Dicono che la gara fra tre giorni a Barcellona sarà decisiva per il futuro: di Petrucci, di Dovizioso, della Rossa.
«Sì, dopo l’arrivo al Montmelò mi diranno qualcosa per la prossima stagione. Ma finalmente sono tranquillo. Basta pressione. Da un paio di mesi sono cambiato: la bella gara di Jerez, il podio a Le Mans, il successo al Mugello. Credo di aver dimostrato di meritarmi una Ducati ufficiale. La vittoria era l’obiettivo di quest’anno: ora devo solo pensare ad aiutare Andrea a vincere il mondiale. Se studiamo una bella strategia – durante le prove, le qualifiche, la corsa – possiamo battere di nuovo Marquez e prenderci il titolo: Valentino e Rins sono forti, però è soprattutto una questione tra noi e lui».
Cos’è successo, da un paio mesi?
«Cominciamo dal 31 dicembre, quando ho affittato l’appartamento. Dovizioso mi ha adottato, come si fa con un fratello: "Vieni a Forlì, cresceremo insieme.
Il motocross insieme, una nuova preparazione fisica (col programma Biotekna, lo stesso che ha cambiato la vita al Dovi, a Bautista – dominatore in Sbk –, alla squadra di rugby di Treviso), uno psicologo sportivo (il cileno Eugenio Lizama).
Però nei primi gp ero in difficoltà.
Soffrivo. Sentivo la responsabilità, bastava la battuta di un barista – "Danilo, con questa moto non ci sono più scuse: devi vincere" – per mandarmi in crisi. Dopo Austin, Andrea mi ha preso da parte: "Basta pensare, goditi il momento. E sorridi a tutti: ti tornerà indietro".
Ah, come aveva ragione».
Petrucci, il pilota meno pagato e più sottovalutato del paddock.
«La mia è sempre stata una carriera dietro le quinte, da ragazzino non ho mai potuto misurarmi coi coetanei migliori: ma sapevo di valere, mancava solo l’occasione buona. Dei soldi, non mi è mai importato nulla. Nel 2014 avevo rifiutato un buon ingaggio in Sbk, dopo aver ascoltato la proposta di Francesco Guidotti (team manager Pramac): "Hai voglia di correre con noi? Però è quasi gratis". Ho detto di sì, volevo dimostrare che potevo vincere anche io. E lo scorso anno l’Aprilia mi ha offerto il doppio: no grazie, rischio tutto con Ducati».
Ha vinto la scommessa. Ma Dovizioso – che la viene a prendere sotto casa in auto, e tutte le sere vi invita a cena – è finito 3°, dietro a Marquez.
«Andrea l’ho visto nero in faccia, temevo ce l’avesse con me: gli ho chiesto scusa tante volte. In realtà era arrabbiato perché aveva tribolato per tutto il fine-settimana e Marc, su una pista Ducati, stava comunque per batterci».
Quel catalano è un demonio.
«Non ha paura di niente: di cadere, di perdere punti. Niente. Dà sempre il 100%, forse qualcosa di più. E allora noi dobbiamo fare altrettanto. Perché è battibile, se giochiamo di squadra».
Pensare che solo qualche mese fa, a 28 anni, lei voleva smettere: ma poi per fare che?
«Una volta, in Asia, ero col morale a terra per aver perso le qualifiche di pochi millesimi. Poi in un paesino ho incrociato una donna col figlio in braccio: avevo solo una bottiglietta d’acqua, gliel’ho regalata: era così felice. Ecco: cosa è davvero importante nella vita? Un mio amico gira il mondo facendo il parrucchiere. Io non so tagliare i capelli, così pensavo a un piccolo bar in qualche posto lontano: preparare panini, in ciabatte. Poco denaro, molti sorrisi. Magari succederà presto. Ma adesso, no: voglio aiutare il Dovi a vincere il mondiale».