare, trasformare suggestioni in visioni tattili».
Uomini coraggiosi
De Vincenzo ammette di «ammirare gli uomini più coraggiosi di me». «Io sono un tipo da jeans e maglietta, ma ammiro chi riesce a osare e a raccontare se stesso attraverso ciò che indossa. Quelli che si vestono come piace a loro e non come ci si aspetta».
I cappotti sono bordati in raso con colori a contrasto, molte salopette, pantaloni larghi e corti alla caviglia, cinture che si allungano sulle gambe, giubbotti di vinile. E’ il mondo del possibile e anche dell’impossibile in una società ancora dominata dagli stereotipi e dalle gabbie estetiche di genere. Il tentativo di far si che un nuovo racconto sia realizzabile, come anche l’affermazione della fantasia sulla banalità del «socialmente accettabile». E per farlo ci vogliono, questo è sicuro, dei supereroi.