13 giugno 2019
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Biografia di Lang Lang
Lang Lang, nato a Shenyang (Liaoning, Cina) il 14 giugno 1982 (37 anni). Pianista. «Sono un musicista classico, ma anche una persona del Terzo millennio. Non voglio respingere il mondo: voglio abbracciarlo» • «Il suo destino è già nel nome: Lang Lang in cinese significa “uomo brillante”» (Marina Verna) • «“Avevo 2 anni, come i tutti i bimbi guardavo i cartoni animati in tv. Ma quell’episodio di Tom e Jerry, The Cat Concert, con Tom che suonava come un forsennato una musica meravigliosa, mi folgorò. Sapevo a malapena parlare, ma feci chiaramente capire ai miei genitori che anch’io, come quel gatto, volevo mettere le mie zampette su quello strumento magico, capace di sprigionare suoni così straordinari. Mio padre, Lang Gouren, musicista, maestro di violino cinese, non sognava altro. Impegnò metà del suo stipendio annuale, e dopo qualche giorno un piano verticale fece la sua entrata trionfale nella nostra modesta casa”. E da quel momento divenne il suo giocattolo preferito. “L’unico. Con cui ‘giocare’ da mattina a sera. Sei, otto, dieci ore al giorno… Prima di emulare Tom nella Rapsodia ungherese n. 2, così si chiamava il brano, c’è voluta tanta fatica, tanto impegno. Ma Liszt mi ha ripagato di tutto”» (Giuseppina Manin). «I miei mi mandarono da una maestra, Zhu Ya-Fen, e a cinque anni suonavo in pubblico». «Avevo 5 anni, era la mia prima gara, nella mia città natale. Durante l’attesa mi ero chiuso in bagno per la tensione. Ma poi, quando sono salito sul palco, di fronte a 800 persone, e ho sentito la tensione del pubblico, è stato fantastico. Si è creato un silenzio magico. È così ancora oggi» (a Marco Pedersini). Qualche anno dopo, il traumatico trasferimento nella capitale. «Quando mia madre mi abbracciò, dentro di me sentii una musica, una melodia triste che non sono più capace di ricordare. Mamma mi stava dicendo addio. Avevo nove anni e non riuscivo a immaginare la mia vita senza di lei: per me, mia madre era tutto. Lei tornava a Shenyang, io sarei rimasto a Pechino insieme a mio padre. Shenyang era la mia città natale, un posto pieno di persone che conoscevo e amavo. Pechino era fredda e inospitale, uno sterminato paesaggio urbano di viali immensi, brulicanti di gente. Una città in cui non conoscevo nessuno». «Mio padre […] per me aveva lasciato il lavoro, su di me aveva investito tutto, ma tutto pretendeva. ‘Devi diventare il numero uno’, la frase che ha ossessionato la mia infanzia. Mi negava cibo e acqua finché non avessi suonato tutto il tempo che diceva lui. Quando fui cacciato da un insegnante che mi aveva preso in antipatia, lui divenne come pazzo. Mi insultò in tutti i modi, mi disse che la mia vita era inutile, mi ordinò di buttarmi dalla finestra. Eravamo all’undicesimo piano. […] Naturalmente era fuori di sé. Naturalmente si è subito pentito di quelle parole. Però, è stato terribile. Per un lungo periodo, per dieci anni, ho rotto ogni rapporto con lui. Poi ci siamo riconciliati, lui ha capito che aveva esagerato con i suoi metodi, io mi sono reso conto che tutto quello l’aveva fatto pensando al mio bene. Se vuoi diventare il numero uno in un Paese con oltre 20 milioni di studenti di piano, la disciplina deve essere ferrea». «Negli anni in cui mio padre ed io abbiamo vissuto a Pechino, ho conosciuto la miseria. Abbiamo trascorso inverni gelidi in camere senza riscaldamento, nei peggiori quartieri della città. Avevamo una vecchia bicicletta in due, e da mangiare ce n’era poco» (a Sandro Cappelletto). «Furono anni di frustrazioni e sfide, perché la mia insegnante di pianoforte continuava a dirmi che non avevo talento. Stavo praticamente per abbandonare gli studi. Sono stati anni di lotte continue con me stesso, non c’era spazio per altri pensieri. Poi ero a Pechino con papà, ma mi mancava la mamma: sentivo la nostalgia di casa, ma dovevo star lì per rincorrere la carriera, mi spiegavano. […] Avevo 12 anni quando vinsi il mio primo concorso internazionale a Ettlingen, in Germania» (a Piera Anna Franini). «Avevo suonato Haydn, e tutti credevano che fossi tedesco: un’ottima notizia, mi ero detto. Poi avevo continuato eseguendo una tarantella di Franz Liszt». «Con una borsa di studio, a tredici anni, volai al Curtis Institute di Filadelfia». «Ho frequentato il Curtis Institute di Filadelfia per dieci anni. Stavo quasi per venire in Italia a studiare con Campanella. Poi scelsi gli Stati Uniti». «Nel mondo musicale, in Cina si faceva molta attenzione alle competizioni. Quando sono andato a studiare in America, il mio primo maestro mi chiese: cosa ti piacerebbe diventare? Io risposi: il primo in tutte le competizioni musicali. Lui rimase sbalordito. Mi disse: pensavo che volessi diventare un grande musicista, le competizioni sono per gli sportivi. Lì ho capito. Ma, la prima volta che tornai in Cina, la prima cosa che mi chiesero fu: sei arrivato primo?» (a Gino Castaldo). Un giorno, fortuita, giunse la svolta. «L’astro di Lang Lang si è acceso ad appena 17 anni: su segnalazione di Isaac Stern sostituì all’ultimo minuto l’indisposto André Watts al Ravinia Festival del 1999, nel concerto di Ciaikovski con la Chicago Symphony e Christoph Eschenbach. Da lì, l’impennata che lo portò nel 2001 alla Carnegie Hall con Temirkanov. “Alla Carnegie Hall ho suonato anche con mio padre, un grande musicista di strumenti musicali della tradizione cinese: insieme abbiamo realizzato un dvd. Ci confrontiamo sulla musica”. […] Quando nel 2001, dopo i successi occidentali, tornò a esibirsi in Cina, erano in 8.000 alla Gran Sala dell’Assemblea del Popolo di Pechino ad ascoltarlo» (Valeria Crippa). Straordinaria e rapidissima la sua carriera internazionale, che ne ha fatto «il primo pianista cinese a essere stato ingaggiato dalle filarmoniche di Berlino e di Vienna e da tutte le “big five”, le cinque maggiori orchestre americane» (Crippa). «Carico di sponsor più di un pallone d’oro, blockbuster da alta classifica, la sua incisione del Primo e Quarto concerto di Beethoven con l’Orchestre de Paris diretta da Christoph Eschenbach ha stracciato le chart di classica su Billboard. E per arrivare in testa come Nuovo Artista si è battuto faccia a faccia con le più note popstar. La sua agenda rimbalza dal recital tenuto in Central Park con uno Steinway rosso, poi messo all’asta a favore dei terremotati del Sichuan, allo spot per la United Airlines registrato assieme al grande collega jazz Herbie Hancock, con il quale ha anche suonato in tv davanti a quarantacinque milioni di spettatori. Nulla rispetto ai quasi cinque miliardi che a luglio 2008 l’hanno visto – un puntolino nello stadio – suonare per la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino» (Nicola Gallino). In seguito, tra l’altro, Lang Lang si esibì alla Royal Albert Hall con l’orchestra della Bbc (2011), a Buckingham Palace per il concerto celebrativo del Giubileo di diamante della regina Elisabetta II (2012) e al concerto inaugurale dell’Esposizione universale di Milano con Andrea Bocelli (2015), ma anche alla cerimonia dei Grammy Award, insieme ai Metallica (2014) e a Pharrell Williams e Hans Zimmer (2015), e persino con Psy, l’autore di Gangnam Style, alla cerimonia inaugurale dei Giochi asiatici in Corea del Sud (2014). «“Sono collaborazioni che nascono spontaneamente: mi piace rimanere aperto a nuove esperienze. Non so che altra idea spunterà. Sono curioso di me stesso”. Cosa ha imparato da tutti questi colleghi? “Ad allargare le vedute. Sono esperienze uniche, è opportuno farle di tanto in tanto. E poi ci si diverte parecchio”» (Franini). Nel marzo 2017, però, un problema alla mano sinistra lo costrinse ad annullare i concerti già programmati e a ritirarsi temporaneamente dalle scene, per farvi poi ritorno nella seconda metà del 2018. «“Ho avuto un’infiammazione mentre mi esercitavo a suonare il Concerto per la mano sinistra di Ravel. Non sono stato ansioso e non ho pensato nemmeno un secondo che la mia carriera si sarebbe compromessa. […] Sono tornato alla normale attività, anche se l’ho un po’ rallentata: ora tengo 70 concerti all’anno”. Che cosa ha fatto in quel periodo di riposo? “Ho rinforzato la mia condizione fisica, ho insegnato, ho ascoltato tanto repertorio sinfonico, soprattutto Brahms; ho seguito più da vicino la mia Fondazione e l’Accademia che insegna a studiare pianoforte anche col sorriso, perché la musica classica può essere cool e divertente”. […] “Io agli studenti dico sempre che la musica non è saper leggere le note, ma creare emozione. Incoraggiare i giovani pianisti è uno degli obiettivi del mio nuovo cd, Piano Book, che segna il mio ritorno alla Deutsche Grammophon, dove suono i brani che mi hanno fatto desiderare di diventare un musicista, la mia playlist”. Quali sono? “La Sonata K 545 di Mozart, Per Elisa di Beethoven, Clair de lune di Debussy, il Minuetto n. 1 di Bach… Il primo choc lo ebbi quando alla tv ascoltai Horowitz che da Mosca suonava Traumerei di Schumann, pezzo non difficile tecnicamente eseguito al più alto livello”. Quando tornerà nel nostro Paese? “In aprile 2020, per un recital alla Scala: Variazioni Goldberg di Bach. Le interpretazioni che amo? Glenn Gould e Murray Perahia”» (Valerio Cappelli) • «Nella sua formazione ha avuto dei punti di riferimento ideali tra i grandi pianisti del passato? “Sono stati quattro, molto diversi tra loro: Horowitz, Rubinstein, Michelangeli e Glenn Gould. Il primo è un artista completo e dinamico: pare un universo con un’infinita facoltà di espandersi, e dimostra che le possibilità d’interpretazione della musica sono illimitate. Rubinstein è la bellezza di un’anima, ma anche la struttura di un pezzo: coniuga alla logica sentimenti ed emozioni. Michelangeli è il massimo del controllo pianistico e del pensiero musicale. Una sua esecuzione permette di addentrarsi nella testa di un compositore. Ha una chiarezza mirabile e una rigorosa precisione. Quanto a Gould, viaggia in una dimensione altra. Va sempre nella direzione opposta a quella del più prevedibile senso della musica che sta interpretando. Eppure funziona! È pazzesco! Per suo tramite la musica guarda se stessa allo specchio: rovesciata e perfetta”. Oggi che rapporto ha con lo strumento? Deferenza, rispetto, amore? Ci sono momenti di aggressività? “È il mio migliore amico, ma anche con gli amici capita di litigare. A volte il pianoforte cerca di mostrarti chi è il boss. A volte sei tu a sforzarti di farglielo capire. La lotta può essere tremenda… Ma mi diverto sempre a suonare. Succede a tratti che sia noioso fare pratica, studiare molte ore al giorno. Lo era soprattutto quand’ero bambino. Ma suonare in concerto è sempre fantastico”» (Leonetta Bentivoglio) • «Per i potenti della Terra lei ha molte volte suonato, dalla regina Elisabetta a Sarkozy, da Putin a Obama… Un ricordo della Casa Bianca? “Le chiacchiere con le figlie di Obama. Malia e Sasha mi hanno tempestato di domande. Volevano sapere come faccio a suonare così bene senza essere troppo nervoso. Gli ho svelato il mio segreto: una coppa di fragole e cioccolata prima del concerto”» (Manin) • Nel giugno 2019 ha sposato la pianista germano-coreana Gina Alice Redlinger (classe 1994) nella Reggia di Versailles • «Tifo per il Barcellona. […] Amo le squadre di calcio che giocano in modo artistico, come se fosse una danza» • Grande interesse per le nuove tecnologie. «Ho giocato con l’uso dell’iPad in un bis nel tempio classico di San Francisco. Continuo a lavorare anche nell’ambito cinematografico eseguendo colonne sonore come in The Painted Veil, vincitrice del Golden Globe, The Banquet e My Week with Marilyn. Ma credo anche in un uso brillante, attento ed estremamente partecipato dei social network, per divulgare la grande tradizione classica senza intaccarla nella complessità, profondità e limpidezza dei suoi contenuti più alti e nobili» • «Nella vita, Lang Lang è un cinese glam: “Vesto Armani, Versace. Gli stilisti italiani sono i migliori. È importante avere un buon look per raggiungere i giovani che sentono distante la musica classica”» (Crippa) • «Ambasciatore di buona volontà» dell’Unicef dal 2004, dal 2013 Lang Lang è anche «messaggero di pace» dell’Onu. «Un incarico che lui prende molto sul serio, fino a definirlo "più importante dei miei concerti". […] "Il mio primo obiettivo […] alle Nazioni Unite è funzionare da catalizzatore per risorse ed energie pubbliche e private, e portare la scuola tout court ad almeno 57 milioni di bambini che non ricevono nessun tipo d’istruzione elementare. Poi la mia Fondazione porta nelle scuola l’insegnamento musicale, cominciando dal pianoforte. Ogni bambino […] dovrebbe essere messo in condizione di poter suonare uno strumento musicale. È una ricchezza culturale, un’apertura alla sensibilità artistica, una prospettiva nuova che ti si apre sul mondo"» (Federico Rampini) • «In cosa si sente cinese? “A tavola. Non potrei vivere senza cibo cinese. Ho una serie di ristoranti prediletti in giro per il mondo”» (Franini). «Sono sempre in viaggio: vivo fra teatri, hotel e aerei. Sono una persona curiosa, mi piace imparare dalle diverse culture, ma ammetto che quando sento l’esigenza di sentirmi coccolato, ovunque sia, vado in un ristorante cinese. Questo mi basta per caricarmi di energie fisiche e mentali» • «Quando mangia usa la forchetta, perché teme che le bacchette gli rovinino le mani» (Pedersini) • «Lang Lang è un pianista virtuoso come Rubinstein, inventivo come Horowitz: per lei si sono sprecati i paragoni eccellenti. Ascolta i maestri di ieri? “Di ieri e di oggi. Poter suonare Scarlatti e Ravel come Benedetti Michelangeli! Avere l’intelligenza e la curiosità di Daniel Barenboim, che considero un maestro. Il ritmo di Martha Argerich, la costruzione del suono di Pollini. Certo che ascolto, moltissimo”» (Cappelletto) • «Quel modo così teatrale di staccare la mano destra dalla tastiera, sull’ultima nota, con gli occhi chiusi; i capelli corvini; le scarpe da ginnastica con le strisce dorate che fanno glamour; l’uso dei social per lanciare messaggi ai giovani. E meno male che da ragazzo era “molto timido”. Il super virtuoso pianista cinese Lang Lang è divenuto un fenomeno sociale. […] È vero che 40 milioni di ragazzi in Cina hanno imparato a suonare il piano vedendola in concerto o su internet? “Mi hanno detto che ora sono 60 milioni”» (Cappelli) • «Fenomeno commerciale, fenomeno mediatico, fenomeno e basta. […] Icona globale prêt-à-porter, consolle da estasi pianificate, il prodigio venuto dalla Cina sta al pianoforte come la Playstation al vecchio pallone di cuoio. Occhio, però, a non liquidarlo come tecnologia perfetta e sentimenti di plastica, come macchina da note dalle emozioni rinchiuse dietro due fessure ridenti e impenetrabili. Troppo semplice. Con lui tutti i tradizionali stereotipi sui musicisti orientali impattano clamorosamente. Lang rappresenta sul serio qualcosa di nuovo e trasversale, più sottile e complesso. Forse inquietante. Innanzitutto materializza nell’immaginario della musica globale la voglia di nuova Cina, di nuovi Orienti. Altro che il virtuoso occhialuto e compassato, magari con la riga da una parte, che suona, s’inchina e se ne va. Il suo sito è cool. Da dj, con tanto di "join the experience", di canale YouTube, di avatar e il tocco fetish delle sue sneakers griffate nere e oro in vendita. […] Che Lang sia esploso per germinazione spontanea o sia stato plasmato a tavolino dai geni del marketing d’Oltreoceano, in fondo non importa. È l’ennesima reincarnazione di quella musica classica che si sforza di parlare a platee più ampie, di quel borderline colto che non ha paura di sporcarsi le mani con i linguaggi di massa e lo showbiz. Come i Pavarotti e Bocelli, con cui naturalmente si è esibito. La novità è che questa volta il vento viene da Est: ma attenzione a gridare alla melassa globale. Un suo concerto è un’avventura non soltanto sonora ma anche cinetica, sensoriale, dove l’Oriente vero e interiore c’è. Ed è inconfondibile. Guardatelo come attacca, ad esempio, una delle ultime sonate di Schubert. Per l’intero primo tempo indugia. Ci gira attorno, si bilancia sulle braccia come un atleta di arti marziali che studia l’avversario prima di sferrare la prima mossa. A un certo punto parte. Mena fendenti, accarezza, sfarina le note come se volesse liberarsi di sabbia dai polpastrelli. E, quando una mano resta sola a suonare anche per un secondo, l’altra si libra nell’aria perdendosi in uno strano tai-chi che disegna stormi di gru in volo verso lontananze immaginarie. Poi magari si butta in un allegro tempestoso contro cui infierisce con l’allegra crudeltà di dita che ora pinzano i tasti come bacchette di bambù, ora li affettano come coltelli» (Nicola Gallino). «È un’icona pop. I capelli rigidi di gel, il rifiuto di portare frak e papillon – “uno stringe le spalle, l’altro il collo” –, l’aria ora sfrontata ora rapita, ha cambiato il modo di essere pianista. Ha un’apertura di mani straordinaria, copre dodici tasti quando normalmente si arriva a dieci. “Suona come un gatto con undici dita”, dice di lui Daniel Barenboim. […] È amato e odiato con la stessa intensità. Dopo gli entusiasmi iniziali, sono arrivati i giudizi pesanti: noioso, immaturo, volgare, privo di sensibilità, una popstar. Tra i critici musicali tedeschi è diventato chic dirne male, lodare l’ottima tecnica ma sottolineare che gli mancano profondità e passione. L’hanno soprannominato Bang Bang perché pesterebbe troppo sui tasti, e considerano una scivolata lo spot per una linea di abbigliamento e la colonna sonora del film Il velo dipinto. Lang Lang replica: “Non suono per i critici, ma per la gente”. Ha un motto per rincuorarsi: “Devi avere fiducia nel tuo talento e non avere mai paura”. Ha due angeli custodi, Eschenbach e Barenboim, che lo rincuorano quando i critici […] gli consigliano di prendersi una vacanza» (Verna). «Lang Lang è un grandissimo pianista, suona con sbalorditive facilità e abilità nel trasmettere la sua passione. […] C’è però anche qualcos’altro che mi porta all’economia del lusso nel ventunesimo secolo. In qualche modo Lang Lang capisce che il pubblico in tutto il mondo non gli chiede una resa filologica di una cultura che solo una minoranza dei consumatori globali oggi conosce. Ciò che è richiesto per il massimo impatto di mercato è un prodotto con caratteristiche che rimandino a una cultura “locale” (nazionale), certo, ma standardizzate. Gli angoli acuti vengono smussati in nome di un linguaggio globale. Il bello come bene di consumo deve essere fruibile da tutti, e Lang Lang lo ha istintivamente capito. In fondo, è la stessa ricetta che ha sostenuto l’industria italiana o francese della moda o del lusso in questi anni di crisi. I prodotti di Yves Saint Laurent o di Ferragamo sono profondamente francesi o italiani, ma soprattutto contengono un’idea di Francia o d’Italia abbastanza fruibile anche da persone molto lontane. È questa la ricetta che ha trasformato il lusso, come la musica di Lang Lang, in un vendibilissimo fenomeno di massa. I più critici diranno che questa è “cultura in stile McDonald”, banalizzazione del bello. Non so. Di certo è una tendenza del mercato vincente nell’alto di gamma. E senza Lang Lang milioni di persone oggi non avrebbero mai sentito parlare del Concerto italiano di Bach» (Federico Fubini). «Pagliaccesco» (Paolo Isotta) • «Voleva essere il Tiger Woods del pianoforte, e ci è riuscito: ora ha la sua foto su tutte le riviste, ed è testimonial per gli orologi Rolex, le scarpe Nike e le penne Montblanc» (il pianista Gary Graffman, suo ex insegnante) • «Molti l´accusano di essere troppo libero nelle sue interpretazioni. Qual è il limite che un pianista deve porsi? “Il limite è il rispetto che dobbiamo al compositore: non puoi improvvisare, puoi interpretare, e questo è sicuramente un limite importante, devi rimanere nella giusta forma e nel giusto ritmo, ma allo stesso tempo credo che i sentimenti debbano emergere. Non ho mai pensato che essere un musicista classico debba significare rimanere chiuso in una scatola”» (Castaldo). «“Se non dai emozione, sincera emozione, il concerto non funziona. Il grande pubblico, che magari non è educato musicalmente, lo conquisti soltanto con l’emozione”. È per questo motivo che lei suona in maniera così teatrale, con grandi gesti delle braccia, delle mani, accentuando le espressioni del volto, degli occhi? “Dipende dal repertorio: se suoni Rachmaninov o Liszt, lo puoi fare: è musica che non solo tollera, ma richiede una forte gestualità. Con Chopin, con Bach non è possibile: significa andare contro la musica”. […] Musica classica e leggera. Esiste una differenza? “Non amo i pop singer. La differenza, la fanno le persone: quando suono con John Legend o con Herbie Hancock non avverto alcuna differenza, solo il piacere di lavorare e improvvisare con loro. Se vuoi tentare nuove strade, devi scegliere le persone giuste”» (Cappelletto) • «La musica mi ha aperto le porte del mondo; ero un ragazzino nato nella periferia della Cina industriale e oggi suono ogni settimana in un Paese diverso, senza appartenere a nessun luogo in particolare, bensì a tutti i luoghi che ho nel cuore: la Cina, la mia amata madrepatria; l’Europa, la terra dei miei eroi musicali; e gli Stati Uniti, il Paese che mi ha trasformato e guidato nell’età adulta» • «Io ho sempre creduto nella musica classica in quanto forma d’arte, e il piano è l’unico strumento che mi permette davvero di esprimermi. È uno strumento che sta in piedi da solo, con cui posso dipingere un mondo tangibile e poi oltrepassarlo. Il pianoforte è un universo. Non potrei suonare uno strumento che suona sempre allo stesso modo: mi serve qualcosa che mi porti sempre nuove idee».