La Stampa, 10 giugno 2019
Recensione del balletto ’La Giara’ - coreografia di Roberto Zappalà, regia di Gabriele Lavia, direzione di Andrea Battistoni
La giara non c’è. O meglio: non si vede il grande manufatto di coccio al centro della novella di Pirandello, poi diventata un balletto di Alfredo Casella (debutto a Parigi nel 1924), che ora va in scena al Teatro Regio nella nuova coreografia di Roberto Zappalà accoppiato con l’opera Cavalleria Rusticana di Mascagni (regia di Gabriele Lavia, direzione di Andrea Battistoni) da mercoledì 12 sino al 22 giugno.
In realtà nella concezione di Zappalà la giara è tutto il palcoscenico, la sua bocca è l’intero boccascena: «Sono convinto che il pensiero di Pirandello era rendere questa giara un contenitore da dove poter osservare il mondo e l’umanità in modo diverso. Non a caso nella novella il protagonista, l’acconciabrocche Zi’ Dima, a un certo punto non vuole uscire più dalla giara. Ci si trova bene, vede la Luna in un altro modo. La giara è sinonimo di abbraccio, di ventre materno, di accoglienza. Penso a Pinocchio nel ventre della balena», spiega il creatore, che con i suoi undici danzatori intende dare sostanza visiva al mondo contadino siciliano senza raccontare le vicende pirandelliane di Zì Dima e don Lollò intorno a una giara nuova che si spacca e deve essere riparata.
Direttore del Centro di Produzione Nazionale della Danza Scenario Pubblico basato a Catania, uno dei quattro riconosciuti dal ministero per i Beni Culturali, Zappalà porta al Regio la sua compagnia che in questa occasione è esclusivamente maschile: «Ho voluto mettere l’accento sulla mascolinità del mondo rurale. Ho scelto dei movimenti che sottolineino questa essenza maschile e chiesto ai miei danzatori di farsi crescere la barba. Tutto è basato sulla ruralità. Più procedevo nelle prove e più sentivo il mondo contadino anche nella musica».
Dimentichiamo i personaggi della novella dunque con Zappalà. Ma attenzione: niente danza astratta; bensì un linguaggio contemporaneo che rifugge dalla semplice narratività per trarre ispirazione da suggestioni forti: «Ho rispettato la partitura nella sua precisione tempistica, nei ritmi e negli accenti. In realtà la musica di Casella è molto descrittiva, ha una linea di racconto classica. Io la seguo, da questo punto di vista, soltanto in alcuni passaggi comici. Ho scelto l’immagine della balena di Pinocchio come metafora, ho voluto in scena anche la figura del clown Augusto».
Zappalà ci descrive un mondo privo di presenze femminili perché intende «sottolineare la violenza maschile dell’ambiente contadino. Durante la festa i performer danzano fra di loro in una atmosfera da balera. L’interesse che ha suscitato in me la proposta del Regio – conclude – deriva dal fatto che fra le mie prime opere c’è stato Il berretto a sonagli. La filosofia».