il Giornale, 11 giugno 2019
Il portafoglio dei sovranisti
Notting Hill, la collina di Notting, è uno dei quartieri modaioli di Londra, reso famoso dal film di Julia Roberts e Hugh Grant, vicino ai Kensington Palace Gardens, un corso alberato che gli inglesi chiamano viale dei miliardari. Appena a ovest, pochi minuti a piedi, c’è Notting Dale, la valle di Notting, dall’Ottocento uno dei quartieri più poveri della capitale britannica. È una susseguirsi di case popolari e tra loro c’era la Grenfell Tower: quando si incendiò, un paio di estati fa, morirono 72 persone, due erano italiani. Notting Hill ha uno dei redditi medi più alti di Gran Bretagna, Notting Dale fa parte del 10% delle circoscrizioni più povere.
La «collina» e la «valle» sono le due facce, vicine ma estreme, della geografia economica del Regno Unito e l’immagine scelta da Gianmarco Ottaviano, professore di Economia internazionale alla Bocconi, per iniziare il suo ultimo libro, pubblicato da Laterza: «Geografia economica dell’Europa sovranista». Il sovranismo c’entra perché vivere in collina o in una valle fa la differenza in termini di voto. Parlando di Brexit e continuando nella metafora, le zone di collina hanno votato in prevalenza per rimanere nell’Unione Europea, le valli per andarsene.
C’entra anche l’Europa perché il dualismo non vale solo per la Gran Bretagna. A Lione, seconda città francese, uno dei centri più dinamici e tecnologicamente avanzati del Paese, nel secondo turno delle presidenziali del 2017, l’84% dei votanti ha optato per le politiche europeiste di François Macron. Una ventina di chilometri più in là, oltre l’aeroporto, c’è la cittadina di Colombier-Saugnieau, dove è stato costruito il nuovo stadio dell’Olympique: lì Marine Le Pen ha conquistato il 57% dei voti e Macron è finito in netta minoranza. Quanto all’Italia le ultime elezioni europee hanno mostrato una tendenza già emersa in precedenti consultazioni: quasi tutte le grandi città, almeno del centro-nord (Milano in testa) hanno fatto segnare risultati molto diversi dalle loro periferie.
AUMENTANO LE DIFFERENZE
A spiegare il fenomeno, secondo Ottaviano, è il combinarsi di due paroline dal suono simile e dal significato opposto: convergenza e divergenza. La «grande convergenza» è il progressivo avvicinarsi in termini di reddito delle diverse parti del mondo: Paesi un tempo poveri come la Corea del Sud si sono portati su livelli europei, altri come Thailandia, Indonesia e soprattutto Cina, si stanno avvicinando. È il frutto di quella che si definisce di solito globalizzazione. La quale però porta con sé anche un altro fenomeno, di cui si parla molto meno, «la grande divergenza»: a mano a mano che Paesi lontani tra loro si avvicinano, finiscono per allontanarsi parti diverse dello stesso Paese.
La divergenza nasce per ragioni tutto sommato semplici: le nuove tecnologie e le moderne organizzazioni globali, per essere pienamente produttive, richiedono lavoratori ad alta specializzazione. La loro presenza crea, con un effetto palla di neve, altri posti di lavoro superqualificati. Le agenzie di pubblicità e marketing digitale, per esempio, tendono a concentrarsi intorno a poli di sviluppo hi-tech. L’interazione personale tra i lavoratori dei diversi settori avanzati porta benefici maggiori di quelli che le rispettive aziende avrebbero operando in regioni lontane tra loro. Accanto ad aree messe in difficoltà dalla concorrenza di Paesi emergenti e a reddito calante, si creano dunque poli con una forza lavoro più qualificata e a reddito crescente. Nelle due aree vivono i vincitori e i vinti dell’economia globale, la loro mappa segna una sorta di «geografia dello scontento». Ed è questa a definire l’odierna mappa del voto.
Gli studi più approfonditi riguardano il referendum sui rapporti tra Gran Bretagna ed Europa. «Se si interrogano coloro che hanno votato per la Brexit», spiega Ottaviano, «la risposta più frequente è che la ragione principale del loro voto è senza dubbio l’immigrazione. Ma i motivi immediati per cui pensiamo di agire non sempre sono i motivi profondi per cui agiamo». A guardare i dati, in effetti, una correlazione tra numero degli immigrati e voto sovranista non sempre è possibile: anzi, accade spesso di notare che le località dove i sovranisti sono più forti non sono quelle dove gli immigrati sono più numerosi.
FALSO BERSAGLIO
La correlazione che regge invece alla prova delle statistiche è quella con l’esposizione alla globalizzazione. A favore della Brexit hanno votato le circoscrizioni meno resistenti all’apertura dei mercati, misurata con un «indice di esposizione» ottenuto confrontando la crescita delle esportazioni dalla Cina nei vari settori con l’importanza che questi hanno per l’economia locale. Se l’ipotesi degli studiosi è corretta, la motivazione dichiarata del voto sovranista, secondo le parole degli elettori diretto in prevalenza contro l’immigrazione, può essere vista come espressione di una forma di difesa di fronte a una possibile concorrenza in termini di mercato del lavoro e accesso al welfare state. Oppure come la semplice ricerca di un capro espiatorio per le proprie difficoltà.
Gli elettori anti-globalizzazione finiscono per identificare il fenomeno con «l’europeizzazione», che è alla prima in qualche modo collegata, ma non coincidente. Il risultato, almeno per quanto riguarda la Brexit, si è rivelato paradossale: aree che hanno votato per rimanere in Europa come Londra hanno un respiro davvero globale che le mette al riparo dalle peggiori conseguenze economiche dell’uscita dalla Ue. Le regioni che hanno scelto di lasciare l’Europa erano invece quelle in crisi, più dipendenti dall’aiuto finanziario della autorità di Bruxelles, e che adesso finiranno per pagare il prezzo più alto. Famoso è il caso di una cittadina gallese, Ebbw Vale, il cui caso è stato raccontato da un’inchiesta dell’Observer: in maggioranza laburista, con un numero di immigrati relativamente basso, oggetto di copiosi finanziamenti europei per la riqualificazione industriale, ha votato massicciamente per la Brexit e adesso perderà gli aiuti comunitari.
Stabilita la regola del legame tra voto e atteggiamento anti-globalizzazione non resta che dar conto delle eccezioni. Il comportamento elettorale del Mezzogiorno d’Italia, in larga misura grillino nelle politiche del 2018, con una forte astensione e un travaso di consensi verso la Lega (primo partito, per esempio, in molti comuni della Calabria reggina) nelle Europee di poche settimane fa, sembra spiegarsi difficilmente con questo schema. «A Sud di grandi fabbriche, di aree economiche integrate a livello internazionale non ce ne sono molte», spiega Ottaviano. «Sotto certi aspetti l’area è esclusa dalla pressione concorrenziale dei Paesi emergenti». In questo caso dunque, il carattere ondivago del comportamento elettorale, è legato a caratteri specifici, a una sostanziale estraneità ai flussi economici globali ed è forse più legata a timori di tagli alla spesa pubblica o alla percepita insufficienza di provvedimenti assistenziali come il reddito di cittadinanza.
PROTEZIONE E COMPENSAZIONE
In tutti i casi la richiesta che arriva da chi la globalizzazione è stato costretto a subirla è di due tipi: compensazione o protezione. Nel primo caso è chiamato a intervenire, in qualche modo a risarcire i «vinti», il welfare state con i suoi meccanismi redistributivi. Ma l’apertura dei mercati, anche finanziari, rende possibile, almeno alle aziende più grandi la ricerca della cosiddetta «ottimizzazione fiscale»: le imposte si vanno a pagare dove, per legge o per accordi ad hoc con le autorità, incidono poco o nulla sul risultato finale. È il fenomeno, come ha detto qualcuno, del «disappearing tax-payer», della scomparsa del contribuente. La conseguenza è che al welfare state vengono a mancare le risorse proprio nel momento in cui servirebbero di più.
Anche per questo diventa sempre più forte la richiesta di provvedimenti protezionistici, l’innalzamento di barriere commerciali attraverso l’imposizione di dazi. Alla lunga non servirebbe: i dazi chiamano dazi. È «quello che accade allo stadio quando tutti si alzano per vedere meglio» – dice Ottaviano – «dopo che tutti si sono alzati, nessuno vede meglio di prima e tutti stanno in piedi».