il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2019
I neomelodici che cantano la mafia
Lui adesso fa l’agnellino. Smette i panni dell’arrogante guappo di cartone con croci e frasi dedicate a mammà tatuate su tutto il corpo e via Facebook manda a dire che non ha “mai offeso quei due grandi eroi”. La storia è nota, ed è quella della partecipazione del cantante neomelodico Niko Pandetta, insieme al suo collega Leonardo Zappalà, noto come Scarface, a Realiti, la trasmissione di Enrico Lucci su Rai2. Zappalà, napoletano per finta pure lui, parlando dei due magistrati uccisi a Capaci e in via D’Amelio, ha detto che la loro era una scelta di vita, aggiungendo, ma solo dopo una studiata pausa, che “come ci piace il dolce ci deve piacere anche l’amaro”. Polemiche a non finire. Da quelle frasi Niko Pandetta, siciliano nipote di un boss, che sarebbe anche il “paroliere” della sue canzoni, si è dissociato. Ora potrà riprendere i suo concerti, che iniziano sempre con un saluto “agli ospiti dello Stato” e agli “amici al 41 bis”, e soprattutto i suoi video su Facebook. L’ultimo lo ha dedicato al consigliere regionale della Campania Francesco Emilio Borrelli, agitando un revolver d’oro in stile narcos.
Neomelodici, fenomeno sempre in bilico tra pessimo folklore e industria criminale. Un business che per la camorra vale almeno 200 milioni di euro l’anno. Gestione dei cantanti, sale d’incisione, bancarelle per la vendita dei cd, uso di YouTube e degli altri canali dove veicolare video e canzoni. Niko Pandetta, che ha stampato il suo primo cd grazie ai soldi arraffati durante una rapina, canta Simme nuje, “nuje ’ngopp ’e problem ce simme cresciuti, vulimme cagnà, ma simme fatt accussì”. Tradotto, noi siamo cresciuti sui problemi, vorremmo cambiare, ma siamo fatti così. È l’esaltazione della strada, della mala-vita, dei soldi e della droga. Cambiare è impossibile. Testi e ritmi sempre più spinti. Perché l’industria dei neomelodici è come quella del porno: il pubblico ama i sapori forti, estremi, vuole sempre di più. Nino D’Angelo è considerato il padre della canzone neomelodica. Ma Nino, all’inizio degli anni Settanta cantava l’amore e la vita amara della gente come lui. Ciucculatina da ferrovia è la storia di una bambina, “figlia e nu sbaglio e liett” (figlia illegittima di un poveraccio), costretta a vendere Marlboro di contrabbando su un marciapiede della Ferrovia. Le volgari imitazioni venute dopo sono solo il racconto senza filtri, spesso con toni di vera e propria esaltazione, della camorra e dei suoi “stili” di vita.
In questa operazione un posto di primo piano spetta ai “finti napoletani”, i neomelodici arrivati dalla Sicilia. Gianni Celeste è un catanese che ha imparato alla perfezione lo slang napoletano, negli anni Novanta porta al successo un brano di Tommy Riccio, Nu latitante. La storia di un camorrista in fuga dalla legge descritto come una vittima, “na foglia int’o vient… telefona a casa pe dì sulamente, riman è Natale vulesse turnà”. Una foglia nel vento che telefona a casa per dire domani è Natale, vorrei tornare. Applausi commossi di boss e cumparielli. Applausi di sdegno per Lisa Castaldi, interprete de Il mio amico camorrista (“Che è n’omm chine ’e qualità”) e di Femmena d’onore, canzone che narra di un killer che ha ammazzato suo marito e ora si pente, “primma accire e po’ chiede perdono”. Standing ovation per Nello Liberti che canta ’O capoclan. Un crescendo, si diceva, perché al pubblico, come nel porno, bisogna dare sempre di più. Daniele Sanzone, frontman degli ’A67 (in questi giorni debutta con Fuori mano, insieme a Peppe Lanzetta e Jennà Romano), ha una sua lettura del fenomeno. “I neomelodici si trovano a vivere ciò che cantano e a cantare ciò che vivono. In realtà, la canzone di camorra all’interno del genere è ben poca cosa, anche se fa più rumore”. Sanzone richiama fenomeni mondiali simili a quello dei neomelodici, “il rai algerino, la cumbia villera a Buenos Aires, il corrido messicano. Stili che hanno avuto una loro evoluzione-degenerazione e che oggi cantano le gesta dei narcos, dei gangster urbani, dei camorristi”.
La nuova frontiera è il rap, “i ragazzini che vent’anni fa sognavano di fare i neomelodici – ci dice Sanzone – oggi si vestono e si atteggiano a rapper vesuviani”. Nasce così nel ventre di Napoli la trap made in Vesuvio di Geolier e Enzo Dong che canta “Mammà, perdon ’sta vita sbagliat. E strad ccà c’hann crisciut. Ma n’ce simm maij ’nnammurat”. Testi che inneggiano ai boss, facce alla Gomorra, macchine sfavillanti e matrimoni hollywoodiani, come quello di Tony Colombo, neomelodico e siciliano pure lui, e Tina Rispoli, vedova del boss di camorra Gaetano Marino. Carrozze, cavalli bianchi e banda musicale. Un trash spesso esaltato dalla regina del genere Barbara D’Urso su Canale5. Perché anche questa è Italia, Paese dove tutto è televisione. Pessima televisione.