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 2019  giugno 11 Martedì calendario

L’Isis dà alle fiamme campi di cereali

Le piogge invernali erano state abbondanti come non si vedeva da anni e la terra aveva finalmente «bevuto fino a saziarsi». A maggio in tutto il Nord della Siria ondeggiava un mare di spighe e il raccolto si prospettava una benedizione, dopo un decennio di siccità e guerra civile. Ma in questo spicchio di mondo non ci può essere pace ed è successo l’imprevedibile. 
Uno dopo l’altro i campi hanno cominciato a prendere fuoco e le speranze di migliaia di famiglie contadine sono andate distrutte. La chiamano già la «battaglia del grano», ma alla rovescia, perché non si tratta di produrre di più ma di affamare un intero popolo. Ad aumentare ancora l’angoscia è il mistero su chi sia responsabile. Il regime, i ribelli, l’Isis, i soldati turchi e persino i guerriglieri curdi sono stati tutti tirati in causa ma senza una prova definitiva.
All’inizio gli incendi sono stati collegati all’offensiva governativa lanciata alla fine di aprile nella provincia di Idlib. Sui social media sono apparsi video di raid con proiettili al fosforo che cadevano in aperta campagna e l’opposizione ha accusato il regime di voler far «terra bruciata» per costringere la provincia ribelle ad arrendersi. Gli attacchi di questo genere sembrano però molto limitati e legati alle azioni belliche attorno ai villaggi presi di mira dall’esercito. Un giornale critico con il regime come «Asharq al-Wasat» ha scoperto che il grosso degli incendi è stato applicato da gruppi jihadisti che volevano impedire ai contadini di vendere il raccolto al governo. Damasco offre 185 lire siriane per ogni chilo di frumento, un prezzo allettante.
Lo scopo del governo, oltre a rifornirsi, è anche privare i gruppi ribelli di risorse e sostentamento.
La reazione è stata spietata. Secondo «Asharq al-Wasat» nel mese di maggio fra i 15 mila e i 20 mila ettari di campi coltivati a cereali sono andati in fiamme nelle zone controllate dai ribelli e dai curdi, che ora governano alcune delle zone cerealicole più fertili della Siria. In effetti l’amministrazione curda del Rojava, il Kurdistan siriano, offre soltanto 150 lire al chilo di frumento, e anche qui molti agricoltori vendono di contrabbando al regime. E però poco credibile che i curdi, impegnati a conquistarsi la fiducia della popolazione araba, arrivino a fare terra bruciata. La realtà è un’altra e c’entra con la risorgenza dell’Isis sia in Siria che in Iraq.
Nel mirino
Come hanno raccontato testimoni al sito d’informazione Synaps.network, cellule dello Stato islamico, oltre a compiere attacchi costanti contro le pattuglie curde, ora prendono di mira le famiglie arabe «collaborazioniste». Un contadino della campagna di Raqqa ha confermato che «quelli che nel nostro villaggio si erano opposti all’Isis hanno visto i loro campi bruciati mentre quelli che lo avevano appoggiato hanno avuto il miglior raccolto da anni: si stanno vendicando così della sconfitta». Il fenomeno è stato ribadito da un altro agricoltore, citato dal «Washington Post», Abbas al-Jaghjagh, della città di Tal Hamis: «Siamo 24 in famiglia – ha raccontato – e ci aspettavano il miglior raccolto da 10 anni, invece abbiamo perso tutto».
La pista dell’Isis è confermata da quanto sta succedendo in Iraq, dove sono i campi dei contadini cristiani, per esempio a Qaraqosh, a essere presi di mira in maniera sistematica. Anche qui sono migliaia di ettari andati in fumo, come punizione per la resistenza ai miliziani durante il regno dello Stato islamico. Una vendetta estrema degli ultimi seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi che però rischia di far saltare gli equilibri ancora molto fragili del dopo-Isis.