11 giugno 2019
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Biografia di Tarak Ben Ammar
Tarak Ben Ammar, nato a Tunisi il 12 giugno 1949 (70 anni). Imprenditore. Produttore e distributore cinematografico. Fondatore di Carthago Films e di Prima TV. Cofondatore, con Silvio Berlusconi, di Quinta Communications. Finanziere. Ex consigliere d’amministrazione di Mediaset, Mediobanca, Generali, Telecom Italia, Vivendi, The Weinstein Company. «Dio ha dato agli arabi il petrolio, e io per favorire il dialogo interculturale faccio investire in cultura: tutti i fondi sovrani vogliono investire nei miei progetti…» • «Madre francese di origine còrsa, emigrata in Tunisia, cattolica e poi convertita all’islam e sposa di un avvocato tunisino poi diventato diplomatico» (Giovanni Pons). «Mio nonno era un celebre avvocato e tra i suoi assistiti c’era Burghiba, un giovanissimo rivoluzionario indipendentista. Burghiba era innamorato della sorella di mio padre, zia Wassila. Quando, tornato dalla Francia, nel ’57, lui divenne presidente della Tunisia indipendente, pur essendo già sposato, la prima cosa che fece fu venire nella nostra casa. Lo ricordo a cavallo. Voleva rincontrare mia zia. Fu anche grazie alla volontà di unirsi a lei che Burghiba, unico caso tra i Paesi arabi, introdusse il divorzio e molti diritti per le donne» (a Vittorio Zincone). «Burghiba ha fatto la storia della Tunisia moderna, nel segno di un progressismo laico respirato nelle università francesi e che negli anni della sua presidenza era riuscito a promuovere leggi senza precedenti per i Paesi arabi musulmani, come l’abolizione della poligamia e la proibizione del ripudio della donna da parte del marito, facendo così della Tunisia un Paese guida sul terreno dell’emancipazione femminile. Tarak è dunque cresciuto in un ambiente laico e pacifico, anti-integralista e aperto alla cultura degli altri» (Pons). «Il giovane Tarak a Tunisi. “Vivevo nella Medina, nel suk”. […] In Italia lei quando ci arriva? “Nel ’58, quando papà, avvocato, viene a fare l’ambasciatore a Roma”. Gli studi di un musulmano sotto al Cupolone. “Ho trascorso la mia adolescenza in un collegio di preti cattolici. Il Nôtre Dame. La mia famiglia era laica. Fu il professore di religione a farmi conoscere l’islam, l’ebraismo e il cristianesimo. Gli sono ancora grato per l’apertura mentale che mi ha dato. Tra l’altro, anni dopo lo scelsi come consulente per il Messia di Roberto Rossellini”. La passione per il grande schermo… “Nasce nelle sale del cinema Archimede. Quartiere Parioli. Lì proiettavano i film in lingua originale: Lawrence d’Arabia, Ben Hur… E poi Shirley MacLaine…”. Che cosa c’entra l’attrice americana? “Era amica dei miei genitori. Una volta le chiesero di portarmi un pacco di cioccolata dalla Tunisia. Lei si presentò nel cortile del mio liceo in Ferrari, accompagnata da Vittorio De Sica. Divenni il più popolare della scuola, e grazie alla sua amicizia cominciai a frequentare Cinecittà. Finito il liceo, mi trasferii a Washington: alla Georgetown University. I miei volevano che facessi politica. In realtà in America crebbe la passione per la comunicazione: in tv vendevano qualsiasi cosa. […] Divenni una zanzara attratta dalla luce della comunicazione”. Il ’68 a Washington. “Giravo con un’Alfa decappottabile come quella di Dustin Hoffman nel Laureato. Un divertimento pazzesco, ragazze stupende e grande libertà. Finita l’università, venni accettato a Harvard per la specializzazione. Ma rinunciai per tornare in Tunisia e lavorare nel cinema”» (Zincone). «Tornato a Tunisi, s’inventa un mestiere nuovo: promuove il suo Paese come luogo ideale per le riprese cinematografiche che negli anni ’50 e ’60 avevano scelto la Spagna o l’Italia. In questa veste Tarak nel 1971 riesce a convincere Francesco Rosi a girare Il caso Mattei nella sua terra, e poi riesce ad arrivare a Roberto Rossellini con il Messia del 1975. Il fiuto da imprenditore si vede già nei primi passi: invece che farsi pagare a consulenza, Tarak chiede di partecipare con piccole quote di minoranza alle produzioni, diventando così anch’egli coproduttore. Anche se la sua prima uscita in proprio, come capo della Carthago Film, non è delle migliori. Les Magiciens [distribuito in Italia col titolo Profezia di un delitto – ndr] di Claude Chabrol si rivela un film modesto, che fa flop ai botteghini e rischia di soffocare sul nascere la neonata avventura di Tarak, il quale commenterà così il passo falso: “Ho capito che il contenuto è più importante del finanziamento. Se non avessi conosciuto l’insuccesso nel primo film, sarei diventato odioso. Oggi cerco di restare autentico: il più grande rimpianto sarebbe scoprire di essere diventato arrogante”» (Pons). «“La svolta fu l’incontro con Roberto Rossellini all’aeroporto di Fiumicino”. Abbordò il regista? “Gli dissi: ‘Maestro, sono un suo fan tunisino’, e gli diedi il mio biglietto da visita. Ci rivedemmo a Roma. Roberto mi fece da padre nel mondo del cinema. E poi mi presentò Franco Zeffirelli, con cui lavorai al Gesù di Nazareth e alla Traviata, opera che mi permise di conoscere pure il magnate della musica e della tv tedesca Leo Kirch”. In quel periodo lavorò pure per Guerre stellari. “Sempre grazie a un aeroporto. Al check-in conobbi lo scenografo di George Lucas. […] Dissi allo scenografo che lo avrei potuto aiutare in Tunisia. E infatti… Il pianeta Tatooine, che ha fatto innamorare miliardi di fan, prende il nome da un villaggetto tunisino”. Berlusconi quando lo conosce? “Nel 1983. A Hammamet. I miei studios erano diventati una piccola attrazione per politici e turisti di tutte le nazionalità. Craxi, che conoscevo benissimo, mi chiese di organizzare una visita per questo suo amico. La sera ci fu una festa. Io portai delle modelle stupende che stavano girando un film. Fedele Confalonieri mi bisbigliò che Berlusconi era impazzito per quella con i capelli più scuri. Fu una serata indimenticabile. C’era pure Tony Renis, Silvio cantò tutta la notte. Il giorno dopo passeggiammo insieme sulla spiaggia. Berlusconi mi parlava dei suoi progetti. Io pensavo: ‘O è pazzo o è un genio’. La stessa cosa poi è successa dieci anni dopo”. Quando, scusi? “Quando a Cannes, nell’aprile del 1993, mi disse che voleva entrare in politica. Gli dissi: ‘Sei matto’”» (Zincone). «Il giovane neo-produttore ha […] l’arte delle relazioni pubbliche nel sangue. Il suo percorso è imperniato sulla capacità di relazionarsi con personaggi di livello internazionale che a seconda delle occasioni possono rappresentare un passepartout in grado di aprire molte porte. Una lezione imparata anche dallo zio Burguiba, il quale si era distinto per essere allo stesso tempo filoarabo e filoamericano. […] Sono proprio […] gli americani, […] infatti, all’epoca della presidenza Carter, a chiedere al governo tunisino di ospitare, nel 1983, i palestinesi dell’Olp di Yasser Arafat, cacciati da Beirut dopo l’invasione israeliana. La Tunisia sotto la guida di Burguiba era infatti l’unico Paese che poteva garantire una minore ostilità tra israeliani e palestinesi. Tra l’altro la famiglia di Wassila Ben Ammar, dal 1961 moglie del presidente tunisino, era sempre stata sostenitrice dell’Olp, e anche in quell’occasione non si tirò indietro. I noti legami tra Arafat e Bettino Craxi originarono un’operazione che ha lasciato il segno anche nella carriera di Tarak. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, fu Craxi a chiedere a Berlusconi denaro per sostenere la causa palestinese in quegli anni difficili. Il patron di Canale 5 non voleva esporsi direttamente in quanto in affari con gli americani e allora chiese l’intermediazione di quel Tarak conosciuto qualche anno prima sulle spiagge di Hammamet. Il produttore, che aveva già buona dimestichezza con i diritti cinematografici, s’incaricò così di vendere un pacchetto di diritti della library de La Cinq del valore di 200 miliardi di lire. Berlusconi era stato da poco respinto con perdite nella sua avventura transalpina e Tarak sembrava la persona ideale per recuperare un po’ di soldi e nello stesso tempo rispondere alla chiamata di Craxi. L’accordo era semplice: per la sua intermediazione Tarak avrebbe richiesto una percentuale più alta del normale, il 15% invece del 5%. La differenza, cioè circa 20 miliardi, doveva essere girata all’Olp di Arafat attraverso un passaggio per la All Iberian, la società offshore di Berlusconi che all’inizio degli anni ’90 finì nel mirino della magistratura milanese in quanto cassaforte estera del Biscione con tanto di versamenti su conti correnti riconducibili a Craxi. Nel processo di primo grado, conclusosi nel luglio 1998, il tribunale aveva condannato Craxi a 4 anni e Berlusconi a 2 anni e 4 mesi con l’accusa di finanziamento illecito certificato da bonifici per circa 10 miliardi dalla All Iberian a favore dell’uomo politico. Tarak viene chiamato a testimoniare, ma si rende disponibile solo a Parigi in presenza dei suoi avvocati. La deposizione non avvenne mai, ma l’idea che la provvista della All Iberian costituita dalla vendita di diritti tv fosse in realtà indirizzata ad Arafat non convinse mai gli inquirenti, che considerano la storia di Tarak una copertura a favore di Craxi e Berlusconi. Lui sostiene invece di aver mandato ai magistrati tutte le carte che comprovano quella operazione di vendita e ristorno dei diritti, compresa la ricevuta firmata da Arafat per aver percepito circa 20 miliardi di lire. In appello, nell’ottobre 1999, Craxi e Berlusconi vengono dichiarati non punibili in quanto il reato viene prescritto, sentenza poi confermata anche in Cassazione. L’incidente di percorso non ferma la parabola ascendente dell’imprenditore franco-tunisino, che nel frattempo è riuscito a diventare consulente del principe saudita Al Waleed e poi del magnate dei media Rupert Murdoch» (Pons). «“A metà degli anni ’90, Berlusconi doveva quotare in Borsa Mediaset. Io gli trovai finanziatori per un miliardo di dollari”. Qui entra in scena anche il principe Al Waleed… “Esatto. Insieme con altri soci”. Al Waleed come lo conobbe? “Da piccoli le nostre famiglie si conoscevano bene. Lo intercettai a Cannes. Andai da lui con una vecchia foto di noi due bambini nel cortile di casa mia. Gli dissi che avrei fatto volentieri i suoi interessi e gli proposi alcuni investimenti”. […] La parcella per l’operazione Mediaset? “Alcuni milioni di dollari”. Ed entrò pure nel Cda dell’azienda. “In quell’occasione, tra l’altro, Berlusconi mi mandò a parlare con Murdoch. Il tycoon di News Corp avrebbe voluto comprare Mediaset. Berlusconi lo aveva tenuto in sospeso durante tutta la trattativa con Al Waleed. Incontrai Murdoch a Villa d’Este, sul Lago di Como. Gli dissi che lui era il mio modello di uomo cosmopolita, che grazie a lui avevo fatto il più grosso affare della mia vita e che il mio sogno era di ripagarlo”» (Zincone). «Murdoch […] mi fece una richiesta: ‘”erché non mi aiuta in Europa come ha fatto con Berlusconi?”. Io gli chiesi se potevo portargli capitali arabi. E in tre giorni ho fatto entrare Al Waleed anche in News Corp. Da lì è nata la mia amicizia con Murdoch. […] Poi sono diventato suo consulente anche per le altre operazioni italiane. All’epoca c’era Stream, una delle due pay tv, che andava male. Allora l’ho consigliato di comprare Telepiù e fondere le due società, ovvero l’operazione da cui è nata Sky Italia» (Paolo Madron). «Si arriva al 2004, quando porta il finanziere bretone Vincent Bolloré ad incrementare la sua presenza nel capitale di Mediobanca fino alla battaglia senza esclusione di colpi con le banche italiane che portò all’uscita traumatica di Vincenzo Maranghi dall’istituto di piazzetta Cuccia» (Pons). «Ben Ammar ha ottenuto in Italia quel che non è riuscito a realizzare in nessun altro Paese, nemmeno nella Francia della quale è diventato cittadino. Lui lo riconosce con franchezza e ringrazia. Anche se, nelle operazioni finanziarie che lo hanno visto attore, ha per lo più ha rappresentato interessi francesi. A sua discolpa può dire che l’ingresso della cordata transalpina guidata da Vincent Bolloré in Mediobanca ha fatto parte di un conflitto tutto italico. […] La nuova carriera di Figaro della finanza, per molti versi anomala, coincide con il vuoto che la morte di Enrico Cuccia provoca nell’universo dei “poteri forti”. Ben Ammar sostiene di aver favorito l’ascesa di Bolloré in terra d’Italia. Anche se l’uomo d’affari bretone è l’erede di una grande fortuna ed è stato il poulain, il puledro da corsa, di Antoine Bernheim, il quale come partner di Lazard ha svolto un ruolo di primo piano in Italia almeno fin dai primi anni Settanta. […] C’era davvero bisogno di Ben Ammar, dunque, per riorganizzare gli equilibri dell’alta finanza italiana? Oppure il produttore tunisino agisce come scudiero del Cavaliere, nel momento in cui Fininvest deve restare dietro le quinte? È la tesi diffusa a piazza Affari, tanto più, dicono i suoi sostenitori, che Marina Berlusconi entra in consiglio Mediobanca nel 2008» (Stefano Cingolani). Nel 2006, in veste di consigliere d’amministrazione di Telecom Italia, curò anche le trattative per la vendita della società a Murdoch, poi fallite per l’intervento dell’esecutivo. «“Il governo Prodi ha ostacolato Tronchetti Provera in quello che invece sarebbe stato un grandissimo accordo. […] L’obiettivo finale era di unire Telecom e Sky. Qui il governo fu ambiguo: a Tronchetti diceva di non cedere la maggioranza di Telecom, a Murdoch che poteva prendersela. Avvisai Rupert di non cadere nella trappola”. Che trappola? “Gli dissi: ‘Ma tu pensi che, se si trattasse di Australia Telecom, il governo del tuo Paese lascerebbe la maggioranza a un italiano?’. Alla fine si è convinto. Però, siccome sapeva che Prodi preferiva lui a Tronchetti, i suoi advisor hanno sparato una cifra iperbolica per la valutazione di Sky Italia, in modo da farsi dire di no”» (Madron). Alla fine del primo decennio del nuovo millennio, «il suo ruolo tra Francia, Italia e Tunisia è ormai a tutto tondo, sia negli affari che nella politica. Quando i libici hanno inveito su Calderoli possibile ministro del governo Berlusconi lui è volato da Gheddafi per far tornare nei ranghi la questione, così come nel mezzo della campagna elettorale è stato Tarak a mandare un messaggio a Sarkozy sull’Alitalia da parte di Berlusconi» (Pons). Le capacità di mediazione di Ben Ammar si rivelarono fondamentali anche quando Berlusconi, da presidente del Consiglio, volle sanare i rapporti tra l’Italia e la Libia di Gheddafi, di cui l’imprenditore tunisino era amico da lungo tempo: in seguito alla firma del Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia (30 agosto 2008), Ben Ammar e Berlusconi accolsero Gheddafi persino nella Quinta Communications, società di produzione cinematografica che i due avevano fondato nel 1989, consentendogli, con un aumento di capitale, di acquisirne il 10% tramite la Lafitrade, controllata dal principale fondo sovrano d’investimento libico. Nello stesso periodo, Ben Ammar, tramite la sua Prima Tv, si associò con Mediaset e con una compagnia tunisina per lanciare nel Maghreb il nuovo canale televisivo Nessma, «una televisione moderata, mediterranea e maghrebina», «con il preciso obbiettivo di sottrarre la gioventù di Tunisia, Libia, Algeria, Marocco e Mauritania all’influenza dominante dei media mediorentali, di cui il maggior rappresentante è Al Jazeera. Mi batto perché 90 milioni di persone, di cui il 65% ha meno di 25 anni, non subiscano una cultura integralista che […] ha allontanato questi popoli dal Mediterraneo e dall’Occidente. E il modo migliore per condurre questa battaglia è una tv libera e commerciale, perché nei Paesi del Nord Africa i giornali si leggono poco». Più recentemente, in qualità di consigliere d’amministrazione di Vivendi, Ben Ammar mediò tra la multinazionale di Bolloré e Mediaset per giungere all’accordo dell’aprile 2016 (scambio di quote tra le due società e impegno di Vivendi ad acquistare Mediaset Premium e a non salire per tre anni oltre il 5% del capitale di Mediaset) poi disatteso e finito al centro di una disputa legale tra le due società, con grave imbarazzo di Ben Ammar, ascoltato più volte dalla Procura di Milano in quanto persona informata sui fatti. Anche a causa delle tensioni createsi con Bolloré, quindi, l’imprenditore è uscito prima dal consiglio d’amministrazione di Mediobanca, in cui sedeva per conto di Vivendi, e poi dalla stessa Vivendi. Buona parte degli affari di Ben Ammar, comunque, si colloca oltreoceano: per esempio, già nel 2005, anno della sua fondazione, si associò ai fratelli Bob e Harvey Weinstein nella The Weinstein Company, società di distribuzione e produzione cinematografica che proprio in Ben Ammar ebbe negli ultimi anni uno dei suoi consiglieri d’amministrazione più importanti. È in virtù del codice di comportamento da lui fortemente voluto nel 2015, infatti, che la società poté immediatamente esautorare Harvey Weinstein all’indomani della deflagrazione dello scandalo sessuale, e, se il suo impegno non bastò a evitare la procedura di fallimento controllato, il suo ruolo si sta rivelando tuttora di primaria importanza per la società che in seguito acquistò quanto restava della compagnia. «Il passaggio per la procedura concorsuale americana e la messa all’asta della library della Twc ha permesso una rinascita quasi insperata. Nel luglio 2018 il fondo Lantern Entertainment, guidato dai co-presidenti Andy Mitchell e Milos Brajovic, acquisì il catalogo di 270 film della Twc per 289 milioni di dollari, pagò i debiti verso le banche e gli artisti e si mise in pista per ricreare un nuovo brand della produzione indipendente. […] I due finanzieri, con poca esperienza nel settore dell’entertainment, a quel punto chiesero a Tarak Ben Ammar […] di trovare management e risorse finanziarie per sviluppare la nuova casa di produzione. E così dopo meno di un anno è stata annunciata la nascita di Spyglass Media Group, frutto della convergenza degli asset ex Weinstein conferiti da Lantern, dell’arrivo di un manager esperto come Gary Barber […] e di due partner esperti del settore come la Eagle Pictures, diventata in pochi anni il primo produttore e distributore indipendente italiano proprio sotto la guida di Ben Ammar, e come il gruppo Cineworld, la seconda più grande catena di cinema al mondo. Il mix di cataloghi, competenze e risorse finanziarie vuol fare della Spyglass uno dei principali attori sul mercato delle produzioni di film e serie tv da distribuire su tutte le piattaforme, dalle sale cinematografiche alle pay tv alle piattaforme streaming, fino all’home video e ai teatri. “Spyglass ha il vantaggio di poter contare sull’indipendenza di una boutique e sulle spalle larghe di un grande gruppo”, spiega Ben Ammar. […] “Spyglass rappresenta per Eagle la naturale evoluzione di questo modello produttivo, e Eagle si propone come l’unico soggetto oggi in grado di portare progetti italiani ed europei all’attenzione del mercato mondiale”, conclude Ben Ammar» (Pons) • Tra le varie pellicole da lui prodotte, «una lunga serie di film ispirati ai Vangeli, nei generi più disparati: da Brian di Nazareth dei Monty Python […] al Gesù di Franco Zeffirelli, alla distribuzione europea della Passione di Mel Gibson. Passando per Star Wars e La ricerca dell’Arca perduta fino a Baarìa prodotto con Medusa, il film più costoso della storia del cinema italiano: 28 milioni di euro. Senza contare Pirati di Roman Polanski, che gli procura un processo contro Universal alla fine del quale, nel 1994, ottiene una vittoria senza precedenti: 14 milioni di dollari per ricompensare gli interessi lesi; è la prima volta che un produttore straniero vince contro una major di Hollywood» (Cingolani) • Sposato, quattro figli. «Tarak Ben Ammar vive a Parigi in una villa piuttosto lussuosa. Marmi, sculture… “L’ho costruita intorno al trittico di Francis Bacon sulla Crocifissione”, dice» (Zincone) • «Madre nata cattolica, padre musulmano, moglie cattolica, io musulmano, ho battezzato i miei figli ma li educo nelle due religioni». «A me piacerebbe che un presidente o un re musulmano uscisse allo scoperto per dare la sveglia alla maggioranza islamica moderata e silenziosa. E per dire una volta per tutte che l’islam vero non è quello fondamentalista» • «Polimorfo produttore-finanziere-mediatore-banchiere franco-tunisino e quando serve pure assai italiano» (Francesco Manacorda). «Ha costruito una fortuna, la propria fortuna, sulle relazioni. Le sue conoscenze riempiono un carnet più lungo del catalogo di Leporello. […] Il factotum della città, anzi delle città. Milano, Roma, Parigi, Tunisi. L’amico di tutti. Sempre sulle orme di Figaro servitore che si fa padrone di se stesso, futuro borghese gentiluomo» (Cingolani). «Tarak Ben Ammar è l’incrocio fra un personaggio di Scott Fitzgerald e un Enrico Cuccia geneticamente modificato. […] Non lascia nulla al caso, discutere con lui è come giocare a scacchi senza regina» (Francesco Specchia) • «Che cosa ha portato a Berlusconi, oltre che alleati esotici e capitali? “Un punto di vista internazionale. Sono l’unico imprenditore straniero nel suo entourage”» (Madron) • «Berlusconi firmando l’accordo con la Libia ha compiuto un gesto storico. Non solo ha chiesto perdono per i crimini dei colonizzatori fascisti davanti a tutto il Parlamento libico. Ha anche baciato la mano del figlio del martire Omar El Mukhtar. Un gesto che ha toccato anche me. Non avete idea dell’impatto che quel gesto ha avuto sugli arabi, che con Berlusconi in passato erano stati tiepidi. […] Gheddafi gli ha persino offerto di diventare il suo successore in Libia…» (ad Aldo Cazzullo) • «Tutto bene se si è amici di Murdoch e Berlusconi quando vanno d’accordo. Ma quando litigano anche uno abile come lei dovrà scegliere da che parte stare. […] “Murdoch […] è un uomo d’affari che vive in un mercato competitivo”» (Madron). «“Murdoch sa benissimo che, se ha il monopolio del satellite in Italia, lo deve a Berlusconi. Mario Monti e la Commissione europea erano contrari, come anche la stampa italiana, che sospettava una fusione Sky-Mediaset. Anche i suoi collaboratori dissero a Berlusconi che si stava indebolendo. Lui rispose che era necessario aprire il mercato”. Non è che Murdoch si è seccato quando il Cavaliere stava per vendergli Mediaset e si è tirato indietro? “Berlusconi non stava per vendere. Aveva praticamente venduto. Furono Marina e Piersilvio a fargli cambiare idea. Infatti ora c’è una sana competizione tra i figli, Piersilvio e James. Di più: Murdoch è il tycoon che Berlusconi vorrebbe essere, se non fosse entrato in politica. Un tycoon ’globale’. E a Murdoch, che è ossessionato dalla politica, non dispiacerebbe essere lo statista che è Berlusconi. La differenza è che Rupert è molto più a destra…”» (Cazzullo) • «È incredibile come lei si trovi sempre nel posto giusto al momento giusto. Dicono che molte delle sue fortune derivino dal fatto di parlare cinque o sei lingue. “Le lingue mi hanno aiutato a capire la mentalità e la cultura dei miei interlocutori. E ad evitare i malintesi”» (Madron). «La verità è che l’Italia è il Paese più aperto e con meno pregiudizi; altrimenti io, un tunisino, non sarei qui». «Ho sempre detto, scherzando, che l’Italia è il Paese arabo più a Nord».