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 2019  giugno 12 Mercoledì calendario

I 90 anni di Anne Frank

Annelies Marie Frank, affettuosamente conosciuta come Anne, è morta di tifo e denutrizione nel campo di sterminio di Bergen Belsen nei primi mesi del 1945 – aveva 15 anni. Se fosse riuscita a sopravvivere, oggi di anni ne avrebbe compiuti 90. Era nata a Francoforte in una famiglia ebraica d’ispirazione laica e liberale. Suo padre era azionista e dirigente di un’azienda chimica. Di lei resta qualche foto, la più famosa la ritrae in atteggiamento da scolara, sorriso d’occasione sul volto infantile. Ma di lei resta soprattutto il diario, note di un’adolescente che trovò nella scrittura il modo di evadere da un alloggio troppo affollato dove era rinchiusa con la famiglia e alcuni amici per sfuggire alla caccia dei nazisti. Venticinque mesi durò la prigionia in quei 60 metri quadrati il cui ingresso era dissimulato da uno scaffale girevole.
La mattina del 4 agosto 1944, informati da un delatore mai identificato, fece irruzione una squadra di Ss agli ordini del sergente Karl Silberbauer. Restò, fogli sparsi sul pavimento, il diario, il più famoso documento personale legato all’Olocausto, uno dei libri più letti in assoluto, tradotto in sessanta lingue, celebre e controverso.
Durante i primi mesi Anne s’era limitata a raccontare la vita nel rifugio con una vivacità quasi sproporzionata rispetto alla povera routine quotidiana. I litigi con sua madre, l’attaccamento al padre Otto, uomo generoso e comprensivo, le trasformazioni che avvenivano nel suo corpo di adolescente che stava diventando una giovane donna; poi gli incerti sentimenti amorosi, i primi accenni di sensualità verso un giovane compagno di prigionia, figlio di una famiglia amica che i Frank avevano ospitato.
Nel marzo 1944, dopo ventuno mesi di reclusione, Anne ascoltò a Radio Londra la voce del ministro olandese dell’Istruzione in esilio che esortava i connazionali a registrare quanto stavano subendo sotto i nazisti. Decise di riscrivere le sue note in vista di una pubblicazione a guerra finita. Come ripete più volte, voleva diventare giornalista, scrittrice. I suoi appunti abbandonati sul pavimento nel caos generale d’una brutale perquisizione, vennero recuperati nel pomeriggio e messi da parte.
Degli otto ebrei che le Ss avevano catturato, solo il padre di Anne riuscì a tornare. Gli amici lo informarono che sua moglie e le sue due figlie (Anne e Margot) così come gli ospiti che avevano condiviso il rifugio, erano stati tutti uccisi. Gli consegnarono i fogli del diario, Otto cominciò a trascriverli e riordinarli dato che di alcune parti esistevano versioni diverse. Nel giugno 1947 una piccola editrice olandese pubblicò una limitata tiratura di 1500 copie. Molti editori avevano rifiutato la pubblicazione, nel 1952 però, uscì in prima pagina sul New York Times Book Review una recensione a firma di Meyer Levin che cambiò il corso delle cose. Il caso di Anne Frank esplose. Tre anni dopo seguì la versione teatrale curata da Frances Goodrich e Albert Hackett che nel 1956 venne messa in scena anche in Italia con la regia di Giorgio De Lullo, Anna Maria Guarnieri nel ruolo di Anne. Ancora tre anni e nel 1959 seguì un film che ebbe tre premi Oscar. Da quel momento la vicenda di Anne e del suo diario non poté più essere ignorata.
L’enorme popolarità attirò però altrettante polemiche. I neonazisti e alcuni storici negazionisti cominciarono a sostenere la falsità dello scritto. Lo storico negazionista francese Robert Faurisson affermò: «Il diario di Anna Frank è un falso. Questa è la conclusione dei miei studi e delle mie ricerche e questo il titolo del libro che pubblicherò». Secondo altre fonti d’ispirazione antiebraica, diffuse soprattutto in rete, «questo diario di un’adolescente ebrea sembra un classico esempio di letteratura inventata di sana pianta per inculcare verità diffuse dagli ambienti ebraici nell’immediato secondo dopoguerra». La principale ragione a sostegno delle calunnie era l’imperizia con la quale Otto aveva redatto la prima edizione del 1947. Poco prima di morire, il padre di Anne affidò le carte a una perizia forense che ne garantì l’autenticità. Nel 1986 uscì un’edizione critica fugando ogni dubbio.
Ci sono state però anche polemiche di diverso tipo. Hannah Arendt già nel 1962 aveva osservato che concentrarsi troppo su Anne era una forma di sentimentalismo a spese di una catastrofe immane. La tragedia dell’Olocausto investì milioni di persone, vecchi, donne e bambini. Non si deve però dimenticare che le singole vittime si trovavano all’interno di un complessivo disegno mostruoso che intendeva cancellare un intero popolo e la sua cultura.
Elie Wiesel, saggista e premio Nobel, coetaneo di Anne, è riuscito a scrivere quello che per lei non era stato possibile, l’orrore dell’arrivo nel campo: «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo. Mai dimenticherò quel fumo, i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò le fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.... Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».