Corriere della Sera, 11 giugno 2019
L’algoritmo che bolla chi chiede un visto
Il governo britannico fa uso di un algoritmo segreto per scremare le richieste di ingresso: ma i criteri impiegati restano totalmente misteriosi e potrebbero aprire la porta a discriminazioni.
L’esistenza di questo sistema informatico adoperato dal ministero dell’Interno è stata scoperta quasi per caso e resa nota dal Financial Times: un gruppo di avvocati era andato in visita a un centro di elaborazione dei visti a Sheffield e gli è stato mostrato l’uso di questo sistema.
L’algoritmo viene adoperato per esaminare automaticamente tutte le richieste di visto di ingresso nel Regno Unito, siano esse per lavoro, studio o semplice visita. Il computer assegna ai richiedenti un colore – rosso, arancione o verde, a seconda del livello di rischio stimato – e la pratica viene poi inoltrata ai funzionari per la successiva considerazione.
Ma il ministero dell’Interno ha rifiutato di fornire qualsiasi dettaglio sui fattori impiegati per valutare il rischio e non ha pubblicato alcuna informazione su come l’algoritmo venga usato.
Il software
Studiato per snellire il sistema in vista di Brexit, con 3,5 milioni di europei da registrare
Il timore degli esperti legali è che il sistema possa funzionare a svantaggio di determinati gruppi di persone basandosi su criteri generali, come il Paese di provenienza o quelli in cui si è viaggiato. Anche perché ogni algoritmo viene creato dai programmatori e dunque è possibile che siano introdotti, anche senza volerlo, dei criteri di discriminazione basati su pregiudizi.
La decisione di «delegare» a un computer parte del processo decisionale sui visti fa parte del tentativo del governo britannico di rendere il sistema più efficiente in vista dello sforzo aggiuntivo che verrà richiesto dalla Brexit. Già adesso il ministero dell’Interno ha avviato la procedura per registrare i cittadini europei: si tratta di tre milioni e mezzo di persone che hanno diritto a richiedere lo «status di stabilito», in pratica la residenza permanente, se possono dimostrare di aver vissuto nel Regno Unito per cinque anni in maniera continuativa.
Sono emerse comunque già delle preoccupazioni, perché il sistema informatico predisposto non sembra funzionare benissimo e molti non sono riusciti a completare la registrazione, come denunciato dalle organizzazione che rappresentato i cittadini europei. Tanto che il ministero dell’Interno si è sentito in dovere di diramare una nota urgente per assicurare che il sistema «sta funzionando bene» e che già 750 mila persone hanno presentato la domanda (c’è tempo fino alla fine dell’anno prossimo): in testa ci sono i polacchi, con oltre 100 mila richieste, seguiti dai romeni e dagli italiani.
Ma dopo la Brexit anche gli europei saranno soggetti a un regime di visti (tranne i turisti) e dunque tutti quelli che arrivano per lavoro o per studio, anche gli italiani, dovranno passare per le maglie dell’algoritmo segreto «a semaforo». Il ministero dell’Interno ha confermato soltanto che l’algoritmo viene utilizzato per fare in modo «che i visti vengano elaborati nella maniera più efficiente possibile» e che è conforme alla legislazione sull’eguaglianza, dunque non fa scremature «sulla base della razza».