La Lettura, 2 giugno 2019
Ho un sogno: ricostruire a Venezia il teatro del 1637
Quando Paul Atkin accende la propria passione e comincia a raccontare il sogno che sta coltivando da anni, il suo eloquio si fa torrenziale e travolge l’interlocutore. Che alla fine uscirà dalla conversazione convinto lui stesso della necessità e della bellezza del sogno in questione. Paul Atkin è un imprenditore e musicologo inglese – è nato ad Ely nella contea del Cambridgeshire – con un’idea ben precisa in testa. Ricostruire il Teatro San Cassiano di Venezia, in assoluto il primo teatro pubblico della storia per opera in musica, inaugurato nel 1637 in prossimità della parrocchia di San Cassiano, in zona Rialto. Di proprietà della famiglia veneziana Tron, fu il primo teatro pubblico nel senso che era aperto a tutti, ovvero a spettatori paganti, non soltanto a quelli selezionati dalle famiglie ricche di Venezia. Sorse sulle ceneri di un altro teatro, progettato da Andrea Palladio, costruito nel 1565 nell’atrio del Monastero della Carità e bruciato nel 1629.
Il San Cassiano venne inaugurato con l’opera di Francesco Mannelli (1595-1667), su libretto di Benedetto Ferrari (la musica è andata persa), Andromeda, nel febbraio del 1637, per il Carnevale. La compagnia di Mannelli passò subito dopo al Teatro Santi Giovanni e Paolo (sempre a Venezia), di proprietà della famiglia Grimani, uno dei palcoscenici più importanti di Venezia, che il compositore inaugurò con l’opera Delia, su libretto di Giulio Strozzi. Il San Cassiano seguì un suo corso, che ha lasciato un segno profondo nella storia dell’opera. All’Andromeda seguirono infatti negli anni molte rappresentazioni: Claudio Monteverdi (1567-1643) nel 1641 vi mise in scena Il ritorno di Ulisse in patria. Ma soprattutto il San Cassiano – che nei suoi primi tredici anni di attività ospitò 50 opere inedite – fu il palcoscenico prediletto per i lavori dell’allievo di Monteverdi, Francesco Cavalli (1602-1676): Le nozze di Teti e di Peleo ( 1639), Gli amori d’Apollo e di Dafne (1640), Didone (1641), Le virtù de’ strali d’amore (1642), Ormindo (1644), Doriclea e Titone (1645), Il Giasone (1649), Orimonte (1650), Antioco (1658), Elena (1659). La storia ci ricorda anche che l’ultima prima assoluta al San Cassiano fu Il convitato di pietra di Giuseppe Calegari (1750-1812) nel 1776 e che nel 1807 il teatro fu chiuso a causa di un’ordinanza napoleonica e demolito cinque anni dopo, nel 1812. Poi un silenzio prolungato. Per il resto, il glorioso San Cassiano ha fatto la sua comparsa soltanto fra le pagine dei libri di storia della musica.
«L’Italia, il Paese che ha regalato al mondo l’opera, non ha – spiega Atkin a “la Lettura” – un teatro d’opera barocca attivo da un punto di vista commerciale, con macchine di scena e scenografie d’epoca funzionanti. È, allo stesso tempo, assurdo e tragico». Tre anni fa i primi passi, formali ma molto pragmatici, verso la realizzazione del suo sogno «di ridare a Venezia e al mondo» il San Cassiano. Una bellissima utopia, che dimostra come si possa ancora sognare e cercare di perseguire con ogni mezzo – come sta facendo Atkin – il proprio scopo. Nasce così una società che sta dialogando («positivamente») con istituzioni pubbliche e private. «L’interesse c’è», conferma Atkin, che ha coinvolto nella preparazione del progetto Jon Greenfield, lo stesso architetto che ha realizzato «quello del Globe Theatre, inaugurato nel 1999 e partner per l’operazione San Cassiano. Poi ho coinvolto Andrea Marcon, musicista ed esperto internazionale di opera barocca».
«L’idea – rivela Atkin – mi è venuta la prima volta guardando un Giulio Cesare allo Shakespeare Globe nel 1999. Nel 2014 ho venduto la mia attività e mi sono buttato a capofitto in questo lavoro legato alla ricostruzione di un teatro piccolo e intimo, adatto all’opera barocca. Ho già anche fatto fare uno studio di fattibilità. Tutto sembra profilarsi per il meglio». E rafforzarsi, visto che è un progetto assolutamente unico. Dopo anni di studi, Atkin e i suoi collaboratori sono arrivati infatti alla conclusione che addirittura non c’è alcun «teatro professionale barocco attivo non solo in Italia, ma nel mondo».
Incredibile, ma vero, assicura Atkin. «Abbiamo fatto tre anni di ricerche insieme al musicologo Stefano Patuzzi e... niente. Non ce n’è neanche uno. Tre invece soltanto sono i teatri di corte d’opera barocca settecenteschi con qualche attività in Europa. Due si trovano in Svezia, a Stoccolma – il Teatro del Castello di Drottningholm e l’Ulriksdals Slotteater Confidencen – e uno nella Repubblica Ceca, nel Castello di Ceský Krumlov.
E se Atkin è senza dubbio un sognatore, è anche un imprenditore. Parliamo di costi allora. «Tutto compreso, direi che il costo per ricostruire il San Cassiano si aggira sui 35-40 milioni di euro. Come dicevo, il teatro è piccolo, 20 metri per 30 metri, potrà ospitare al massimo 405 persone, ogni palchetto sarà poco meno di un metro di larghezza, in platea ci saranno soltanto sei file. Per dare un’idea che rende meglio le dimensioni contenute del San Cassiano, posso dire che potrebbe entrare nel Teatro Malibran (sempre a Venezia, ndr) senza nemmeno toccare le pareti. Il luogo preciso dove farlo risorgere non lo abbiamo ancora deciso, ma ci sono diversi luoghi a Venezia che andrebbero bene».
Poi, naturalmente, oltre a quello più squisitamente culturale («Sarà il centro più prestigioso al mondo per l’opera barocca») c’è anche – dicevamo – il punto di vista imprenditoriale di Atkin: «Sarà l’unico luogo dedicato a questo genere, quindi possiamo certamente affermare che avrà il monopolio globale garantito. Offrirà condizioni favorevoli per investire in città, aumenterà il valore di Venezia, garantirà anche, fra le tante altre cose, un turismo colto e selezionato. Punteremo su un repertorio rigorosamente Hip – acronimo di historically informed performance, esecuzioni storicamente consapevoli, nel senso di filologiche, ndr – perché voglio portare l’opera barocca dai libri fino al palcoscenico. Una piccola industria veneziana in forma di teatro che si può vendere a un mondo globale, e senza rovinare la città».
Punta molto su Venezia. «Noi investiamo sui veneziani, li vogliamo coinvolgere, vogliamo condividere: il teatro sarà aperto da loro e per loro». Spiega inoltre che un altro suo grande interesse è quello per le «opere dimenticate, come L’ingresso alla gioventù di Claudio Nerone di Antonio Giannettini», che vorrebbe recuperare. Per illustrare al meglio il suo «fitzcarraldico» progetto, Atkin ha organizzato un convegno e una mostra dal 13 al 16 giugno al Conservatorio di Venezia con concerti, incontri e confronti con i cittadini e gli studiosi.